Come la felpa di Salvini ha conquistato il Nord
Gorino è una frazione del comune di Goro, dove vivono sei o settecento italiani e dieci stranieri, sul delta del Po. Un anno e mezzo fa (ottobre 2016) giornali e televisioni raccontarono a lungo di Gorino, perché i suoi abitanti avevano alzato barricate in strada, scaricando bancali e incendiando qualche bidone colmo di legna e di un po’ di gasolio, per impedire l’invasione dei migranti (dodici donne richiedenti asilo sistemate da un prefetto in un ostello della zona). A guidare tanto ardita protesta alcuni leghisti di Ferrara (tristi memorie: una lunga notte del ’43, Bassani, Vancini...). In nome ovviamente dell’ordine e della sicurezza. Guai a parlare di razzismo, secondo l’abusata formula: noi non siamo razzisti, però...
A Gorino la Lega ha vinto superando il quaranta per cento. Salvini avrebbe ben ragione di gridare al trionfo. Siamo ancora lì: l’immigrazione, la paura, la sicurezza, il pregiudizio, le facili e tranquillizzanti soluzioni. La Lega campa e prospera di questo.
Non basta a spiegare i suoi successi. Lega a valanga al Nord, tranne eccezioni, in Piemonte, nel Veneto e in Friuli dove fa man bassa, in Lombardia (dove per la Regione Fontana fa clamorosamente il doppio di Gori). Milano diventa la roccaforte rossa (ben più di Torino). L’azzurro riveste l’area economicamente più forte, più dinamica, più veloce del Belpaese e pure più vicina all’Europa da sempre (senza per questo che gli ardori antieuropei di Salvini si raffreddino: d’altra parte l’Unione europea presta il fianco).
Salvini è riuscito nell’impresa di trasformare la Lega da movimento per l’autonomia regionale (coniugata in varie forme: dai fucili dei bergamaschi, ai finti carri armati di San Marco, all’invenzione della Padania, dalla secessione al ben più modesto e ininfluente referendum di Maroni) a partito nazionale. Ha tenuto vive le velleità di un tempo (Bossi torna in Senato, malgrado i dissensi con il suo discepolo... una volta lo disse: “Questa Lega non la riconosco più”) con le sue mire nazional- lepeniste, riversando nel suo magazzino di tutto: Pontida e il protezionismo economico, la battaglia contro l’euro e contro Maastricht e il razzismo che piace alla destra, la rivendicazione dell’identità e la difesa quindi dall’onda islamica che cancellerebbe le nostre tradizioni (vedi l’ultima uscita milanese con il Vangelo in mano, come fosse in gara per una crociata, non apprezzata peraltro dall’arcivescovo Delpini).
Ha sottratto voti a Forza Italia, approfittando della impresentabilità di Berlusconi (non solo per effetto della legge Severino, s’intende, soprattutto usura politica e vetustà intellettuale), a Forza Nuova o a Casa Pound esaltando la nostra “italianità” e celebrando la “legittima difesa”, ha contrastato i grillini con gli argomenti di un opposto populismo (dall’abolizione della legge Fornero alla salvifica introduzione della flat tax). Ha infine e costantemente propagandato “stop all’invasione”. Come non si capisce. Ma la Lega, tanto la Lega di protesta quanto quella di governo, ha in proposito una lunga tradizione alle spalle, cominciando dallo “sparate sui barconi” dell’indimenticabile Borghezio.
Gli italiani hanno creduto a Salvini, itinerante in felpa-manifesto (tipica appunto “stop invasione”), presente mattina pomeriggio sera in ogni casa grazie alla compiacente televisione. Gli italiani hanno creduto che Salvini possa a capo dell’esecutivo risolvere i loro problemi. Il lavoro? La casa? La sicurezza? “Prima gli italiani”, ha sempre risposto, riversando sugli altri, Bruxelles o il povero esule sbarcato in Sicilia e naturalmente il governo, la responsabilità di tutto, la colpa universale. Neppure dei vaccini si è dimenticato... Lasciando immaginare il paradiso magicamente dietro l’angolo.
Si dovrà capire perché gli italiani “hanno creduto”. Ci sarà di mezzo l’immigrazione con la paura che ne consegue, ci sarà sull’altro fronte a prevalere una “questione economica” (con l’illusione del reddito di cittadinanza). Si dovrebbero prendere in considerazione la sfiducia nei confronti del governo in carica (ma non ho ascoltato mai una critica dettagliata da parte di Salvini ai provvedimenti economici dell’esecutivo e mi sarei aspettato un plebiscito per il Pd a Chieri, sede di quell’impresa, l’Embraco, salvata almeno per un anno dal ministro Calenda). Non si può trascurare l’antipatia suscitata da Renzi e dal suo clan. Però credo che, da una parte e dall’altra, contino il fideismo e l’illusionismo dei capi, contino la pessima o cattiva informazione, cui corrisponde la mancanza di lettura, di riflessione, di discussione (sarebbe interessante analizzare quale grado di consapevolezza della realtà inducano i programmi rai di maggior ascolto), contino la crisi e la sparizione di tutti i luoghi di formazione politica e culturale, dalla scuola, alle sezioni, alle fabbriche, alla stessa famiglia, conti un genere di comunicazione che sarà tecnologicamente avanzata, ma che esclude il dialogo e consente solo lo slogan (i politici che si esprimono attraverso twitter). Conta tutto il peggio di questa nostra società in crisi, senza morale, senza cultura, senza orizzonti. Prima che ai partiti, a questo si dovrebbe forse pensare, nella fine delle ideologie storiche che attorno a una idea potevano rinsaldare la solidarietà di un paese, mentre si gonfia d’ambizione un’altra ideologia, quella del “localismo” degli interessi (una volta si sarebbe detto del corporativismo) senza classi.
Raccolti i voti, Salvini dovrà garantire qualcosa alla valanga dei consensi e una prospettiva alla felicità del successo. Dovrà abolire la legge Fornero e introdurre la flat tax... Dovrà persino rispondere ai cittadini calabresi che lo hanno eletto. Forse si fermerà prima, nell’impossibilità di mettere insieme una maggioranza.
Per chiudere, a una domanda non si può rinunciare: perché Milano è diventata la “roccaforte rossa” (rosa più esattamente) con il Pd al 27 per cento, avanti soprattutto nei quartieri centrali o semicentrali, Milano dove non passano cinquestelle e leghisti (17, 7 e 16,7 per cento)? “Buongoverno”, ha spiegato il sindaco Sala. Buongoverno anche di fronte all’emergenza dell’immigrazione o più in generale delle povertà. Forse ci si dovrebbe rifare alla secolare cultura illuminista (quindi, razionale) della città, al suo pragmatismo, al benessere d’oggi e al suo cosmopolitismo, pure al renzismo milanese di sicuro meno arrogante del Renzi nazionale. Tutto segnala un primato, ma anche distanza e divisione.