Fissato il tetto al prezzo del gas, ma servono acquisti in comune
La montagna ha partorito e non è, stavolta, un topolino ma un topo tutto sommato dignitoso. I ministri dell’Energia dell’Unione, riuniti ieri a Bruxelles, hanno fissato il price cap (che non c’è motivo per cui non lo si chiami tetto al prezzo) del gas a 180 euro al megawatt/ora. Si tratta di una cifra ben più bassa dei 275 euro che erano stati spropositatamente indicati dalla Commissione nell’ultima sua proposta, che aveva fatto infuriare quindici cancellerie europee, ma abbastanza alto per evitare di stravolgere il mercato, come temevano gli ayatollah liberisti sparsi per il mondo e particolarmente vocianti nei Paesi Bassi (Borsa di Amsterdam), in Norvegia (paese fornitore), negli USA (idem) e in Germania. Ebbene, sono stati proprio i tedeschi a convertirsi alla penultima ora e a recedere dalle dure resistenze che avevano opposto fino alla settimana scorsa. E poiché nella ponderazione dei voti nel Consiglio la Germania conta un bel po’, il passaggio di fronte di Berlino è stato decisivo. Il tetto è stato varato, così, con una maggioranza qualificata: ventiquattro paesi a favore, contro la solita Ungheria di Viktor Orbán e due astenuti, Paesi Bassi e Austria.
Nel suo buen retiro Mario Draghi si godrà la sua rivincita tardiva. Forse non si può proprio dire che il price cap l'avesse inventato lui, ma non si può negare che ne sia stato a lungo il più acceso fautore. C'è da scommettere che l'attuale inquilina di palazzo Chigi ne rivendicherà l'eredità, anche se non si può certo dire che nella decisione dei ministri dell'Energia abbia avuto un ruolo più incisivo dell'ovvia rivendicazione del fatto che si tratta di una misura a lungo sostenuta dall'Italia.
La minaccia di Putin

D’ora in poi, quindi, i paesi partecipi dell’accordo – quelli dell’Unione, ma niente impedisce che se ne aggiungano anche altri – se alla Borsa di Amsterdam le quotazioni supereranno per tre giorni di seguito la soglia fissata non pagheranno un centesimo di più di 180 euro, ovvero 191,27 dollari (al cambio odierno), ai paesi fornitori. O meglio: al paese fornitore, giacché è arcinoto che la misura è stata pensata, e dopo una lunghissima e altrettanto travagliata gestazione messa nero su bianco, per il gas che arriva dalla Russia. La quale Russia non solo non è per niente contenta, ma sono mesi che va minacciando dure ritorsioni. Intanto, ma non solo, la più semplice e radicale di tutte: l’interruzione sic et simpliciter delle forniture ai paesi che aderiranno al tetto.
Resta da vedere se Vladimir Putin, che da settimane lo va ripetendo, terrà fede alla minaccia. Dovrebbe sapere anche lui che la deterrenza del blocco dei gasdotti rispetto a qualche mese fa si è drasticamente ridotta, se non ancora volatilizzata. Tutti i paesi hanno differenziato le fonti e accumulato riserve sufficienti a non farsi ricattare, almeno non troppo, per quest’inverno. E pure se il problema potrebbe riproporsi nel prossimo autunno, le incertezze della congiuntura internazionale sono tali e tante che non si può che ragionare su termini temporali molto più vicini.

L’altra, decisiva, domanda cui il prossimo futuro dovrà dare una risposta è se il tetto riuscirà veramente a far abbassare i prezzi al consumo, che sono poi il vero grossissimo problema dei mesi passati e, prevedibilmente, di quelli futuri. Il timore è che in mancanza di altre misure antispeculative il mercato riesca a “mangiarsi” comunque i benefici ottenuti pagando meno i fornitori. In ogni caso, sarebbe illusorio ritenere che la misura adottata dai ministri europei possa avere effetti immediati sull’inflazione, anche su quella quota di inflazione che i calcoli complicati degli specialisti attribuiscono all’aumento dei costi dell’energia.
Acquisti in comune
Insomma, bene, benissimo il price cap (anche in inglese), ma servirebbe dell’altro. Innanzitutto una scelta che sarebbe a portata di mano se non incontrasse sulla propria strada le stesse obiezioni ultraliberistiche che si opponevano al tetto: la comunitarizzazione degli acquisti. Un po’ come le famiglie che si uniscono per fare la spesa in comune, se gli stati riuscissero a mettere in comune gli acquisti e le stipule di contratti di fornitura a lungo termine si potrebbero ottenere risparmi molto considerevoli. Qualcosa si sta facendo, ancora però non a livello di stati ma di grandi imprese italiane, tedesche, francesi, belghe e olandesi. Ma per trattare sui prezzi con i paesi fornitori, gli Stati Uniti, in primo luogo, e poi la Norvegia, il Qatar e gli altri, debbono intervenire la politica e la diplomazia.
Sarà bene, insomma, considerare la decisione presa ieri dai ministri dell’Energia come un primo passo. O meglio: una parte del lavoro cui dovranno dedicarsi tutti i governi dell’Unione per rivedere la politica energetica complessiva, con gli impulsi da dare alle fonti alternative e, finché sarà necessario (si spera il minor tempo possibile), con un controllo e misure calmieranti del prezzo del gas.