Sull’attentato al Cremlino l’ombra di divisioni tra Kiev e Washington
Un precedente ci fu, ed è stato citato da più parti nelle ricostruzioni del misterioso attacco con i droni al Cremlino. Il 28 maggio del 1987 un piccolo aereo da turismo con l’insegna tedesco-federale sulla coda atterrò sul ponte di fronte a San Basilio per andare a fermarsi a due passi dalla cattedrale. Il pilota si chiamava Matthias Rust, aveva 19 anni e fu accolto senza ostilità dai moscoviti che non credevano ai propri occhi. Poi fu arrestato, processato per aver violato lo spazio aereo e le leggi sull’immigrazione nell’Unione Sovietica, ma se la cavò, tutto sommato, con poco. Restò in carcere poco più di un anno, poi fu graziato e rispedito in Germania dove, dopo qualche intemperanza giudiziaria, scomparì dalla scena pubblica.
L’impresa di Rust
Il ricordo dell’impresa di Rust è molto pertinente nei commenti a quanto è accaduto nella notte tra martedì e mercoledì scorso tra il cielo e la terra del sancta sanctorum del potere russo. Lo è per due motivi: il primo è che sembrerebbe proprio che in 35 anni nulla sia cambiato nella difesa aerea della capitale dell’impero.
Il giovane tedesco ebbe dalla sua, oltre al coraggio e una particolare abilità di pilota per sfuggire ai radar, anche una buona dose di fortuna giacché quel 28 maggio nei cieli tra la Finlandia e Mosca era in corso una esercitazione della difesa aerea per la quale tutti velivoli erano segnalati come “amici” dai sistemi di allarme.
La notte tra il due e il tre di maggio scorsi, invece non c’era – che si sappia – alcuna esercitazione e ai responsabili della difesa incombe perciò l’onere di spiegare come sia stato possibile che due droni (perché erano due, non uno e sono caduti sulla cupola a distanza di parecchi minuti l’uno dall’altro) abbiano solcato il cielo di Mosca senza che nessuno se ne accorgesse fino al momento dell’impatto. Ce n’è per un bel repulisti tra i vertici militari responsabili della difesa aerea.
La teoria del complotto
Ce ne fu anche allora – e qui è la seconda analogia tra i due episodi – e Mikhail Gorbaciov che in quella primavera dell’87 stava cercando molto faticosamente di far andare avanti la sua perestrojka sottraendola alle dure resistenze dei conservatori ne approfittò per liberarsi dei ministri della Difesa Sergeji Sokolov e dell’aviazione Aleksandr Koldunov nonché di parecchi altri alti gradi militari che gli erano ostili. Qualcuno in occidente arrivò a sostenere che l’impresa folle di Rust era stata organizzata dai servizi tedeschi e americani proprio per offrire al leader sovietico che voleva la distensione l’opportunità di consolidare il proprio potere.
Una teoria complottistica abbastanza spericolata e però il sospetto del complotto ordito dal potere stesso insediato al Cremlino si affaccia anche sull’attentato con i droni.
L’ipotesi dell’auto-attentato

In questo caso il beneficiario della manovra non sarebbe un leader in cerca di benemerenze democratiche ma, al contrario, l’autocrate che avrebbe egli stesso organizzato o quanto meno autorizzato l’auto-attentato per: 1) far salire ancora la tensione attribuendolo ai “nazisti” di Kiev e giustificare ritorsioni a suon di missili e bombe; 2) far capire la gravità della situazione e i pericoli per la patria a un’opinione pubblica interna in cui serpeggiano qualche stanchezza e qualche malumore per l’”operazione speciale” che dura da troppo tempo con pochi risultati; 3) mostrare all’opinione pubblica internazionale la malvagità di un nemico che non si farebbe scrupolo di ricorrere al “terrorismo” (resterebbe poi da spiegare perché l’uccisione di un governante sarebbe esecrabile terrorismo mentre l’uccisione di civili innocenti provocata bombardando indiscriminatamente le città ucraine non lo sarebbe).
Contro la teoria del complotto con auto-attentato, che è stata subito fatta propria dai più stretti collaboratori di Volodymyr Zelensky, il capo di gabinetto della presidenza Andrji Yermak e il superconsigliere Mikhailo Podolyak, e ufficializzata dallo stesso presidente, militano solide obiezioni. Su tutte una: gli eventuali vantaggi propagandistici che il Cremlino ricaverebbe da un attentato fatto in casa sarebbero ampiamente controbilanciati dallo spettacolo offerto gratuitamente al mondo di una clamorosa prova di inefficienza e di debolezza. E stavolta non ci sarebbe neppure –almeno che si sappia – la contropartita della liquidazione di apparati militari infedeli o sgraditi al potere attuale.
La terza ipotesi: complotto interno

Oltre alla tesi dell’attacco ucraino sostenuta da Putin, dal presidente della Duma e con le solite invocazioni paranoiche alla rappresaglia del capo del consiglio di sicurezza della Federazione russa Dmitrji Medvedev, e quella dell’auto-attentato ordito dal Cremlino sponsorizzata dall’establishment politico di Kiev, ce ne sarebbe in realtà una terza, secondo la quale l’azione sarebbe stata concepita in Russia, ma non dal potere bensì da una fazione contraria a Putin.
Resterebbe però da chiedersi chi sarebbero i misteriosi oppositori determinati a dare un segnale tanto forte. Cittadini russi filoucraini, pacifisti contestatori della spezoperatjia putiniana? Oppure oppositori alla politica di Putin da “destra”? Ambienti legati al duro Medvedev, se si dà credito a certe analisi americane secondo le quali tra Putin e il suo ex pupillo non c’è solo il gioco del poliziotto buono e del poliziotto cattivo ma una reale divergenza di pareri sull’andamento della guerra e soprattutto sull’eventuale uso del nucleare tattico? Oppure al riottoso capo in testa della Brigata Wagner Evgenji Prigožin, che da molte settimane non smette di criticare aspramente la dirigenza moscovita per il modo in cui vengono gestite le operazioni militari sul campo?
Una certezza e molte incertezze
Se la tesi giusta fosse quella dell’auto-attentato o del complotto interno potremmo non saperlo mai. Se l’analisi dei resti dei droni sui quali in queste ore stanno sicuramente lavorando i migliori esperti della Federazione dovessero portare alla conclusione che si tratta di ordigni in possesso delle forze russe, il Cremlino eviterebbe certamente di farlo sapere, né una certezza verrebbe dalla eventuale scoperta che si tratti di ordigni in dotazione agli ucraini: troppo facile sarebbe sostenere una classica operazione di camouflage.
Nel complicatissimo gioco della propaganda che si sviluppa intorno a quel che è successo la notte tra martedì e mercoledì una sola cosa è ragionevolmente certa: gli attentatori non miravano ad uccidere Putin. Tutti sanno infatti che il presidente non dorme mai al Cremlino e la traiettoria dei due droni, nonché la loro portata esplosiva, lascia pensare che si sia trattato di un attentato gravissimo, sì, ma simbolico. L’obiettivo poteva essere la bandiera russa collocata sulla cima della cupola, anche se si sono comunque sfiorate delle vittime giacché il secondo drone è esploso proprio mentre si stavano arrampicando due persone, presumibilmente agenti della sicurezza inviati ad accertare i danni prodotti dalla prima esplosione. I due per loro fortuna non sono stati investiti perché il secondo drone è caduto sull’altro lato della cupola.
I rapporti tra Usa e Ucraina

Vedremo nelle prossime ore e nei prossimi giorni che cosa vorranno far sapere i russi delle indagini e quale delle tre ipotesi in ballo prevarrà sulle altre. Con un ulteriore elemento di incertezza, però. Se si dovesse arrivare alla conclusione che i droni sono stati telecomandati dagli ucraini con il pieno consenso – si presume – dei dirigenti politici del paese, bisognerebbe constatare che Zelensky e i suoi uomini lo avrebbero fatto non solo senza concordarlo con gli americani ma contro il parere del Pentagono, del Dipartimento di Stato e, forse, della Casa Bianca.
Le reazioni americane all’accaduto sono molto chiare e non lasciano adito al dubbio che si possa trattare di un gioco delle parti. Il Segretario di Stato Antony Blinken e i vertici militari hanno espresso preoccupazioni molto serie sulle eventuali reazioni di Mosca e, fatto senza precedenti, dal Dipartimento di Stato è partita la raccomandazione a tutti gli americani presenti a Kiev di lasciare la città.
Non sarebbe la prima volta che gli ucraini “disobbediscono” alle raccomandazioni americane a non coinvolgere nella guerra il territorio russo. Ma una cosa sono le azioni, ormai abbastanza frequenti, contro depositi di armi o di carburanti nelle vicinanze del confine ucraino, un’altra un attacco nel cuore di Mosca al simbolo più importante del potere.
La “disobbedienza” di Kiev
I russi stessi avvalorano in qualche modo la tesi di una possibile “disobbedienza” di Kiev a Washington. Il portavoce di Putin Peskov ha sostenuto, sì, la tesi secondo cui “dietro il terrorismo di Kiev ci sono gli americani” provocando la durissima, e del tutto credibile, smentita del capo del Consiglio di Sicurezza degli Stati Uniti, ma varie fonti moscovite hanno molro insistito nell’attribuire l’organizzazione dell’attentato al superfalco dei servizi segreti ucraini Kirilo Budanov, ideatore del clamoroso attentato al ponte di Kerch, che unisce la regione russa di Krasnodar direttamente alla Crimea: Come si ricorderà, su quell’attentato il Dipartimento di Stato americano espresse un altrettanto clamoroso dissenso, quasi in contemporanea con le manifestazioni di soddisfazione patriottica inscenate invece da Zelensky e dai suoi collaboratori. Le differenze non potevano essere più evidenti. Sempre per restare in zona, la città di Krasnodar è stata teatro nelle ultime ore di un pesante attacco di droni ucraini.
L’attentato al Cremlino, sempre che si ritenga fondata la tesi delle responsabilità ucraine, sarebbe dunque un’ulteriore segnale di divaricazione, almeno tattica se non strategica, tra Kiev e Washington? Parrebbe di sì e ciò confermerebbe il fatto che nella NATO esistono diverse linee sulla condotta e soprattutto sugli obiettivi della guerra e della escalation delle forniture di armi all’Ucraina: portare i combattimenti dentro il territorio della Federazione russa? Ridimensionare la Russia nel territorio del fu Granducato di Moscovia, come si sente dire in Ucraina, in Polonia e nei paesi baltici da qualche tempo? Infliggere alle truppe di Putin una sconfitta umiliante per costringerlo a lasciare il potere? Ucciderlo? Sostituirlo? E con chi? Tutte domande per ora senza risposta. Zelensky intanto si dice sicuro che “gli F16 stanno per arrivare”, i russi continuano a bombardare i civili senza pietà e di trattative o cessate-il-fuoco non parla più nessuno.
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