Stretta monetaria e inflazione: incubo per l’Italia

Nel tentativo di mettere un po’ di ordine in classe per ricordare agli alunni che ci sono buone regole da rispettare, la Banca centrale europea ha fischiato la fine della ricreazione e invitato tutti a rimettersi sui binari del rigore nei conti e del controllo del debito pubblico. È stato un richiamo atteso, dopo due anni di pandemia e di generosi aiuti europei per tutti, ma i tempi e i contenuti della comunicazione si sono rivelati un disastro. Christine Lagarde ha annunciato che a luglio la Bce alzerà i tassi d’interesse, e poi continuerà, congiuntamente alla cessazione del quantitative easing, cioè dell’acquisto dei titoli del debito pubblico dei Paesi dell’euro. Un provvedimento, quest’ultimo, di cui l’Italia ha beneficiato in misura larghissima nel biennio del Covid-19. La Bce, infatti, ha sottoscritto i nostri Btp superando gli stessi limiti imposti dai regolamenti di Francoforte. La caduta repentina della Borsa e il balzo dello spread a 230 punti sono state le reazioni immediate ma potrebbe essere solo l’antipasto di nuova fase economica non proprio serena per il nostro Paese. La Bce, divisa sulla linea da seguire e tragicamente incerta nell’informazione ai mercati, è stata costretta (forse anche per qualche telefonata furibonda partita dalle capitali europee) a correre subito ai ripari annunciando misure tecniche anti-spread non ancora ben definite, a protezione dei Paesi dell’euro più indebitati, cioè noi.

L’America tira il freno, l’Europa balbetta

La svolta di Francoforte arriva dopo mesi di attesa e soprattutto segue, forse in colpevole ritardo, la rigorosa stretta monetaria americana avviata dalla Federal Reserve per raffreddare l’economia e fermare l’inflazione arrivata negli Stati Uniti al livello massimo degli ultimi quarant’anni. La Fed ha aumentato di nuovo i tassi di 0,75 e continuerà almeno per tutto l’anno in corso perché vuole riportare sotto controllo la dinamica dei prezzi, considerata una minaccia per l’intero sistema. In America sono tornati i toni durissimi dell’epoca di Paul Volcker, il mitico presidente della Fed passato alla storia per aver sconfitto l’inflazione, pur provocando qualche milione di disoccupati e spingendo l’economia in recessione. Anche l’Europa deve tenere a bada l’inflazione, ben sopra la media del 2% sempre auspicata da Francoforte, e attutire l’impatto tremendo del costo dell’energia importata che crea problemi alle imprese e taglia il reddito delle famiglie. Anche se a Bruxelles si sosteneva pochi mesi fa che “l’inflazione è un fenomeno momentaneo”, oggi la crescita dei prezzi ha conseguenze drammatiche sul fronte sociale e rischia di peggiorare con le previste tensioni sul mercato dell’energia.

Mario Draghi
Mario Draghi

La questione salariale è l’emergenza italiana

La situazione è questa: il Patto di stabilità resta sospeso quest’anno, la nostra economia rallenta nettamente ma non va per ora in recessione, il tessuto industriale mantiene una forza e una solidità di fondo che fanno sperare di poter evitare il peggio. Il problema è che il progressivo esaurimento della extra protezione della Bce lascia l’Italia un po’ scoperta in un momento delicato, soprattutto per il peso enorme del debito pubblico e le conseguenze sociali dell’inflazione.

L’annosa questione dei salari diventa oggi esplosiva per la mancanza di reali tutele per chi lavora. Da trent’anni le retribuzioni reali non aumentano, anzi sono leggermente calate, mentre ovunque in Europa sono cresciute; in Italia non c’è ancora il salario minimo legale e la Direttiva europea che sollecita l’adozione di questo intervento è stata snobbata dalla Confindustria, trascurata da buona parte dei partiti e anche dai sindacati che vorrebbero lasciare tutto il potere alla contrattazione, strumento sempre più debole come testimonia la caduta delle retribuzioni e l’impoverimento del mondo del lavoro.

Boom dei precari, dumping sociale a favore delle imprese

 C’è una chiara sottovalutazione delle conseguenze che possono derivare da una flessione del potere d’acquisto dei salari, già bassi anche per la struttura del mercato del lavoro che conta oggi su oltre 3 milioni di contratti a tempo determinato, un’enormità che favorisce un dumping sociale di cui le imprese hanno sempre beneficiato per recuperare margini di competitività. L’Istat ha raccomandato che nei prossimi rinnovi contrattuali gli aumenti siano pari al 4,7%, ma in maggio il tasso d’inflazione annuo è arrivato al record del 6,8% (bisogna tornare al 1990 per trovare un livello così alto). Quindi mancano almeno un paio di punti percentuali di riequilibrio, ma i lavoratori restano penalizzati perché l’eventuale recupero dell’inflazione esclude l’impatto dei costi dell’energia importata. Un’autentica fregatura. Nessuno sogna la scala mobile, anche se la direttiva europea sul salario minimo legale parla di “indicizzazione automatica” da attivare periodicamente, però un intervento politico forte e coerente sui salari è indispensabile. Resta da capire chi possa intestarsi questa battaglia.

Il bonus di 200 euro e il tentativo di porre un tetto ai listini di benzina ed energia sembrano strumenti utili ma non decisivi per contrastare una situazione delicata che rischia di deflagrare in autunno. Dopo quattro mesi di guerra in Ucraina, la Russia inizia a tagliare le forniture di gas all’Europa e all’Italia mentre i prezzi continuano a salire. Le sanzioni imposte a Mosca, che avrebbero dovuto mettere in ginocchio l’economia russa in trenta giorni secondo le previsioni occidentali, non sono state finora decisive per fermare l’invasione e costringere Putin alla pace.