Storie di spionaggio a Mosca. Dal diplomatico italiano espulso a Naval’nyj
Nulla di più nulla di meno di ciò che la Farnesina si aspettava da Mosca quando, il 31 marzo decise l’espulsione di due funzionari dell’ambasciata russa. Per amore di verità bisogna dire che i due russi furono mandati a per esser stato trovato, uno dei due, con le mani nel sacco. O meglio: con le mani sulla bustarella del militare italiano Walter Biot, arrestato per avere ricevuto soldi in cambio di documenti riservati. Ma la verità non è concetto adatto alle relazioni internazionali. Curzio Pacifici, vice addetto militare italiano a Mosca, è stato invece dichiarato “persona non grata” in modo “ingiusto” – dichiara il nostro ministero degli Esteri – per ritorsione. Ma Pacifici, si fa notare negli ambienti diplomatici, sarebbe comunque rientrato a breve.

Schermaglie, insomma, dal danno previsto e contenuto, che ci raccontano al massimo la passione mai sopita di Mosca per lo spionaggio e la diplomazia.
Diciassette discorsi di Putin
Più interessante è soffermarsi sugli altri eventi russi degli ultimi giorni e settimane. Sul fronte internazionale: le esercitazioni militari russe al confine con l’Ucraina, le limitazioni all’ingresso di navi nel Mar Nero, la dichiarazione della fine delle manovre militari dopo l’esposizione della propria forza. Sul fronte interno: l’interruzione dello sciopero della fame in carcere da parte di Aleksej Naval’nyj, la inclusione delle Ong che fanno capo al movimento di Naval’nyj nella lista nera delle organizzazioni estremiste.
Infine: il 17° discorso alla nazione di Vladimir Putin (il primo lo aveva tenuto nell’anno 2000), tenuto davanti alla Duma il 21 aprile scorso.
Mettere in fila questi eventi consente di farsi la domanda: dove sta andando la Russia?
Purtroppo la risposta non è affatto chiara, il quotidiano russo Kommersant ha messo a raffronto i testi del primo e dell’ultimo discorso programmatico di Putin. Ne viene fuori che scompare l’importanza della concorrenza fra i partiti, sostituita dalla necessità di unità del paese soprattutto in periodo elettorale (a settembre si vota), che la parola libertà non è più fra quelle più frequentemente usate nel discorso politico. Scompare l’apertura al mondo, al cui posto c’è l’avvertimento che la Russia è sempre pronta all’amicizia e a rispettare gli impegni ma si deve sapere che è anche pronta a una “risposta asimmetrica, rapida, dura”.
Potenza e sovranità contro lo stato di diritto
Se si fa eccezione per l’insistenza sul ruolo di potenza e di sovranità a discapito della costruzione di uno stato di diritto, non si intravede alcuna visione prospettica sul futuro del paese, che soffriva ancora prima della crisi pandemica del calo dei prezzi delle materie prime. Può darsi che, se il mondo riuscirà ad avere la meglio sul Covid, ci sia un rimbalzo positivo nel paese esportatore di materie prime e che Putin riesca a mantenere la promessa di far crescere i redditi. Ma sul lungo periodo il benessere dei russi resta in balia delle oscillazioni del grezzo. Mentre è chiaro dagli atti, prima ancora che dalle parole, che non intende consentire spazi al movimento di opposizione dei seguaci di Naval’nyj.
Una mancanza di prospettive positive che, trattandosi di un paese gigante, dovrebbe preoccupare non solo i russi ma anche il resto del mondo, a cominciare da Europa e Stati Uniti.
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