“Sono italo-congolese e sento il razzismo
Ma dobbiamo battere odio e violenza”
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Mi chiamo Michel Alimasi, ho 27 anni e mi ritengo uno “strategico ottimista”, perché credo che molti problemi del mondo si possano risolvere con le giuste dosi di competenza, di passione e di immaginazione. Sono laureato in Scienze Internazionali e Diplomatiche (Università di Bologna, Campus di Forlì) e attualmente lavoro presso uno studio di consulenza per il terzo settore. Giro l’Italia aiutando le organizzazioni, come le associazioni non profit e le imprese sociali, nella definizione delle proprie strategie e nella generazione di un impatto sociale sul territorio.
Sono membro attivo di diverse associazioni e di network internazionali, per questo ho partecipato a diversi progetti in alcune aree del mondo: dai ghiacciai della Groenlandia ai grattacieli di New York, dai mercati di Casablanca alle campagne dell’Armenia. Una delle mie citazioni preferite? Il fascismo si cura leggendo, il razzismo si cura viaggiando.
Ti consideri cittadino del mondo?
Sì, per questo non amo le frontiere, i visti e tutto ciò che crea l’uomo per impedire la libera circolazione delle persone. Il mio cosmopolitismo lo devo alle mie origini meticce. I miei nonni paterni, congolesi, possedevano una piantagione di caffè in Burundi. All’epoca entrambe le nazioni, assieme al Ruanda, facevano parte dell’impero coloniale belga. Il sistema coloniale era fondato sull’assenza di confini geografici tra questi stati, ma imponeva una rigida separazione tra colonizzatori e colonizzati. I bianchi vedevano le popolazioni locali come inferiori e da dominare.
Mio padre, come primogenito, avrebbe dovuto farsi carico del futuro della famiglia, per questo iniziò sin da piccolo a viaggiare per perfezionare i suoi studi e per raggiungere i suoi sogni. Studiò in Ruanda, Congo, Arabia Saudita, Siria e infine Francia. Il periodo francese segnò l’inizio di una nuova vita: a Parigi, mio padre incontrò mia madre, bianca e italiana. Erano gli anni ’80 e Riccione diventò la casa per la nuova avventura dei miei genitori. Mio padre, partendo dal Burundi e dal Congo, ha fatto il giro del mondo fino ad arrivare in Italia. Io, pur non essendo ancora stato in Congo, sento di essere a casa in ogni angolo di questo pianeta.
Sei attivo nel mondo dell’associazionismo giovanile europeo e mediterraneo. Perché lo fai?
L’impegno dentro le associazioni nasce al Liceo, quasi otto anni fa. In questo modo cerco di esprimere chi sono, impegnarmi per cambiare il mio ambiente, migliorarlo. Rispondo così all’individualismo e all’appiattimento sul presente del nostro tempo, cercando di trasmetterlo nelle associazioni che ho contribuito a fondare e in cui sono volontario.
Penso che come studenti, e non solo, si possa ambire ad essere cittadini attivi. Si possono sviluppare progetti europei e internazionali, a favore dell’ambiente, del progresso e della partecipazione attiva delle giovani generazioni. Sono tutte possibilità per capire chi si vuole essere e quali sono le questioni che il mondo ci pone. Come volontario ho imparato ad accettare la complessità del presente e ho capito che è già importante riflettere e impegnarsi su temi le cui soluzioni non sono immediate.
Sei italo-congolese, attento ai temi delle minoranze, attivo nelle battaglie contro il razzismo. Il razzismo come è cambiato in questi anni?
Il razzismo è sempre esistito, in Italia come all’estero, tuttavia prima era più nascosto. Si poteva discriminare e avere pregiudizi verso lo straniero, ma il tempo della riflessione permetteva di capire come sconfiggerlo e combatterlo. Attualmente è così diffuso, sia con le parole che con le azioni, da non essere più controllabile. Ormai è nelle istituzioni.
Anni fa pensavo che, con la presenza degli stranieri nella nostra vita quotidiana, il razzismo sarebbe diminuito. Non avrei mai immaginato un’esplosione come questa.
Perché gli stranieri non agiscono collettivamente contro il razzismo? Perché non è nato un movimento antirazzista tra gli stranieri?
L’universo degli stranieri è eterogeneo e frammentato, questo porta a far prevalere la logica comunitaria dei veri gruppi che lo compongono. Le varie comunità non parlano tra di loro, ed è anche per questo che manca la consapevolezza di lottare collettivamente contro il razzismo e a difesa di istanze che si considerano importanti per vivere dignitosamente nel nostro paese.
Come vedi la sinistra?
La sinistra ha una visione appannata e probabilmente fuori dal tempo rispetto ai problemi sociali di oggi. Manca l’analisi teorica, non è solo un problema della sinistra italiana ma è mondiale. Appartengo alla generazione cresciuta nei tragici anni d’oro del berlusconismo. Oggi la situazione è nettamente peggiorata. Il berlusconismo ha portato a credere che tutti potessero diventare ricchi, sognare di essere come Berlusconi, aspirando al denaro, al successo e all’eterna giovinezza. Ora, le ossessioni per il successo e per l’apparenza si sono mescolate con l’esaltazione della mediocrità e con l’assenza del minimo interesse per un miglioramento personale e collettivo. Si può essere uguali nella mediocrità, ovvero nell’idea che non sia importante sforzarsi per far progredire il nostro paese, tutelando i nostri diritti e affermandone altri.
Di fronte a tutto ciò, la sinistra non ha saputo trovare un’alternativa, probabilmente ne è stata fagocitata. Non ha sviluppato idee e categorie nuove per capire il presente. Ciò che mi rammarica di più è notare che la sinistra non educa più, ad esempio, portando avanti battaglie che permettano di immaginare il futuro con speranza. Quando parlo di sinistra non mi riferisco solo ai partiti, ma anche all’associazionismo, ai centri di pensiero e alle organizzazioni sindacali. È drammatico sapere che lavoratori iscritti alla CGIL, addirittura dell’Emilia Romagna, siano diventati sostenitori della Lega o del M5s, senza problemi, dimenticando la storia di questo importante sindacato.
Discuti di politica con i tuoi amici?
Discuto spesso con i miei amici di politica e di razzismo. Non vengono quasi mai prese in considerazione le risposte razionali con dati o esempi storici, al contrario, il consenso è affermato solo con lo scandalo e con la violenza. Non mi arrendo, perché ho la speranza di innescare dentro di loro, nel lungo periodo, il dubbio, una possibile riflessione, che li spingerà a valutare altre prospettive.
Vivi a Riccione, poche settimane fa a Rimini è stata organizzata una ronda da parte dei neofascisti. I movimenti neofascisti sono diffusi tra i giovani?
La ronda è stata organizzata da Forza Nuova Romagna e da un’organizzazione neofascista polacca. Due estreme destre si incontrano nella riviera e fomentano azioni violente, di stampo neofascista. Non è possibile che non si comprenda la pericolosità: è stato un evento pensato e organizzato, tutto questo sottolinea il carattere internazionale dell’estrema destra. Nel 2017 ho partecipato a un progetto riguardante la lotta agli estremismi violenti ad Addis Abbeba (Etiopia). Ho ascoltato le testimonianze di un superstite norvegese alla strage Utoya e di un ex militante svedese di estrema destra. Mi ha colpito la facilità con cui i ragazzi e le ragazze entrano a contatto con questi movimenti e ne restano affascinati. I motivi per cui si comincia ad aderirvi sono l’emarginazione sociale e i conflitti familiari. Non è facile uscirne fuori, perché si è consumati dall’ideologia dell’odio e della violenza.
Pensi che in Italia si sia arrivati a questo?
Si va verso quella direzione: gli episodi di violenza razzista degli ultimi mesi lanciano un allarme. Infatti, non si deve sottovalutare l’aumento del consenso alle idee dei movimenti neofascisti. Dove abito io, a Riccione, il sostegno attivo ai neofascisti non è diffuso, perché è ancora considerato dalla maggioranza un disvalore militare in questi movimenti. Il problema si porrà quando la maggioranza comincerà a pensare che le idee di odio, di violenza e che inneggiano al fascismo non siano più così inaccettabili. A quel punto ci si sentirà liberi di iscriversi, senza vergogna, a queste organizzazioni.
Per essere ottimisti servono degli elementi del presente che facciano intravedere un futuro migliore. Quali sono quelli che alimentano il tuo ottimismo?
Il mio lavoro e l’attivismo associativo mi portano a confrontarmi quotidianamente con ragazze e ragazzi dalle storie straordinarie. Sono ragazzi normali che riescono a raggiungere risultati eccezionali, con l’impegno e il desiderio di miglioramento. Dovremmo ripartire da queste storie, per non restare intrappolati nel “così fan tutti”, per progredire come società e come persone.
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