“Solo colpa degli scafisti”: il governo aumenta le pene e nega la verità

L’unica lezione che il governo Meloni ha tratto dalla tragedia di Cutro è la necessità di inasprire le pene per gli scafisti.  Nessuna assunzione di responsabilità, nessuna scusa per i morti dei quali forse non sapremo mai neppure quanti siano e neppure quella minima testimonianza di sensibilità umana che sarebbe stato la visita del luogo della tragedia, l’omaggio alle bare ancora in attesa d’una sistemazione dignitosa. E soprattutto nessun chiarimento sul perché i naufraghi non siano stati salvati quando in tutta evidenza chi avrebbe dovuto farlo non poteva non essere consapevole di ciò che stava avvenendo. L’argomento ripetuto in modo ossessivo e con una sconcertante stolidità dalla presidente del Consiglio è che se nessuno se la sente di sostenere che il non salvataggio è stato un atto deliberato del governo, allora nessuno può criticare il modo in cui la vicenda è stata trattata, fino alla sua amarissima conclusione. Come se non esistessero quelle che anche la più elementare consapevolezza dei doveri di chi gestisce lo stato definisce responsabilità politica.

La conferenza stampa

La conferenza stampa cui Giorgia Meloni si è presentata con i ministri Piantedosi, Nordio, Lollobrigida,  Tajani e Salvini al termine del Consiglio tenuto nella sede del Comune di Cutro, con una scelta che più che riparatoria della scandalosa assenza della capa del governo all’indomani della tragedia è parsa ai più demagogica (oltre che tardiva), è stata una bolgia. La visita era cominciata male, con il corteo di auto ministeriali che attraversava il paese scortata dalla polizia, un’immagine di distanza dalla gente di Cutro davvero sconcertante, ed è proseguita peggio. In una prima fase della conferenza stampa Meloni e Nordio hanno dettagliato tutte le misure che dovrebbero stroncare – così dicono, e chissà se lo credono davvero – la sporca attività dei trafficanti di uomini che speculano sulla disperazione dei migranti costretti a fuggire senza alcuna altra possibilità di farlo se non pagando carissimo il viaggio ai criminali. Le pene verranno aumentate – dice il decreto legge che è stato approvato nella riunione del Consiglio – fino a trent’anni di reclusione se il viaggio produrrà la morte di qualcuno. Gli scafisti potranno essere perseguiti dalla giustizia italiana anche se verranno accertate loro responsabilità per morte o lesioni gravi dei migranti diretti verso le nostre coste fuori dal territorio e dalle acque territoriali del nostro paese. Una sorta di “diritto universale” che dovrà passare qualche vaglio di legittimità e anche di logica (come faranno le procure a stabilire che eventuali imbarcazioni in cui si verifichino incidenti in mare aperto siano proprio in rotta verso l’Italia?). È un fatto, comunque, che sulla lotta al traffico di esseri umani sulle rotte verso l’Italia un’iniziativa del governo c’è. Il problema è che è davvero assurdo ritenere, come con ogni evidenza fa il governo Meloni, che quel capitolo copra la gigantesca dimensione del problema emigrazione e che tutto sia riconducibile ad esso. Anche i rapporti diplomatici con gli altri paesi. Non è chiaro se sia scritto nero su bianco nel decreto, ma Meloni ha declinato in conferenza stampa una sorta di graduatoria secondo la quale gli stati di partenza che collaboreranno con l’Italia nel contrasto al traffico avranno un trattamento di favore per quanto riguarda i flussi di emigrazione legale verso il nostro paese.

Aboliti i permessi umanitari

Anche la ripresa dei flussi migratori legali è stata, insomma, legata strettamente alla lotta contro gli scafisti, unico vero, ossessivo assillo del governo. Nelle parole di Lollobrigida, ministro dell’Agricoltura e perciò ben consapevole della necessità di “braccia” (così si esprimono) nelle nostre campagne, e poi in quelle di Salvini, che ha sottolineato con soddisfazione le limitazioni alle concessioni dei permessi di soggiorno travasate nel provvedimento dai famigerati decreti che portano il suo nome, si è avvertita l’eco dei contrasti che si sono manifestati in seno al governo nei giorni scorsi e che – va da sé – Meloni e poi tutti gli altri hanno negato assolutamente e attribuito alle “fantasie” dei giornalisti. Niente di “fantastico”, comunque, in una infamia ripresa tale e quale da quei decreti nel provvedimento di Cutro: l’abolizione dei permessi di soggiorno per ragioni umanitarie, quelli che hanno consentito in passato di salvare molte persone da espulsioni verso situazioni di pericolo e di compromissione di diritti fondamentali. Una concessione al leader della Lega di cui Meloni si è però vantata come se fosse cosa sua.

Fino a questo punto la conferenza stampa era stata caratterizzata da toni tutto sommato tranquilli. Ma, finita l’illustrazione del decreto legge, le domande dei giornalisti (di alcuni, almeno) hanno sollevato la questione che era, fin dall’inizio, nella mente di tutti: che cosa è veramente accaduto nel mare di fronte a Cutro nella notte tra il 25 e il 26 febbraio scorsi? La presidente del Consiglio, sempre più innervosita, ha adottato la linea che ha tenuto fin dal primo momento che, suo malgrado, è stata costretta a parlare. Non c’è niente da chiarire, non c’è alcuna responsabilità se non degli scafisti per quello che è successo: l’imbarcazione non era in distress (come si dice), l’aereo di Frontex l’ha scorta solo in prossimità delle acque italiane e non si capisce – dice lei con un accento polemico che finora era mancato– perché non l’avesse individuata durante il lungo tragitto dalla Turchia attraverso le acque territoriali greche, ha navigato tranquillamente fino a quaranta metri dalla costa calabra dove la sera del 25 si è nascosta per non farsi scoprire dalle forze dell’ordine italiane a terra e sono stati gli scafisti con una manovra avventata a farla rovesciare.

Nervosismo

Veramente la barca si era arrestata a quaranta miglia non a quaranta metri dalla costa. Forse si è trattato di un lapsus, ma l’impressione netta è che Meloni, nervosissima, sparlasse un po’ rendendosi conto di star propalando una versione dei fatti ancor meno credibile di quella fornita in parlamento, e ribadita anche a Cutro, da Piantedosi. E poi il mantra vagamente ricattatorio di questi giorni: se credete che il governo abbia deliberatamente fatto morire i profughi, ditelo come ha fatto qualche giornale (ce l’aveva con la Stampa), altrimenti statevi zitti e bevetevi quello che vi diciamo noi. Che non contempla la risposta alla domanda più semplice di tutte: se le motovedette della Guardia di Finanza mandate per un’azione di polizia verso la barca erano dovute tornare per il mare grosso e lo avevano comunicato alla Guardia costiera perché nessuno, neppure in quel momento, si è mosso per salvare i naufraghi? È la domanda che, lo vogliano o no, Meloni, Salvini e Piantedosi si porteranno dietro finché non ci sarà una risposta.

Al malumore dei giornalisti nella sala del Comune faceva riscontro il clima fuori. I rappresentanti del governo erano stati accolti con cartelli ostili e un lancio di peluche (a ricordare i bambini morti) contro l’auto di Meloni. Non è stata una buona giornata per il governo. Colpa sua.