“Noi abbiamo posto”, dal nord Europa mano tesa ai profughi siriani
Sono molte le città europee che, attraverso le dichiarazioni dei loro sindaci, le delibere dei consigli comunali e manifestazioni di cittadini, vogliono accogliere i profughi siriani vittime di anni di guerra e, da dicembre, dei nuovi raid aerei russi nella provincia di Idlib per sostenere il regime di Bashar Assad, difeso da Mosca col sostegno dell’ Iran. Negli ultimi quattro anni già sei milioni di siriani erano stati spinti verso il nord del Paese, man mano che il governo di Assad guadagnava terreno contro i ribelli spalleggiati dalla Turchia e da varie formazioni estremiste islamiche. L’ Unione Europea, già a settembre 2016, aveva calcolato che gli sfollati fossero tredici milioni e mezzo dall’inizio della guerra.
Nelle ultime settimane un altro milione di civili , nella provincia di Idlib, si è aggiunto ai profughi. Tutti sperano di entrare in Europa passando per il secondo inferno della loro vita di esuli, i campi per rifugiati di Lesbo e Moira, in Grecia. Ma le porte dell’Europa, per decisione di Bruxelles, sono ufficialmente chiuse, sebbene molti chiedano di affrontare il problema dei profughi senza ipocrisie e rinvii.
Un risiko pericoloso
Erdogan insiste nell’ inseguire il proprio progetto di restaurazione ottomana, creando nel Nord della Siria un’estensione territoriale della Turchia: la cartina geopolitica gli assegna ancora la parte settentrionale del Paese attorno ad Afrin, mentre traballa, dopo l’offensiva aerea di Putin a Nord-Ovest, la provincia di Idlib.
Assad, con l’appoggio di Mosca e il sostegno iraniano, ha di fatto riconquistato l’autostrada strategica, la M5 da Aleppo a Damasco, che passa per le importanti città di Homs e Hama. La Siria entra nel decimo anno di guerra ed è distrutta, ma prima, per questa arteria stradale, passavano merci e interessi per un valore di venticinque milioni di dollari al giorno, beni e affari che si irradiavano in tutto il Medio Oriente.
In mezzo a questa partita vi sono tre milioni di siriani che hanno lasciato tutto alle spalle, e di questi un milione sono bambini. Una parte di essi, i nuovi profughi, sono l’esito della battaglia di questa settimane tra lo “zar” Putin e il “sultano’’ Erdogan che si disputano il Paese governato da Assad, detto anche “il macellaio di Damasco”.
Alla mercé di un trio politico cui si aggiungono estremisti islamici e mercenari di decine di Paesi, i profughi creati dall’ultima ondata di bombardamenti dormono all’addiaccio, poiché le poche strutture di sollievo sono sature. Centinaia di migliaia di persone, soprattutto donne e bambini, sono raccolti in campi allestiti con stracci, dove soffrono la fame, il freddo e le epidemie.
Corridoio della clandestinità
A questo proposito l’OMS ha ribadito il concetto di One Health, di salute unica, possibile per tutti solo se accessibile a tutti. L’argomentazione che queste persone bussano in un gran brutto momento, mentre il coronavirus affligge l’Europa, non regge. Erdogan ha cinicamente aperto il corridoio della clandestinità, pur essendo stato profumatamente pagato dall’Unione Europea per tenersi gli sfollati. Sei miliardi di euro il prezzo per lasciargli gli ostaggi di una guerra che è un risiko tra potenze. Erdogan ha già chiesto di aumentare i finanziamenti.
Non sarà comunque un sottile muro o un filo spinato tra Turchia e Grecia a trattenere le epidemie ampiamente segnalate dall’Organizzazione Mondiale della Sanità e dall’Unione Europea. Del resto settantaquattro mila erano già entrati in Europa irregolarmente. Morbillo, tifo, epatite, dissenteria, difterite, pertosse, leishmaniosi e poliomielite si stanno diffondendo sempre più rapidamente tra i profughi. I migranti sono senza farmaci, ma assai spesso senza un rifugio o acqua potabile.
Solidarietà dal nord
Sarebbe ora che l’Unione Europea, che ha fin dall’inizio preso posizione a parole per difendere i civili, ascoltasse. A Düsseldorf la città ha già allestito cento letti per le famiglie siriane, oltre a centocinquanta sistemazioni in famiglia per i minori non accompagnati. “I principi di umanità non sono negoziabili – ha detto il sindaco di Düsseldorf Thomas Geiser, del partito social-democratico – Questi profughi devono essere subito accolti se vogliamo mantenere la nostra reputazione di Europa civilizzata e di città civilizzata. Per questo sono così contento di prendere questi rifugiati: è un test su quanto siamo seri”.
Düsseldorf non è sola. In un comunicato congiunto sette altre grandi città tedesche hanno offerto da subito cinquecentocinquanta posti per minori non accompagnati (famiglie per l’accoglienza, programmi di supporto personalizzati, ricerche dei genitori naturali se non vi fossero notizie certe).

L‘organizzazione Seebrücke, ponte sul mare, che raccoglie a sua volta circa cento associazioni di vari Paesi, ha promosso una settimana di manifestazioni, da Berlino ad Amburgo, con lo slogan “Wir haben Platz”, Noi abbiamo posto. “Stiamo assistendo a un’escalation disumana – scrivono – sostenuta dalla Commissione Europea, dalla CDU e dalla SPD. Non lasciamo il male, ciò che è ingiusto, senza dare una risposta. Siate attivi, prendete iniziative, non sostenete questo isolamento razzista”.
A chi fa notare come l’ Europa, e in particolare la Germania, abbiano già dato molto ai rifugiati cinque anni fa, le associazioni replicano: ”Vogliamo il 2015, non il 1933”. E, sostenuti in questo da giuristi, obiettano come l’Unione Europea non abbia mai dato un chiaro quadro regolatorio all’accoglienza vista, giuridicamente e moralmente, come dovere e valore fondante dell’ Unione.
#IAm2015
Ora si teme il sovranismo e i partiti storici della solidarietà fanno un passo indietro. “La Svezia è piena. Non venite. Non possiamo darvi altri soldi o fornirvi una casa”: è il contenuto di un volantino distribuito ai migranti disperati a Edirne, in Turchia, dal leader dell’ estrema destra svedese Jimmie Åkesson. Un fatto accaduto all’inizio di questa settimana vicino al confine con la Bulgaria e la Grecia. Il liberale Nyamako Sabuni ha detto che non è questa la leadership di cui la Svezia ha bisogno, non bisogna lasciare che il “pigro populismo“ diventi arrogante e pericoloso. L’avvocato penalista di Stoccolma Behrang Eslami ha denunciato Åkesson per incitamento all’odio.
Atoosa Farahmand, un rifugiato iraniano, ha lanciato su Facebook la campagna #IAM2015, “sono 2015”, con centinaia di immigrati che raccontano le loro storie. Il tema di fondo è che, piaccia o no, essi sono cittadini dei Paesi che li hanno accolti e a cui pensano di aver dato, con i loro talenti e il loro impegno, qualcosa di buono che, prima, mancava.
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