Sinistra, impara
la lezione di Atene

“Vedo che non siete in grado di guerreggiare per sempre con Serse; se ne avessi scorto la possibilità, non sarei venuto da voi a parlarvi come vi parlo. Sovrumana è  la potenza del re e il suo braccio è molto lungo. Se non scendete a patti, ora che vi si offrono condizioni ottime circa gli accordi desiderati, io tremo per voi: fra tutti gli alleati siete voi a trovarvi sul percorso obbligato per le truppe e sarete i soli a subire danni in ogni caso, giacché il vostro paese è  un eccellente campo di battaglia. Datemi retta; per voi è  un bell’onore che il grande re perdoni le colpe soltanto a voi fra i Greci e voglia diventare vostro amico”.

Così parlò Alessandro. Gli Spartani, venuti a sapere che Alessandro era giunto ad Atene per indurre gli Ateniesi ad allearsi col barbaro, memori delle profezie in base alle quali sarebbero stati scacciati dal Peloponneso assieme agli altri Dori per mano dei Medi e degli Ateniesi, ebbero paura davvero che gli Ateniesi venissero a patti col Persiano. Subito decisero di inviare una ambasceria. E finì che Alessandro e gli Spartani si presentarono assieme davanti al popolo.

Quando Alessandro ebbe finito di parlare, a loro volta i messaggeri di Sparta dissero: “Gli Spartani ci hanno inviato a chiedervi di non rivoluzionare la situazione della Grecia e di non accettare le proposte del re. Non sarebbe giusto né onorevole per nessuno degli altri Greci, tanto meno lo è per voi, e per molte ragioni: siete stati voi a scatenare questa guerra, quando nessuno di noi la voleva, e il conflitto in origine riguardò il vostro paese; solo ora coinvolge la Grecia intera. Comunque, non è ammissibile che voi Ateniesi diventiate responsabili della schiavitù dei Greci, voi che sempre, e ormai da tempo, vi atteggiate a paladini della libertà di tanti. Noi compiangiamo le vostre disgrazie: siete stati privati già di due raccolti e ormai da molto tempo siete ridotti a mal partito. A compenso di ciò gli Spartani e gli altri alleati si offrono di provvedere fino alla fine del conflitto al sostentamento delle vostre donne e di tutti i familiari inabili alla guerra. Non vi convinca Alessandro il Macedone, che leviga le parole di Mardonio*; lui deve agire così: tiranno, si fa complice di un tiranno; ma voi no, non dovete farlo, se avete ancora un briciolo di senno, perché sapete che lealtà e sincerità sono ignote ai barbari”. Questo dissero i messaggeri.

Ecco cosa risposero gli Ateniesi ad Alessandro: “Anche noi sappiamo che le forze del barbaro sono molto più numerose delle nostre, non c’è bisogno di gettarcelo in faccia. Eppure ci terremo ugualmente stretta la nostra libertà e ci difenderemo finché ne avremo la forza. Accordarci col barbaro? Non tentare di convincerci a farlo, tanto non ti daremo retta. Ora va’ a riferire a Mardonio cosa dicono gli Ateniesi: finché il sole seguirà la stessa via che percorre oggi, non verremo a patti con Serse; anzi usciremo in campo contro di lui e ci batteremo, fiduciosi nell’aiuto degli dei e degli eroi, ai quali lui senza il minimo rispetto bruciò le case e le statue. Tu per il futuro non comparire più davanti agli Ateniesi con discorsi del genere e non esortarli, con l’aria di render loro un gran servigio, a compiere azioni inique. Non vogliamo che tu debba subire qualcosa di sgradevole da parte degli Ateniesi, di cui sei prosseno** e amico”.

Così risposero ad Alessandro. Ai messaggeri giunti da Sparta dissero: “Che gli Spartani temano un nostro accordo col barbaro è  umano, decisamente; però ci sembra vergognoso che abbiate avuto questa paura, sapendo benissimo come la pensano gli Ateniesi: che al mondo non esiste oro bastante, né esiste regione superiore alle altre per bellezza e fertilità che noi saremmo disposti ad accettare per schierarci con il Persiano e rendere serva la Grecia. Sono molti e gravi i motivi che ci impedirebbero di agire così, anche se lo volessimo. Primo e principale le statue e le dimore degli dei date alle fiamme e abbattute, che noi siamo tenuti a vendicare il più duramente possibile, guardandoci bene dal venire a patti con chi ne è  responsabile. Poi c’è il senso della grecità, la comunanza di sangue e di lingua, di santuari e riti sacri, di usi e costumi simili; male sarebbe che gli Ateniesi ne diventassero traditori. Tenete questo per certo, se non ne eravate già sicuri: finché ci sarà anche un solo Ateniese, mai e poi mai ci accorderemo con Serse. Noi siamo contenti della sollecitudine che mostrate verso di noi, che vi preoccupiate dei danni da noi subiti al punto di voler sostentare le nostre famiglie. Alla vostra cortesia non manca nulla, ma noi resisteremo così come stiamo senza pesare su di voi. Piuttosto, vista la situazione, mandate al più presto un esercito. Secondo le nostre previsioni fra non molto il barbaro sarà qui da invasore, nel nostro paese, non appena ricevuta notizia che non faremo nulla di quanto ci ha chiesto. Quindi, prima che lui sia in Attica, è il caso che noi lo precediamo accorrendo a fronteggiarlo in Beozia”.

I messi, ottenuta questa risposta dagli Ateniesi, se ne tornarono a Sparta.

(Erodoto, “Le Storie”, 440-429 a. C.)

* Generale persiano

** Cittadino eminente della polis che nell’antica Grecia era incaricato di tutelare i forestieri e di fornire loro ospitalità