Sindaco di Napoli: torna Bassolino col fai-da-te
e senza un partito
Eppure era tutto scritto: bastava sbirciarne la timeline di Facebook per capire. Salendo e scendendo le sue montagne, come egli stesso ha metaforicamente riassunto gli 11 anni da senza potere nel comizio di mercoledì sera a piazza Carità, Antonio Bassolino aveva compreso una cosa che lui, con le sue caratteristiche “e” aperte, definirebbe “essenziale”. Questa: che ai napoletani, nonostante tutto, continuava a piacere. Questione di pelle. Di lingua. Di movenze. Anche di fisiognomica, con quegli spigoli appuntiti sul volto allungato che ricordano un altro grande Antonio, il principe de Curtis. E quindi, passo dopo passo, corsa dopo corsa, nel vento, nel sole, sotto l’acqua, con Napoli atterrita ma non atterrata dalla pandemia, il runner Bassolino costruiva il suo ritorno in campo. Anzi, glielo costruivano i napoletani.
Una grande campagna di ascolto civico
Perché per comprendere a fondo quello che sta succedendo nella più imprevedibile, pazza e meravigliosa delle città non bisogna scomodare astruse categorie politologiche. E men che mai scacciare la polvere dai libri di storia. No: è sufficiente seguirlo nella sua corsetta quotidiana in braghe corte, giacca a vento e cappellino a visiera. Con la gente che lo avvicina e gli batte una mano sulla spalla, lo incoraggia, lo incita. Mentre i potenti della città e della regione se ne stavano rinchiusi nei loro palazzi a litigare, lui innescava la più grande campagna di ascolto civico che si sia mai realizzata a Napoli.
Il 140 che non passa mai. La metropolitana – la più bella del mondo grazie a lui, che s’inventò le stazioni d’arte – ridotta a una littorina. Le buche. Il traffico. La violenza di strada. Ma anche la fame. La disperazione, L’assenza di futuro. Il collasso dei servizi pubblici essenziali, effetto della grande voragine debitoria che ha inghiottito Palazzo San Giacomo. Volete che il vecchio combattente nato davanti alle fabbriche e alla testa dei cortei operai e anticamorra rimanesse insensibile? Quelli che lo conoscono bene sanno che “il passo” gli è costato moltissima sofferenza. A differenza del 1993, oggi Bassolino non ha un partito alle spalle. Quello che aveva contribuito a fondare – o quel che ne resta a Napoli e in Campania – gliele ha voltate, le spalle, preferendogli la candidatura di Gaetano Manfredi, già ministro dell’Università del governo Conte.
Senza partito e con De Luca ostile
Ma il Pd di oggi, a Napoli e in Campania, è un partito di proprietà, non più un partito di iscritti e militanti. Ha le sue sedi decisionali dal lunedì al venerdì a Palazzo Santa Lucia a Napoli e il fine settimana al Genio Civile di Salerno, da dove l’azionista di riferimento, il presidente della Regione Vincenzo De Luca, ha continuato a governare l’emergenza durante il lockdown, proprio mentre Bassolino percorreva di corsa la città in lungo e in largo.
Fare a meno del liquido amniotico (il partito) ha però fatto bene a Bassolino. L’ha snellito. Rafforzato. E gli permette ora – a la guerre comme à la guerre – di lanciare la sua Opa per il Comune di Napoli più o meno con le stesse modalità con cui la lanciò il primo cittadino uscente, il sindaco della rivolta “arancione” piegato da una lunghissima serie di insuccessi sui quali è calata la pietra tombale del default finanziario. Senza più apparati sanguisuga a sostenerlo, solo come era solo sul palchetto stile speaker’s corner di mercoledì sera sul quale si è fatto precedere dall’intervento di tre giovani impegnati nel sociale,
Il vecchio leone mai domato
Bassolino non deve mediare, aggiustare, tessere e cucire. Attività che, dal ’93 al 2010 quando uscì di scena, lo sfibrarono, estenuandone l’antropologia da antico ingraiano. Sta – berlinguerianamente – andando casa per casa, quartiere per quartiere, piazza per piazza: da Bagnoli, estrema periferia ovest, a Ponticelli, all’altro capo della città; da Scampia al Vomero, a Fuorigrotta. La sede del Comitato elettorale, presidiata dall’irriducibile compagno Tommaso Stavola, l’ha fissata nell’ottocentesco palazzo De Rosa, con una monumentale scalinata barocca, alla fine di via Toledo. Di fronte c’è Cisterna dell’Olio dove, nel 1944, al cinema Modernissimo, il compagno Ercoli dettò le linee guida per la risurrezione pacifica e democratica del Paese, stupendo una platea che si aspettava l’invito a prendere le armi per la rivoluzione proletaria.
Siccome a Bassolino i simboli piacciono, la scelta non è casuale. Non c’è nessun fucile da imbracciare, e nessun palazzo d’Inverno da conquistare. Solo da convincere, metro per metro, passo dopo passo, i napoletani a tornare alle urne: l’ultimo sindaco è stato eletto con il voto del 22% degli aventi diritto, e anche alle ultime regionali la più sfingea delle città italiane non si è lasciata travolgere dall’entusiasmo per l’Arca di Noè extralarge allestita da De Luca, rimanendo sulle sue. La sensazione, a pelle, è che il vecchio leone, toccando corde che solo lui sa, ci stia perfino riuscendo.
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