Si gioca in cinque città
la partita decisiva
del potere in Emilia
Reggio Emilia, Ferrara, Forlì, Cesena, Carpi. Sono questi i comuni principali fra i tredici dell’Emilia Romagna che – archiviato il risultato di Modena, unico capoluogo in cui il sindaco uscente Gian Carlo Muzzarelli è stato confermato già al primo turno – dovranno scegliere nel ballottaggio di domenica 9 giugno i sindaci e le maggioranze per i prossimi cinque anni. Ovunque fuori dai giochi il M5S, in queste città la scelta è tra coalizioni di centro-sinistra, che le hanno amministrate finora, e coalizioni di centro-destra a trazione leghista, che vorrebbero iniziare da qui la conquista dell’intera Emilia Romagna. In Emilia, infatti, è praticamente già in corso la prossima campagna elettorale: quella per il rinnovo del consiglio regionale. E dunque, il risultato di questi ballottaggi – nel primo turno in vantaggio i candidati sindaci del centro-sinistra a Reggio (49,13% contro 28,22%), Cesena (42,83% contro 33,81%) e Carpi (48% contro 27,30%), in vantaggio quelli del centro-destra a Ferrara (48,44% contro 31,75%) e Forlì (45,80% contro 37,21%) – peserà non solo sul futuro delle città direttamente interessate, ma anche sulla marcia di avvicinamento alla partita successiva per la Regione, prevista entro la fine dell’anno.
Linea del Piave
Dopo la serie di successi ottenuti dal centro-destra in tutte le Regioni andate al voto in tempi recenti – ultimo caso il Piemonte – l’Emilia viene considerata una specie di estrema linea del Piave per il Pd e per il centro-sinistra. Cinque anni fa, sulla pur netta affermazione della coalizione guidata dal presidente uscente Stefano Bonaccini, qualche ombra pesante si era addensata per la percentuale di votanti, ferma a un modestissimo 37%, in una regione solitamente al vertice in tutte le consultazioni elettorali per affluenza alle urne. In seguito, altri campanelli d’allarme si sono susseguiti fino alle elezioni politiche 2018, segnate anche anche in Emilia dal boom del Movimento Cinque Stelle, dalla crescita della Lega e dalla sconfitta del Pd. E anche il voto locale in alcuni comuni – da Campegine, terra reggiana dei fratelli Cervi, a un’altra ex roccaforte come Imola – ha registrato, per la prima volta dal dopoguerra, la caduta delle giunte di sinistra.
La Regione è contendibile
I numeri usciti dalle urne del 26 maggio scorso confermano che anche l’intera Regione, finora considerata inespugnabile, adesso è invece contendibile. Non dal M5S, che si è rapidamente sgonfiato nel giro di un anno, ma certamente dallo schieramento egemonizzato dalla Lega. Proprio la Lega, nel voto europeo, è risultata il primo partito (33,77% %, contro il 31,24% del Pd) sull’insieme del territorio regionale, con punte anche più elevate nel Piacentino, nel Parmense, nel Ferrarese e in Romagna. Però, con una variabile che restituisce fiato alle speranze del centro-sinistra: nelle stesse ore e negli stessi seggi del 26 maggio, molti tra gli elettori che di schede da votare ne avevano due – cioè anche quella per le amministrative – hanno scelto diversamente nel voto per i propri comuni. Il che ha consentito al centro-sinistra di confermarsi maggioranza in gran parte del casi, circa l’80% del totale. Pur considerando la diffusa presenza di liste civiche, non sempre e non automaticamente identificabili con i partiti, la differenza tra voto europeo e voto amministrativo è assolutamente evidente, a favore del centro-sinistra. Emblematici, per rendere l’idea, due paesi alle opposte estremità territoriali della provincia di Reggio Emilia. A Castelnovo Monti, sull’appennino, 1.621 elettori hanno votato Pd alle elezioni europee, ma ben 3.572 hanno scelto il candidato sindaco e la lista di centro-sinistra alle elezioni comunali, mentre all’opposto 2.420 hanno votato Lega alle europee e solo 1.301 la lista di centro-destra alle comunali. A Guastalla, sulle rive del Po, 2.109 elettori hanno votato Pd alle europee e 3.808 centro-sinistra alle comunali, mentre la Lega ne ha avuti 2.962 alle europee e l’intero centro-destra solo 2.238 alle comunali.
Numeri che confortano Paolo Calvano, segretario regionale del Pd: “Sono vittorie che hanno un significato particolare perché molte hanno ribaltato il voto delle Europee: la qualità delle persone che il Pd, il centro sinistra e le forze civiche hanno scelto di candidare ha fatto la differenza. Ora bisognerà restare concentrati e impegnarsi al massimo per completare questo risultato vincendo nei Comuni che sono andati al ballottaggio”. Fausto Anderlini, sociologo bolognese, respinge però interpretazioni troppo ottimistiche: “E’ vero che il Pd, sotto varie forme, tende a recuperare nelle realtà coalizionali amministrative e che i suoi candidati generalmente vengono considerati più affidabili nel gestire il rapporto con la società locale. Ma al mantenimento di una certa capacità attrattiva a livello locale non corrisponde un reale recupero nell’ambito della politica nazionale. Al massimo, si può dire che il Pd abbia fatto argine dopo la disfatta delle elezioni politiche 2018, ma senza avere flussi di voto significativi in entrata, se non da una parte di coloro che un anno fa votarono Liberi e Uguali”
Non c’è vincitore annunciato
Se questo è il quadro, per la prima volta la campagna campagna elettorale regionale non partirà con un vincitore annunciato. Ne è consapevole il presidente Stefano Bonaccini, che sarà in lizza per il secondo mandato: ““La Lega ha avuto un largo consenso alle elezioni europee, questo è sotto gli occhi di tutti. Il segno di un vento che attraversa l’Italia e in certa misura anche l’Europa. Le paure e il bisogno di protezione hanno trovato nel sovranismo e nella promessa di chiusura una risposta ritenuta più convincente, soprattutto nella provincia e nelle periferie urbane e sociali. E’ un disagio e un’inquietudine che non ho mai sottovalutato, così come non ho mai sottovalutato la Lega. Bisogna analizzare con lucidità quanto successo e non dimenticare che già in passato, alle regionali per esempio, il centrodestra ha raggiunto cifre fra il 35 e il 40% proprio qui in Emilia-Romagna”. Sull’altro piatto della bilancia, anche Bonaccini mette i risultati delle amministrative: “Quando si è trattato di scegliere il governo della propria città, gli elettori hanno indirizzato il voto a vantaggio del centrosinistra. Nelle elezioni regionali peseranno entrambi questi fattori: quello politico, perché il voto regionale registra sempre una tendenza generale, e quello amministrativo, perché la Regione ha comunque una dimensione di governo fortemente territoriale”.
Bonaccini: non giochiamo in difesa

Sarà dunque soprattutto quest’ultimo il terreno sul quale Bonaccini giocherà la sua partita: “Intendo concorrere alla costruzione di un campo largo, nuovo, che non trasformi le elezioni regionali in un referendum su Salvini, ma proponga una sfida per il buon governo, dove possa vincere chi è più credibile per le cose fatte e per le proposte in vista dei prossimi cinque anni. A partire da alcuni temi cruciali come la sfida ambientale, dalla riconversione energetica alla mobilità sostenibile, aggredendo il problema della qualità dell’aria, che sembra non interessare minimamente alla destra. E poi la questione dell’uguaglianza e dell’equità sociale: penso ai diritti del lavoro e alle politiche sociali, passando da un investimento massiccio sulle giovani generazioni in termini di sapere e nuove opportunità”. Cosa significa, concretamente un campo largo e nuovo? “Credo che occorra mettere insieme due cose. Da un lato un’alleanza di centrosinistra che capitalizzi la collaborazione che abbiamo avuto in questi anni in Regione, dove non c’è stato un solo giorno di crisi. Dall’altro, serve aggregare le tante energie civiche presenti nei comuni, che pur non essendo parte del centrosinistra si sentono però alternative alla destra leghista. Infine, penso alla necessità di aggregare forze sociali e movimenti che si stanno ribellando al messaggio regressivo di Salvini, sul fronte dei diritti: ci sono spinte che montano nella società che vanno accolte e canalizzate in un progetto collettivo”.
A Bonaccini non piace granché la metafora “patriottica” dell’Emilia Romagna come estremo bastione di resistenza: “Non ho in mente nessuna trincea difensiva. Sono orgoglioso delle cose che abbiamo fatto in questi anni e credo che le persone potranno valutare la differenza nella qualità di governo di questa Regione rispetto a quella di Lega e 5 Stelle. Io voglio giocare all’attacco: in questa Regione abbiamo non solo una classe dirigente più credibile e preparata, come si è visto nel voto dei Comuni, abbiamo anche idee e proposte migliori per la vita dei nostri concittadini. Non sottovaluto affatto la sfida e intendo affrontarla con serietà ed umiltà, ma credo che si possa vincere”.
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