Sfruttati, sottopagati, umiliati. Che fatica essere giovani in Italia

Sembra che il Pd sia rimasto scosso dal video dell’ingegnera edile Ornela di Genova, 28 anni, che durante una cena ha detto chiaro e tondo che “con 750 euro al mese non si vive, non pago nemmeno l’affitto”. Se Ornela si presentasse alle primarie democratiche probabilmente non avrebbe rivali perché la sua accusa contro lo sfruttamento sistematico dei giovani ha trovato oltre due milioni di consensi.

Non  solo Ornela. La rabbia dei giovani

L’ingenera edile Ornela di Genova su Tik tok

Però non bisogna aver studiato a Harvard, né sorprendersi della giusta rabbia di una giovane per capire che un lavoro dignitoso, una retribuzione giusta, il rispetto di contratti e norme siano la base fondamentale di una politica di sinistra, almeno riformista. Se i democratici si destano solo davanti a esplosioni di “like” sul web è perché non sono passati indenni dall’infatuazione neoliberista, dal tragico errore di aver eletto segretario e premier Matteo Renzi, dal Jobs Act. Il Pd è il partito che ha preso a martellate lo Statuto dei lavoratori e l’articolo 18, senza presentare nuove e reali tutele per chi lavora. Questo deve essere chiaro.

Oggi in Italia migliaia di giovani, anche formati e laureati, sono sistematicamente sottopagati, vessati, sfruttati, ostaggi di stage, collaborazioni, contratti part-time di pochi euro l’ora. In un paese in cui Confindustria, governo e pure il sindacato rifiutano la raccomandazione europea di introdurre il salario minimo legale.

Se si muore di lavoro da studente

Ci sono altre recenti notizie che ben rappresentano le condizioni di disuguaglianza e d’ingiustizia sociale in cui versa il nostro Paese. La famiglia di Giuliano De Seta, studente di 18 anni morto in fabbrica a Noventa di Piave durante uno stage, non riceverà alcun risarcimento. L’Inail non deve pagare, nessun obbligo. Giuliano prestava la sua opera in un programma di alternanza scuola-lavoro. Non era assunto, era uno stagista e dunque nessuna assicurazione, niente è dovuto.

Nel 2022 sono stati tre gli studenti morti durante uno stage di scuola-lavoro. Da fatti come questi traspare lo scarso valore che la società attribuisce al lavoro, all’emancipazione, alla crescita civile delle giovani generazioni che, nonostante promesse e impegni della politica e delle istituzioni, restano fortemente penalizzate.

Gli ultimi rapporti Eurostat e Censis spiegano le faticose condizioni dei giovani che determinano gravi problemi nella tutela e nello sviluppo complessivo della società. L’occupazione giovanile resta relegata, in larga misura, nei contratti a tempo determinato, che fanno statistica e a volte consentono di riempire momentaneamente i vuoti strutturali della disoccupazione, o nelle svariate forme dei cosiddetti lavoretti offerti dalla gig economy. Le prospettive per un giovane di trovare un lavoro soddisfacente, un reddito sicuro e così diventare indipendente dalla famiglia, sono condizionate da mille problemi. Lo studio, la formazione, l’accesso regolare a un’occupazione diventano tappe spesso insuperabili, comunque faticose e dense di ostacoli.

Non  si vive di stage, o con 750 euro al mese

Foto di tookapic da Pixabay

I giovani restano ingabbiati nella vita in famiglia, non riescono ad avviare un percorso autonomo di crescita e spesso sono considerati i responsabili della mancata soddisfazione di quei posti di lavoro offerti dalle imprese che non riescono a trovare personale adeguatamente qualificato. In Italia l’età media di uscita dalla famiglia è di quasi 30 anni (29,9 per la precisione), in Europa la media è 26,6, ma in Francia e Germania scende a 23,6 e in Svezia addirittura a 19. Più aumenta l’età di emancipazione dalla famiglia più sono bassi i tassi di occupazione giovanili. Quindi si resta in famiglia non solo per comodità come dicono in molti, ma perché non c’è un’occupazione adeguata, capace di garantire l’indipendenza. Non si vive con 750 euro, come denuncia l’ingegnera di Genova.

Questa tendenza italiana a restare tra le mura domestiche naturalmente apre la discussione anche sulla volontà dei giovani di mettersi alla prova, di rischiare, di prendere l’occupazione che capita, senza paracadute magari. A questo proposito oggi va forte la polemica contro i “divanisti”, che sarebbero i percettori del reddito di cittadinanza o i furbetti che non fanno nulla per scelta, ma non è una novità assoluta, è un clima culturale già noto.

In passato l’ex ministro dell’Economia Tommaso Padoa-Schioppa disse che era venuta l’ora “per i bamboccioni di uscire di casa” e poi l’ex ministro del Welfare Elsa Fornero, indimenticabile ministro degli esodati, invitò i giovani a non essere troppo “choosy”, cioè schizzinosi, nella scelta del lavoro. Oggi il ministro del Turismo Daniela Santanchè attribuisce agli effetti del reddito di cittadinanza la mancanza di camerieri e di balneari stagionali. Per rimediare il governo ha reintrodotto i voucher per i lavoratori a tempo, strumento che era stato cancellato per l’abuso che ne era stato fatto dalle imprese, e si è ben guardato dal varare il salario minimo legale.

15 milioni a rischio povertà

Foto di Andrew Khoroshavin da Pixabay

La questione salariale (le retribuzioni nette italiane non aumentato da trent’anni) e la necessità di un nuovo welfare sono connesse con il percorso di emancipazione dei giovani e con la prospettiva di guadagnare un reddito certo per evitare di cadere in povertà, una delle emergenze più gravi del Paese. C’è un legame diretto tra giovani senza lavoro o sottopagati e l’aumento delle fragilità.

Da almeno un decennio la povertà assoluta è raddoppiata nel nostro Paese ed è triplicata per bambini e giovani. Solo nel 2019 è stato varato uno strumento contro la povertà, ultimi in Europa, come il reddito di cittadinanza che ora il governo di destra vuole cancellare entro il prossimo mese di agosto, nonostante le voci contrarie della Caritas e di altre organizzazioni della società civile. Dopo il biennio della pandemia circa 15 milioni di persone sono a rischio povertà o esclusione sociale, di cui il 40% delle persone che vivono al Sud. E’ un pericolo che nemmeno il welfare rappresentato dalle famiglie, tradizionale ammortizzatore sociale, riesce a contrastare perché anche la famiglia si sta indebolendo in un Paese dove nascono sempre meno bambini e dove ogni anno c’è un saldo negativo tra decessi e nascite di 400.000 persone. E’ come se ogni dodici mesi sparisse una media città italiana.

Quanto possono reggere le famiglie e come possono uscire i giovani da questa situazione? La strada maestra dovrebbe essere quella di perseguire politiche per creare un lavoro dignitoso per i giovani e rafforzare la rete di protezione sociale per i soggetti sociali più fragili.