Sea Watch, su Salvini e Di Maio
cadono le prime tegole
Governo denunciato a Strasburgo

Notizie dalla Sea Watch. Verso mezzogiorno di ieri una fonte che si trova a bordo ha fatto a strisciarossa una sorta di cronaca diretta dell’incredibile vicenda che si sta svolgendo nelle acque davanti al porto di Siracusa. Il racconto dal vivo di una dolorosa ingiustizia praticata dal governo italiano, che tiene prigionieri 47 disperati, con un bagaglio di terribili sofferenze, in nome di un diritto che non ha.

Prima di passare al racconto della nostra fonte dobbiamo registrare però l’ennesimo imbroglio mediatico con cui il gabinetto presieduto da Giuseppe Conte ma diretto da Matteo Salvini e (un po’ meno) da Luigi Di Maio, ha cercato, ieri sera, di cambiare le carte in tavola per scrollarsi di dosso le pesantissime responsabilità che gravano sulle loro spalle per il trattamento inumano e contrario alle più elementari norme del diritto internazionale, del diritto del mare e, anche, della legge italiana. A tarda sera Palazzo Chigi ha diffuso un confuso comunicato in cui si leggeva testualmente: “Il caso Sea Watch è all’attenzione della Corte europea dei diritti dell’uomo” e “l’Italia ritiene che la giurisdizione appartenga all’Olanda, in quanto Paese di bandiera della nave che ha effettuato il salvataggio in acque internazionali. Pertanto domani l’Italia depositerà una memoria davanti alla Corte, con la quale farà valere la giurisdizione olandese, contestando la propria legittimazione passiva”. Queste parole facevano pensare che fosse stato il governo italiano a interessare della vicenda la Corte di Strasburgo, anche se non si capiva perché mai a chiedere giustizia (per che cosa?) fosse proprio la parte, il governo italiano, che tenendo prigionieri in mare 47 poteva essere accusato di violare i diritti delle persone. La spiegazione sta in quello che nel comunicato Palazzo Chigi non diceva. E quello che non diceva è che l’Italia non è l’iniziatrice del ricorso ma ne è l’oggetto: non è la denunciante ma la denunciata. Sono stati infatti i rappresentanti della Sea Watch a chiedere che la Corte si occupi dei gravi fatti che si stanno compiendo al largo di Siracusa e la memoria che il governo di Roma dice di voler presentare – vedremo poi se la presenterà veramente – non è che un goffo tentativo di scaricarabarile. Detto in soldoni: non è noi che dovete giudicare ma l’Olanda che “in quanto paese di bandiera della nave che ha effettuato il salvataggio in acque internazionali” è responsabile di quanto è accaduto e sta accadendo. È colpa del governo dell’Aja, insomma, se 47 poveri cristi sono prigionieri fuori da un porto italiano dopo aver navigato per giorni e giorni nel mare in tempesta.

Non ci dovrebbero essere dubbi sul fatto che la Corte di Strasburgo, che è composta da persone serie, rimanderà al mittente una simile impudente pretesa, ma intanto il polverone è stato sollevato. Quando il comunicato è stato diffuso, ieri sera, alcuni siti on-line di giornali anche importanti hanno titolato come se fosse stato Conte a chiedere giustizia a Strasburgo e a mostrare anche, pensate un po’ , una generosa disponibilità: “Già da ora – è scritto ancora nella nota –  l’Italia si rende disponibile, una volta riconosciuta la giurisdizione olandese, a offrire un corridoio umanitario al fine di consentire un trasferimento dei migranti verso l’Olanda”. E poi: “Nel frattempo, abbiamo offerto la nostra totale disponibilità per assistenza in caso di richiesta, mettendo a disposizione due motovedette della guarda costiera e una della guardia di Finanza, che sono nei pressi pronte a intervenire”.

Torniamo alle cose serie, che lo sono fin troppo a bordo della Sea Watch. Dall’alba – è stato l’inizio del racconto del nostro interlocutore ieri mattina –  intorno alla nave c’è una specie di cordone di imbarcazioni che impediscono a chiunque di avvicinarsi. È il cosiddetto “blocco totale” decretato dal prefetto su ordine del suo ministro, Matteo Salvini. Dopo qualche ora il blocco non è più “totale” o almeno così pare.  Il prefetto, verosimilmente per evitare di essere associato a una possibile nuova denuncia di abuso d’ufficio rivolta al suo superiore, sembra revocare il divieto e consentire che cominci la “staffetta” annunciata dal PD dopo il clamoroso blitz di Fratoianni, Magi e Prestigiacomo, che erano riusciti a salire sulla nave domenica accompagnati dal sindaco di Siracusa e da uno psichiatra, il dottor Gaetano Sgarlata. E così montano a bordo della Sea Watch tre deputati del gruppo democratico, Maurizio Martina, Matteo Orfini e Davide Faraone, e il deputato regionale siciliano Giovanni Cafeo. La nave che è stata tabù per i parlamentari della Repubblica italiana, contro la legge e le prerogative costituzionali dei rappresentanti del popolo, non lo è più. Ma solo per qualche ora, giacché al momento di rientrare in porto ai deputati della delegazione viene chiesto di indicare un domicilio legale perché esiste a loro carico esiste una denuncia per aver violato un divieto che nessuno aveva fatto nulla per segnalare.

Comunque sia, la breve sospensione del blocco navale, è parso un primo piccolo passo verso il ritorno a una situazione di normale civiltà.  Ma questo la nostra fonte quando parliamo con lui non lo sa ancora. E il suo racconto si colora di toni drammatici. Abbiamo tre problemi da risolvere subito – dice – e a terra lo sanno perché glieli abbiamo comunicati: ci devono fa avere dei bagni chimici, dei viveri adatti a delle persone che si trovano in un grave stato di deperimento e debbono permetterci di fare un cambio di equipaggio. Lui non se ne andrà, come molti altri, resterà ad aiutare i profughi, ma molti membri dell’equipaggio, che sono volontari e per partecipare alle operazioni di salvataggio hanno avuto dei permessi, debbono tornare alle loro occupazioni.

Problemi sanitari nuovi non ce ne sono. “Soltanto” le sofferenze provocate dalle ferite e dalle percosse che i rifugiati hanno subìto nei lager libici e che sono molto evidenti: un giovane ha perso un occhio, molti hanno sul corpo ferite da coltello, alcuni le mani fracassate o deformate dai colpi di bastone. E poi, per tutti, gli effetti dello stress di dieci giorni passati in mare, la maggior parte dei quali in mezzo a una tempesta su una piccola nave sballottata di qua e di là dalle onde. E poi il freddo, l’umidità, la mancanza di spazio per muoversi. E soprattutto l’incertezza sul futuro, la mancanza di risposte alla domanda più semplice: perché tutto questo?

Un ragazzo sta male. Ha sputato sangue e i medici dovranno verificare se sia il caso di portarlo a terra, lui, solo lui, per capire che cos’ha. Quando sono saliti i cinque della delegazione, racconta ancora il nostro interlocutore, abbiamo convinto il medico a fare un giro sulla nave per accertarsi delle condizioni generali in cui si trovano i profughi, soprattutto i 13 minorenni otto dei quali non hanno né genitori né parenti a bordo. Se non c’è una emergenza medica immediata c’è però un’emergenza psicologica.

Gli chiediamo se sono arrivati a bordo echi dell’idea buttata lì dai capi dei cinquestelle e che verrà riformulata dal comunicato serale di Palazzo Chigi nell’ipocrisia sopraffina del “corridoio umanitario”: caricarli tutti su un aereo appena sbarcati e spedirli come pacchi postali nei Paesi Bassi. Loro – dice la fonte – hanno due priorità assolute: mettere i piedi sulla terraferma ed essere sicuri che non verranno rispediti in Libia. Per come sono messi adesso, ogni posto in Europa va bene.

Non tornare in Libia. A nessun costo. Molti, dopo averci mostrato i segni sul corpo delle torture ci hanno raccontato il modo in cui le sevizie venivano filmate per ricattare le famiglie e far loro inviare altri soldi. In particolare, quel ragazzo del Gambia che è stato intervistato in un video che ha fatto il giro della Rete ha raccontato di essere stato appeso al soffitto per le braccia e che gli aguzzini gli passavano i coltelli sul corpo. Alla fine è stato pugnalato all’altezza dello stomaco e scaricato in strada. Una donna lo ha visto e ha chiamato il personale dell’ospedale. Il ragazzo ha paura che i suoi famigliari, se hanno visto il video, credano che lui sia morto.

Sit in a Piazza Montecitorio
NON SIAMO PESCI
foto Umberto Verdat

Non tornare in Libia. Ma dove andranno quei 47 poveri cristi e come finirà la tragedia dell’assurdo di cui sono incolpevoli protagonisti? Le granitiche certezze di cui si ammanta il ministro della Paura, che dice cose terribili non più vestito da poliziotto o da pompiere ma agghindato con magliette e cappellini colorati pieni di loghi pubblicitari (ma ora i ministri del governo italiano hanno gli sponsor come i calciatori?), cominciano a sgretolarsi anche se lui fa la voce sempre più grossa. Da notizie che filtrano dal Palazzo di Giustizia parrebbe di capire che il Procuratore Fabio Scavone avrebbe seccamente respinto il “suggerimento”, venuto direttamente dal Viminale, di disporre il sequestro della nave e di indagare il capitano e l’equipaggio perché avrebbero surrettiziamente scelto di portare la Sea Watch verso l’Italia mentre avrebbero potuto approdare nel porto tunisino di Zarzis. Scavone, che prima di entrare in magistratura è stato ufficiale di marina, considererebbe invece giusta quella scelta, data la situazione metereologica e la circostanza che dalla Tunisia non era arrivata alcuna risposta alla richiesta di un permesso di approdo inviata dal centro di coordinamento della navigazione dei Paesi Bassi. Altro colpo al ministro della Paura.

L’ipotesi del sequestro della nave per fini di indagine sarebbe comunque in piedi, ma in una versione che certo a Salvini non dovrebbe affatto piacere, l’apertura, nei confronti del ministro e vicepremier, di un procedimento analogo a quello per cui il Tribunale dei Ministri di Catania ha chiesto l’autorizzazione a procedere per i reati di abuso d’ufficio e sequestro di persona. Lui pubblicamente continua a fare il bullo, proclamando in tv e sulla Rete che è prontissimo a farsi processare. Ma alle iniziali dichiarazioni concilianti verso i cinquestelle nel caso finissero per votare a favore dell’autorizzazione, cominciano a sostituirsi richiami abbastanza ruvidi: votare contro Salvini – hanno detto chiaro e tondo ieri i capigruppo della Lega al Senato ed alla Camera, Massimiliano Romeo e Riccardo Molinari. – sarebbe considerato come votare contro il governo.

Oltretutto, c’è chi avanza come ipotesi anche un’altra possibilità. Quella che i magistrati della Procura, preso atto degli evidenti segni di tortura sui corpi dei rifugiati e delle loro dichiarazioni su quanto è accaduto in Libia, decidano di aprire d’ufficio un’indagine per reati gravi a carico di ignoti. In questo caso, l’immediato trasferimento dei migranti nei Paesi Bassi, già di per sé contrario al diritto internazionale e alle disposizioni europee che vietano espressamente i respingimenti in blocco perché impediscono la possibilità di presentare domanda di asilo politico, diventerebbe impossibile anche per la legge italiana.

Si può cominciare a sperare che Salvini dovrà vedere presto i rifugiati sbarcare e che Di Maio non li vedrà partire immediatamente per lidi lontani. Poi si vedrà che cosa si dovrà fare. Intanto i due mandino giù questi rospi.