Se l’immigrazione fa bene all’economia
Dal 2015 nessun Paese europeo ha accettato così tanti di richiedenti asilo, in proporzione agli abitanti, come ha fatto Svezia. E nessuno, in numeri assoluti, più della Germania. A seguire, gli altri Paesi del Nord Europa. Uno studio pubblicato su Science Advances, e ripreso da Nature, valuta gli effetti economici e fiscali dell’arrivo dei migranti nell’Europa occidentale dal 1985 in poi. Gli autori della ricerca sono Hippolyte d’Albis, Ekrame Boubtane e Dramane Coulibaly, economisti e docenti universitari in Francia.
Il flusso dei richiedenti asilo o dei migranti che fuggono dalla miseria, afferma la ricerca, non deteriora le prestazioni economiche o il bilancio fiscale dei Paesi ospiti. L’aumento della spesa pubblica è compensato da un maggiore gettito fiscale al netto dei trasferimenti, come spese mediche, sicurezza sociale, assegno di disoccupazione, sussidi di vario tipo. Quando poi un richiedente asilo diviene residente il suo impatto economico è ancora più positivo per la comunità. Il modello matematico usato per valutare trent’anni di immigrazione è lo stesso utilizzato per gli indicatori economici quando si devono prevedere gli effetti di un grande shock, ad esempio un disastro naturale. Il modello dimostra come, a due anni dall’arrivo di un flusso di migranti in una comunità, la disoccupazione diminuisca e la ricchezza economica aumenti. Due o tre anni: un periodo necessario perché chi arriva possa imparare la lingua, integrarsi, essere formato come studente o lavoratore, accompagnato nel mercato.
Un esempio: oggi la Germania ha bisogno di 110.000 infermieri e assistenti alla persona, nel 2030 il fabbisogno sarà di 300.000 poiché la popolazione invecchia. E’ chiaro che ci vuole tempo per formare bene questi profili. Tempo che non viene concesso in questi mesi dai politici contrari all’immigrazione. Qualche giorno fa la cancelliera tedesca Angela Merkel si è scontrata con gli alleati del partito-fratello bavarese dell’Unione cristiano-sociale, la CSU. Horst Seehofer, ministro dell’Interno in quota CSU, critico con la Merkel che ha accolto circa 1 milione e mezzo di profughi, ha proposto controlli unilaterali alla frontiera per fermare i migranti. Seehofer è contrario a sviluppare politiche di accoglienza e propone 63 provvedimenti nel suo masterplan sull’immigrazione. Tra questi, zone di protezione (o detenzione, dicono gli avversari) per rifugiati in transito, tagli ai benefici economici per i rifugiati, inasprimenti della legge sulle deportazioni o i rimpatri. La Merkel, racconta Der Spiegel, ha lodato in generale il piano. Subito dopo, tuttavia, la cancelliera ha aggiunto che solo su uno dei sessantatré punti aveva un problema: la proposta di riportare indietro i profughi alla frontiera tedesca. “Voglio una soluzione europea, presenta il piano, ma escludi quel punto”. In risposta, Seehofer ha attaccato l’alleata per giorni sempre più duramente. Poi, lunedì 18 giugno, Seehofer ha detto che avrebbe concesso alla cancelliera dieci giorni, fino al summit generale europeo sul diritto d’asilo e l’immigrazione del 28 e 29 giugno, per trovare una soluzione.
La cancelliera ha fatto la sua contromossa: pur sapendo benissimo che sarebbe stato inconcludente sul piano delle soluzioni immediate, ha propiziato la convocazione d’urgenza, domenica scorsa, da un mini-summit a Bruxelles, su proposta del presidente della commissione europea Jean-Claude Junker. Partecipazione libera, un solo reale obiettivo: concordare che le decisioni sulle politiche migratorie vanno armonizzate tra tutti i Paesi membri dell’Unione. E che quindi bloccare un confine (di terra o di mare) in modo unilaterale potrebbe ledere gli interessi comuni. Sono venuti sedici rappresentanti di Paesi membri e, pur senza un comunicato finale, si sono detti d’accordo su questo punto. Con le motivazioni e le convenienze più diverse. Ma ciò che più conta è che erano in sedici, più della maggioranza dei ventotto che si troveranno al vertice plenario. Seehofer è in campagna elettorale. Nella sua Baviera, dove è nato il suo partito, la CSU, si vota il 24 ottobre. L’estrema destra di AfD (Alternativa per la Germania) va forte nelle previsioni. AfD ha preso il 12,6% alle elezioni generali dello scorso settembre ed è il terzo partito tedesco dopo il blocco dell’Unione di Centro della Merkel alleati dei cristiano-sociali bavaresi. Al secondo posto i socialdemocratici. Ad autunno di vota anche in Assia.
C’è paura e molti oppositori interni della cancelliera pensano che la crescita del populismo di estrema destra (con alcuni deputati che hanno aderito a posizioni che negano il genocidio degli ebrei, sostengono Hitler, sono stati informatori della Stasi, la polizia segreta della Germania dell’Est) sia colpa sua, che si è troppo sbilanciata a favore degli immigrati. “Voglio una posizione e una politica europea, nessuna azione unilaterale della Germania nei confronti dei rifugiati”, ha ripetuto la cancelliera all’assemblea dei deputati della CDU. “Non mi volete dare neppure due settimane”, incalza. Le parole del presidente del Bundestag, Wolfgang Schäuble, l’ex falco dell’austerità, danno peso al discorso della Merkel: “Merkel ha il mio completo sostegno nella ricerca di una politica condivisa a livello europeo. Vi avviso che non è il momento di giocare col fuoco e di mettere a rischio la stabilità europea”. Il mini-summit di domenica è stato il passaggio per guadagnare tempo: pur divisi su tante cose, 16 Paesi su 28 hanno ammesso che sull’immigrazione l’Europa deve avere una sola politica.
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