Se la via della seta
porta a Rotterdam

I Paesi Bassi sono il terzo partner commerciale europeo della Cina e anche in questi primi mesi del 2019 tra i due Paesi gli scambi sono cresciuti. Per la nuova via della seta il porto di Rotterdam non è più solo l’ingresso e l’uscita d’Europa, via mare e via ferrovia, ma è anche uno dei centri direzionali degli scambi, con un ruolo finanziario attivo delle società olandesi.

Il Rapporto logistico mondiale ha assegnato a Rotterdam un punteggio pieno, 10 su 10, per le sue infrastrutture e per il clima economico positivo. Già nel 2008, quando arrivò il primo treno dalla Cina centrale, gli imprenditori dei Paesi Bassi capirono che il risorgere dell’antica via, con mezzi e tecnologie tali da ridurre drasticamente i tempi di percorrenza, era una grande opportunità. Il mese scorso è stata rinnovata la convenzione per il Chengdu-Tilburg-Rotterdam express tra il colosso della logistica dei Paesi Bassi GVT e Pechino. Oggi altre quattordici città europee sono direttamente collegate via rotaia con la Cina.

Nel 2018 gli scambi complessivi nell’hub di Rotterdam, in assoluto il più importante snodo europeo, hanno raggiunto il vertiginoso volume di 469 milioni di tonnellate, con un aumento del 4,5% nel solo trasporto di container via rotaia, toccando varie destinazioni intermedie. Una parte del merito è certamente da attribuire all’effervescenza degli scambi con la Cina. Si stanno riaprendo due dei cinque principali corridoi commerciali avviati 2000 anni fa dalla dinastia Han. Si cominciò e si continuò a esportare la preziosa seta, molto apprezzata dai romani, ma si aggiunsero ben presto altre merci, con un flusso di importazione dall’Europa: cavalli, pecore, porcellane, vetro, metalli preziosi, carta, cibi.

Oggi la nuova via della seta, che nei Paesi Bassi ha il suo punto di maggior forza in Europa, è un nastro commerciale che avvolge sessantaquattro Paesi, il 70% della popolazione mondiale, il 75% delle riserve energetiche e il 60% del prodotto interno lordo globale. I conti si fanno in fretta nelle aziende che devono spedire e ricevere merci: la ferrovia è più veloce ma più costosa della nave, ed è più lenta ma più a buon mercato dell’aereo. La scelta ricade per la maggioranza dei beni sulla rotaia, considerata una buona via di mezzo in termini di tempo e soldi.

Il presidente cinese Xi Jinping ha chiamato il progetto “una cintura, una strada”. È una visione che riapre scambi permanenti e collaborazione economica tra tre continenti: Asia, Europa e Africa. A tappe forzate si lavora per ampliare e rendere molto veloci i collegamenti tra Asia centrale, Asia occidentale ed Europa. L’altra rotta è il collegamento combinato ferrovia-mare tra Sud-Est asiatico, Africa ed Europa. Una ferrovia lunga 8000 chilometri, porti, autostrade, gasdotti e oleodotti, lungo tutta la Cina, il Kazakistan, la Russia, la Bielorussia, la Polonia, la Germania e infine l’arrivo (e la via di ritorno) nei Paesi Bassi, a Rotterdam. Da qui le diramazioni verso l’Europa del Sud.

Per finanziare il progetto la Cina ha istituito l’AIIB, la Banca asiatica di investimenti infrastrutturali e il Fondo Via della Seta. Non bastano questi due grandi gruppi per coprire i 900 miliardi di dollari necessari, secondo le stime del Financial Times, solo peri progetti già approvati. Si sono fatti avanti per acquistare azioni e obbligazioni (quindi partecipazioni al capitale di rischio oppure, nel secondo caso, prestiti, entrambi fonte di rendita) soggetti finanziari di tutto il mondo: i bond, i titoli di debito legati al programma commerciale, offrono al momento un ritorno notevole, secondo un’indagine di Rabo Bank e della statunitense Invesco. La banca d’affari statunitense Morgan Stanley stima che il valore delle realizzazioni della più grande infrastruttura mai ideata aumenterà di circa ottocento bilioni di dollari nei prossimi dieci anni. Ovviamente si muovono anche i capitali cinesi, come Cosco e la Holding porti commerciali, che hanno avviato attività in molti dei principali scali marittimi dell’Oceano Indiano, del Mediterraneo e dell’Atlantico, controllando il 10% della movimentazione.

Michiel Jak, direttore generale di Smart Port Rotterdam parla delle preoccupazioni di alcuni governi europei su un crescente controllo cinese dell’economia, riserva avanzate dal presidente della commissione europea Jean-Claude Junker e dal presidente francese Macron, ad esempio.
Chi fa affari ogni giorno, secondo il manager del Porto di Rotterdam, è in genere più veloce della politica e la risposta è nei fatti: “la libera economia di mercato occidentale – dice Jak – ha già risposto alla domanda. Un quarto delle merci che siamo pagati per accogliere, scaricare, movimentare viene dalla Cina, che ha acquistato, tramite Cosco, il 35% del terminal Euromax”. E una compagnia con base a Hong Kong ha il 65% sulla movimentazione dei container. Micheil Jak vede invece un forte ruolo per Rotterdam non solo come hub, ma come centro direzionale per aste, operazioni di dogana, controlli sulle transazioni, piani di consegna delle merci, assistenza, ispezioni e ricerche.

Più negoziale che difensivo, l’atteggiamento dei Paesi Bassi verso la Cina è probabilmente l’unica sensata risposta a un enorme cambiamento che rimescolerà le carte del commercio mondiale.