Se il governo
scavalca
partiti e sindacati

Se un governo affida la propria legittimazione sostanziale a un incessante e onnicomprensivo appello al popolo la democrazia rappresentativa non ha più ragione d’essere. Non può sorprendere, quindi, che in questi paradossali tempi della nostra storia tutti i corpi intermedi che sanciscono una mediazione tra sfera della società e istituzioni pubbliche vengano travolti da una crisi di rappresentanza.

I partiti e i sindacati, il cuore di ogni democrazia rappresentativa, in Italia sono una anticaglia fuori moda. Il governo non riconosce loro nessun ruolo, né di selezione e composizione di interessi molteplici, né di selezione di classe dirigente, né di formazione di volontà politica che si riflette nelle istituzioni. Tutto spazzato via dalle parole d’ordine del momento che hanno stravolto il concetto di sovranità popolare trasformandolo in una tragica parodia. Parafrasando una celebre frase di Renan sulla nazione si potrebbe dire che in Italia la democrazia stia diventando un plebiscito online quotidiano.

Se questa è la premessa la conseguenza è scontata: non c’è più spazio per la rappresentanza degli interessi, per le mediazioni, per la complessità della società. Tutto è diretto, semplificato, banalizzato. Il risultato è il sorgere di qualcosa di veramente nuovo, lì dove “nuovo” non coincide con “positivo” con buona pace degli eterni rottamatori: non è mai esistito nella storia della Repubblica italiana un governo che ignorasse in maniera così profonda e manifesta il sindacato.

Se mai si fosse avvertita la necessità di un ulteriore prova questa è puntualmente arrivata dopo la grande manifestazione unitaria del 9 febbraio che pur riuscendo fortemente partecipata non ha avuto ricadute di nessun tipo sugli atteggiamenti del governo.

Siamo lontanissimi dall’impostazione costituzionale che aveva fatto dei corpi intermedi il cuore del funzionamento del sistema, di un sistema peraltro edificato sulla centralità del lavoro. E molto distanti anche dalle alterne vicende della prima Repubblica durante la quale si sono susseguiti momenti diversi di protagonismo sindacale ma che non hanno mai visto l’espulsione della rappresentanza sociale dal quadro politico istituzionale. Siamo di fronte a un comportamento che va anche oltre il fenomeno di progressiva marginalizzazione della rappresentanza del lavoro che pure dura da molti decenni, quelli della cosiddetta globalizzazione. Tutta la terza rivoluzione industriale si è giocata sul ribaltamento di un paradigma: dalla centralità del lavoro alla centralità del mercato.

E’ saltato il compromesso tra capitale e lavoro proprio dei Trenta gloriosi e si è affermato un neoliberismo che ha scomposto, marginalizzato, atomizzato il lavoro mettendo in crisi la sua rappresentanza. La regressione dei diritti dei lavoratori è stata la spia più evidente di questo processo che immediatamente, data l’impostazione della nostra Carta fondamentale, ha provocato un cortocircuito nel nesso lavoro/cittadinanza. Le formazioni politiche che ne sono state interpreti hanno sempre avuto un rapporto difficile con i sindacati. Pensiamo ai governi Berlusconi. Eppure, anche quei governi non avevano un atteggiamento pregiudiziale verso la rappresentanza sociale in generale; piuttosto, esprimevano una critica anche radicale verso un certo tipo di sindacato incarnato dalla Cgil. Erano esecutivi che puntavano all’emarginazione del sindacalismo di classe preferendo perseguire il dialogo e l’accordo con sindacati, nella fattispecie Cisl e Uil, ritenuti più affini al modello di sviluppo economico e sociale pensato per il Paese. Una scelta, in sintesi, tutta politica che non negava il ruolo della rappresentanza sociale, ma sceglieva quella ritenuta più funzionale.

Il discorso diventa evidente se si allarga l’angolo di visuale alla rappresentanza degli interessi imprenditoriali che restavano, seppur con alterne fortune, un punto di riferimento prezioso e il cui ruolo veniva riconosciuto anche pubblicamente. Oggi non è così. Anche Confindustria è divenuta un orpello di cui fare a meno, isolata, inascoltata. Accomunata ai sindacati, ironia della storia, in un destino comune: viene additata dal governo come la casta contro cui lanciare il prossimo plebiscito contro i poteri che incrostano il Paese per incanalare la rabbia popolare che la propria incapacità tende a generare più che a mitigare.

Sotto lo sguardo impotente di una sinistra che ha perso il suo ancoraggio tra le classi lavoratrici e che ha perseguito le stesse fascinazioni leaderistiche insofferente della rappresentanza sociale (pensiamo al governo Renzi), la crisi dei corpi intermedi, accelerata se non indotta dall’indifferenza di un governo parolaio e populista, segna l’addio del Paese alla democrazia rappresentativa così come la Costituzione l’aveva immaginata. E, come capita in questi casi, tra gli applausi della folla.

Edmondo Montali, Fondazione Giuseppe Di Vittorio