Scuola, un mese di più
anche per favorire
il diritto allo studio

Restare a scuola più a lungo, terminare a fine giugno per recuperare quanto in un doppio anno scolastico di pandemia si è perso: l’affermazione del nuovo presidente del Consiglio Mario Draghi ha suscitato numerose reazioni negative, soprattutto nel mondo della scuola con un dibattito che ha finito per innescare un corto circuito su quanto e come lavorano gli insegnanti.

E’ sbagliato porre la questione in termini di lavoro dei docenti. In questi mesi di pandemia, e soprattutto nel primo lockdown, moltissimi di loro hanno fatto uno sforzo enorme per garantire la didattica a distanza (DAD) costretti in molti casi a imparare da soli un metodo di lavoro sconosciuto, alle prese con tecnologie spesso a loro estranee, non sempre “digeribili” da un corpo docente mediamente in là con gli anni. Eppure lo hanno fatto e in molti casi sono persino riusciti a innovare la didattica. Ma non si può certo dire che la DAD possa essere la panacea di tutto, o sia equiparabile a una didattica in presenza che è anche scambio, dibattito, empatia comunità, coltivazione di ”non cognitive skills”, fattori che nel loro insieme contribuiscono all’apprendimento e alla formazione. La vera domanda emersa in questi mesi è quanto questa modalità di scuola “a distanza” – in alcuni momenti obbligata a causa dell’emergenza sanitaria– non finisca con l’approfondire le diseguaglianze esistenti. Nella prima ondata della pandemia, per la quale ci sono dati consolidati, il 12% degli studenti tra i 6 e i 17 anni era senza computer o tablet a casa con una media del 19% al Sud. C’è stato, indubbiamente, uno sforzo enorme da parte di associazioni e dello stesso MIUR per garantire i mezzi tecnologici agli studenti ma la loro disponibilità è solo un pezzetto del problema perché oltre il 40 % degli studenti vive in abitazioni sovraffollate, una quota ben più alta della media europea, in condizioni cioè in cui lo studio e la concentrazione sono ben difficili da ottenere. Al termine dello scorso anno scolastico, rileva l’Istat, il 45% degli studenti 6-17 anni ha denunciato di aver avuto difficoltà con la DAD. La scuola in presenza, invece, è un grande livellatore delle diseguaglianze. Questo è vero fin dall’asilo nido e dalla scuola materna, i segmenti più dimenticati nel dibattito di questi mesi.

La lotta contro l’abbandono scolastico

Essere a scuola, starci in presenza è anche un modo per arginare l’ondata crescente degli early school leavers, cioè di quei ragazzi e ragazze che lasciano la scuola prima del tempo. O per contenere la crescita dei low achievers, cioè degli studenti 15enni con competenze minime. Già prima della pandemia 1 studente quindicenne su 5, a livello nazionale. mostrava livelli di conoscenze insufficienti in matematica e lettura. La Fondazione Agnelli ha valutato che il terremoto scolastico causato dalla pandemia potrebbe provocare una perdita di capitale umano, nell’arco dei prossimi 40 anni, che sfiora i 10 punti di PIL, come riporta l’Atlante dell’Infanzia a rischio 2020 di Save the Children Italia.

La sfida per il governo appena nato sarà di arginare questo disastro annunciato. Forse non sarà il mese in più di scuola a giugno a rovesciare il trend. E certo, ogni iniziativa sulla buona scuola – come scrivevano Federica Montevecchi e Barbara Pesce su Strisciarossa – dovrà “considerare in modo concreto l’edilizia scolastica spesso fatiscente, il numero troppo elevato di studenti per classe, la formazione priva di qualità dei docenti, la loro remunerazione inadeguata, soprattutto il loro reclutamento, affidato a commissari non selezionati e non retribuiti oppure a passaggi di cattedra da un ordine di scuola all’altro, per non parlare della burocrazia insensata, che il tempo lo fa perdere sul serio”. Però non sarà un mese in più sui banchi di scuola a penalizzare gli studenti, a patto che si tratti di una scuola creativa, che intercetti le lacune diverse degli studenti, i vuoti culturali, i bisogni anche comunitari. Con una speranza. Che la pandemia serva a rilanciare un dibattito serio sulla scuola e sul diritto allo studio, parole apparentemente desuete ma quanto mai attuali.