Scontro con la UE: il governo farà marcia indietro

Al di là dell’accordo firmato dai 27 sul progetto di Trattato che apre la strada al divorzio fra Regno Unito e Unione europea, il week end europeo a Bruxelles potrebbe essere qualificato con il termine usato da Jeremy Corbyn per qualificare la dichiarazione sulle relazioni future fra Sua Maestà e le istituzioni europee: waffle (chiacchiere).

Chiacchiere, soprattutto quelle della cena al tredicesimo piano del Berlaymont fra Juncker e Conte accompagnati da Tria, Dombrovskis e Moscovici perché Juncker non poteva rinunciare al giudizio sulla “deviazione sostanziale” della manovra di bilancio italiana dalle regole sul debito e Conte non poteva prendere nessun impegno sulla vaga ipotesi di un “patto politico”  che la Commissione vorrebbe far sottoscrivere all’Italia per ancorarla ad una “unione sempre più stretta” in cambio di una maggiore flessibilità sulla valutazione del rapporto fra il debito pubblico e il PIL.

Conte ha chiesto tempi lunghi nelle valutazioni di Commissione e Consiglio, per scavalcare le elezioni europee nell’illusione che la manovra provochi in sei mesi la crescita miracolosa del PIL e contestualmente un inizio di diminuzione sufficiente del debito pubblico, e riservatezza sulle raccomandazioni.

Sui tempi lunghi che consentano al governo di andare al di là delle elezioni europee, la valutazione politica del Consiglio potrà essere determinante – anche se il Trattato gli impone di agire “senza ritardi ingiustificati” – perché è noto che Lega e 5 Stelle vogliono usare la procedura di infrazione in campagna elettorale e che il Trattato ha lasciato al Consiglio un ampio margine di manovra togliendo alla Commissione il potere di decisione.

Dal “Patto di stabilità” del 1997 in poi molta strada – e non sempre nella direzione di un’Unione coerente con i parametri economici e non giuridici – è stata compiuta dal processo di integrazione europea con un rafforzamento e una moltiplicazione delle regole e delle politiche europee imposte dai governi dopo il black Monday della Lehman Brothers il 15 settembre 2008: Fiscal Compact, Six Pack,Two Pack, Semestre Europeo, Troika, ESM, OMT, QE, MRU, MVU, EBA..

Il Patto – disse Romano Prodi nel 2001 – è stupido come tutte le regole rigide ma (aggiunse) è necessario”.

Le regole sono state violate più volte da quasi tutti gli Stati membri che sono entrati progressivamente nell’eurozona, nella maggior parte dei casi nella parte relativa al disavanzo annuale (che non dovrebbe essere superiore al 3% del PIL nazionale) e più raramente nella parte relativa al debito pubblico (che non dovrebbe essere tendenzialmente superiore al 60% del PIL) e i protagonisti della storia europea ricordano il sostegno della presidenza italiana e del ministro Tremonti ai cattivi della classe europea francese e tedesco che avevano volontariamente violato la regola del 3%.

Nonostante queste violazioni la maggioranza dei paesi o meglio dei governi ha introdotto riforme “strutturali” per tenere sotto controllo i bilanci nazionali essendo sciaguratamente convinti che il livello elevato dei debiti pubblici fosse la causa e non l’effetto della crisi finanziaria nata negli Stati Uniti e poi tracimata in Europa.

Le regole e le politiche sono state rafforzate e aggiornate dai governi – conservatori, di centro, di centrosinistra e socialdemocratici – che si sono scambiati la campanella del potere negli dieci anni salvo proclamare alle opinioni pubbliche nazionali “ce lo ha chiesto l’Europa”. Forse senza rendersi conto di quel che faceva (come gli avviene spesso) il presidente del Consiglio italiano ha sottoscritto la conferma di queste regole il 13 luglio scorso fornendo così alla Commissione gli elementi essenziali di uno psicodramma tutto italiano auspicato fin dall’inizio dalla coppia Salvini-Di Maio.

Sulla base di quella decisione del 13 luglio la Commissione ha inviato “letterine” a vari governi…..devianti ma sono tutti coscienti che si tratta di regole del gioco istituzionale, che le “letterine” sono all’origine di un dialogo annuale e che alla fine Commissione, governo deviante, Consiglio e BCE trovano un’intesa su una riduzione minore della deviazione in attesa della successiva deviazione.

La stampa e i media dei paesi devianti dedicano scarsa attenzione a questi rimpalli perché sanno che non sono in gioco le relazioni essenziali fra i governi e le istituzioni europee ma dimenticano di spiegare alle opinioni pubbliche che, nonostante la modesta crescita dell’Eurozona degli ultimi tre anni, è aumentata la povertà relativa nell’eurozona, sono cresciute le diseguaglianze fra classi sociali e territori mentre resta irrisolta la questione dell’avvenire che stiamo preparando per le future generazioni.

Lo psicodramma italiano ha una sua essenziale e distruttiva particolarità che val al di là della deviazione sostanziale del debito pubblico (che dovrebbe tendere progressivamente verso il 60% dal 130 % in cui si è assestato da anni) come conseguenza di un disavanzo che è certo al di sotto del 3% (qualcuno dice il 2.9 e qualcun altro il 2.4). La particolarità italiana è legata al fatto che Lega e Cinque Stelle hanno deciso, firmando il contratto di governo, che avrebbero smantellato il rapporto fra l’Unione europea e l’Italia evidenziandolo costituzionalmente in una breve paragrafo del contratto sfuggito ai più: “il governo – recita il paragrafo – si impegna a cancellare il primato del diritto dell’Unione sulla legislazione nazionale”.

In sei mesi, il governo italiano ha predisposto – ma non ha adottato, con alcune rilevanti eccezioni come il decreto legge “sicurezza”, poiché la sua azione si basa sugli annunci via social – un apparato impressionante di strumenti che cancellano in Italia principi e valori dell’Unione e hanno preparato mattoni virtuali per erigere muri fra l’Italia e l’Unione europea.

Dal principio della cooperazione leale alla non discriminazione passando per gli obiettivi dello sviluppo sostenibile e il dialogo sociale e il dialogo civile la lista delle deviazioni sostanziali dal sistema europea è sempre più lunga.

Quel che appare chiaro è l’incapacità del governo di sedersi al tavolo delle numerose trattative europee per difendere gli interessi dell’Italia.

Come impedire che il piano del governo raggiunga l’obiettivo di separarci di fatto dall’Unione europea ?

In primo luogo bisognerebbe promuovere una petizione al Parlamento europeo chiedendogli di creare una commissione temporanea di inchiesta sul “caso Italia” per determinare se il governo italiano è responsabile di violazioni nell’applicazione del diritto dell’Unione. L’iniziativa di promuovere una commissione di inchiesta può essere avviata su richiesta di un quarto dei deputati europei.

In secondo luogo  sarebbe importante lanciare una mobilitazione della società civile europea per trasformare il 25 aprile 2019 – a un mese dalle elezioni europee – in un evento di “resistenza europea”.

In terzo luogo si dovrebbe usare la via giudiziaria individuando gli interessi collettivi violati dall’Italia con leggi adottate in contrasto con norme europee chiedendo ai giudici italiani di rivolgersi alla Corte di Giustizia dell’Unione europea.