Sbatti il mostro
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in prima serata
Chissà se qualcuno dei capi, dei direttori, dei sottocapi della Rai, di cui si disputa animosamente in queste ore nella Capitale, guarda la televisione che produce o che dovrà produrre. Vale anche per chi sta alla testa delle tante reti private, non solo Mediaset o La7. Ma ci importa di più la nostra Rai per quella funzione di “servizio pubblico” che da tempo si è data (non a caso, visto che di soldi pubblici sopravvive). Chissà insomma se il nostro direttore (quanti sono i direttori e i vicedirettori di viale Mazzini) segue un intrattenimento del pomeriggio o guarda un talk show della sera, se ha in mente la “mission” che dovrebbe ispirare programmi e palinsesti, se aggrotta le sopracciglia per la qualità degli spettacoli cui si trova ad assistere.
Lasciando in disparte film e telefilm, che neppure in un cinema di terza visione degli anni cinquanta (allora si andava dalla prima alla terza visione fino ai cinema con doppia proiezione) si sarebbero permessi di proiettare, trascurando “Ballando con le stelle” oppure “Amici” o l’eterno “Chi l’ha visto”, il pezzo forte delle nostre serate resta il dibattito d’attualità e il covid, il virus dei nostri anni, ahimè, di attualità ne garantisce tanta e ancora ne garantirà. Meglio poi se il dibattito si svilupperà intenso, per gli indici d’ascolto ovviamente, meglio ancora se curverà verso la rissa, che verrà immancabilmente ripresa dai quotidiani online, da youtube e da ogni altro genere di social. Il voyeurismo ha il suo peso: come piace il delitto con il sangue in camera da letto, così seduce l’insulto e l’urlo che coinvolge eminenti personaggi e c’è chi dell’insulto e dell’urlo s’è fatto maestro, costruendosi così una carriera. Pensiamo a Sgarbi, eccellente storico dell’arte, squisito conferenziere a proposito di quadri e di maestri della pittura, che è diventato tutt’altro grazie alle sue furiose impennate.
Questa è l’onda e si continua. Il talk show sulla malattia che non si ferma poco si presterebbe di per sé, considerata la gravità del tema e del momento,dovrebbe risolversi in un tranquillo confronto tra politici, intellettuali, scienziati, tecnici, tra le loro opinioni e i loro saperi. Aggiungiamo alla compagnia i giornalisti, ormai investiti del ruolo del maître à penser universale dopo aver abbandonato quello dell’informatore o del comunicatore: costano poco, si pagano pure l’agente che li piazza di qua e di là.
Deve scoccare la scintilla
Ma se ci si limitasse a convocare persone competenti e pure educate e magari informate non si andrebbe molto lontano. Occorre, perché l’audience salga, convocare chi riesce a far scoccare la scintilla. Qualsiasi cosa dica, qualsiasi tesi sostenga, purchè appunto riesca ad accendere la fiamma. Purtroppo il covid non solo ha mietuto vittime, centotrentamila morti, migliaia di ospedalizzati, migliaia e migliaia di sofferenti, ma ha pure creato “mostri”, non nel senso del celeberrimo film di Dino Risi, sessant’anni fa (quello, per intenderci, a episodi, in uno dei quali, memorabile, Gassman fa il pugile suonato e Tognazzi fa il procuratore altrettanto suonato), ma nel rispetto dell’etimologia, del nobile latino, nel significato di “prodigi, portenti”, di fenomeni capaci di muovere emozioni, di appiccare fuochi, di far sì che i muscoli si scaldino o di rinchiudere nella nicchia dello stupore e del silenzio anche i più smaliziati interlocutori. Proprio questo, ad esempio, è capitato martedì sera (siamo su Raitre) a Bruno Vespa, un inarrivabile campione della dialettica, costretto all’angolo dalle farneticanti mitragliate di una elegante bionda signora, non si capiva se non vax o no pass, o no vax e no pass insieme, non si capiva da dove venisse e che cosa rappresentasse, per quale miracolo stazionasse seduta sullo sgabellone trasparente di “Cartabianca” . Uno spettacolo: Vespa che, alle prese con la petulante vicina, si gira dall’altra parte, Vespa che allarga le braccia impotente, nel gesto della rinuncia, e che annuncia al vasto pubblico: mi ritiro, come si fa a discutere con questa (lo ha detto). Vespa che tace… “Cartabianca” ha offerto davvero, per chi lo volesse, un “caso di scuola”, perché la suddetta signora del no no è riuscita pure nell’impresa di scuotere dalla pensione il professor Galli, il virologo del Sacco, il virologo più amato dagli italiani, garbato e paziente nel ruolo del pedagogo, rassegnato a perder la pazienza, a uno scatto pericoloso di pressione, al grido disperato: stia zitta, mi lasci parlare (commentando infine: “Questa è maleducazione”). Voleva soltanto il professor Galli, in virtù della sua professione e della sua competenza, ribattere alcune incommensurabili scemenze enunciate dalla signora in questione. Persino la elegantissima Bianca Berlinguer è sembrata esterrefatta.
Servizio pubblico
Però, di fronte al caso in questione e a tanti altri in fila, rispunta una domanda, una domanda frequente, peraltro, quando si seguono in tv queste passerelle d’ospiti d’ogni latitudine intellettuale e politica, anche le latitudini più basse, addirittura impercettibili. Premesso che ci pare nessuno abbia mai cercato di imporre il pensiero unico farmacologico, premesso che è divertente sentire dire di microchip iniettati, di congiura dei potenti, di strategie di Amazon per schiavizzarci, di guarigioni a colpi di benedizioni per mano di maghi rispuntati dalle tombe dell’antico Egitto o di preziosi aromi e unguenti prodotti secondo antiche ricette, premesso che non piacciono mai indifferenza ed egoismo, premesso che è bello e importante ascoltare opinioni e conoscenze diverse, contrastanti, purché fondate su elementi certi e accertabili, ci si chiede perché la Rai e le altre reti televisive, ma soprattutto la Rai, per quanto si è detto del “servizio pubblico”, si accaniscano a ospitare certe/i individue/i, prive/i dichiaratamente di qualsiasi formazione, di qualsiasi cultura, recitanti slogan e numeri intestati a indefinite ricerche o a personaggi, magari eccellenti, lontani mille miglia, tutti nell’impossibilità di confermare o smentire, soverchianti nel volume e nell’arroganza. Qui si deve tirar in ballo qualcosa di molto importante: la responsabilità. A chi diamo voce? Quali sensibilità vogliamo raggiungere? Di quali esperienze scientifiche abbiamo bisogno? Lo scopo? Informare o pasticciare nella testa altrui? Perché, cara Bianca Berlinguer?
Sembra, a volte, che nell’incanto della zuffa si sciolgano i drammi di tante persone, sembra che non contino nulla il benessere di un paese e neppure la salute dei suoi cittadini, in ostaggio di una minoranza. Sembra che non ci si preoccupi di smantellare certe idee di bene collettivo, di solidarietà, di rispetto per gli altri, neppure i vincoli dell’economia possano pesare, come se la parola pandemia fosse sparita dal vocabolario delle nostre esistenze.
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