Sardegna alla destra e flop del governo (aspettando le europee)
Il sogno, come ogni sogno, è durato lo spazio di una notte, le lunghe ore del “testa a testa” degli exit-poll. Il risveglio (molto lento, in verità) riporta alla dura realtà di questi tempi. Anche la Sardegna passa (anzi torna) al centrodestra. Ma questa volta è stata una partita non scontata e per la prima volta da molte elezioni amministrative a questa parte, il centrosinistra è stato in gioco per un bel tratto. Merito di una candidatura azzeccata, quella del sindaco di Cagliari, Massimo Zedda, che è andato ben al di sopra del risultato della sua coalizione. E, perché no, di un ritrovato spirito di mobilitazione che se proiettato su scala nazionale rende meno cupe le prospettive dell’alleanza a un anno dalla storica sconfitta delle elezioni politiche.
Il grande perdente del voto sardo è naturalmente il Movimento 5 Stelle. Sconfitta prevista, ma non in queste dimensioni. Neppure un anno fa i grillini avevano raccolto oltre il 42 per cento dei voti e fatto bingo (senza alleati) in tutti i collegi uninominali dell’isola: ieri si calcola che abbiano perso i tre quarti del loro consenso. Già si sente ripetere il ritornello: è un voto locale, il Movimento è “ in salute” (sic!) penalizzato solo dal “divieto” di alleanze, il suo è un elettorato principalmente di opinione, alle europee sarà diverso. Ma il tracollo è troppo pesante e troppo repentino per non insinuare un dubbio esistenziale di fondo. Ha ancora una missione il Movimento 5 Stelle, a parte quella di arricchire la Casaleggio Associati? La resa totale alla Lega sulle posizioni xenofobe (persino sul reddito di cittadinanza) e populiste, la totale inaffidabilità sui temi dell’economia, quali spazi credibili lascia a Di Maio e compagnia? Fra tre mesi, con le elezioni europee – le più proporzionali e di opinione possibili – avremo forse delle risposte definitive.
Ben più che un paio di settimane fa in Abruzzo, è il centrodestra che vince come coalizione e non tanto la Lega.. Si riprende il governo della Sardegna con un candidato-fantasma, Christian Solinas, campione di trasformismo, capace di regalare alla peggiore destra la tradizione democratica del sardismo, quasi “desaparecido” in campagna elettorale quando ha scelto di nascondersi dietro la faccia e le divise di Salvini. Ma questa volta il feroce ministro dell’Interno, che del resto si è speso in questa campagna elettorale più che in ogni altra, in particolare nella contraddittoria vertenza dei pastori, non ne esce esattamente da vincitore. La Lega in Sardegna è ben al di sotto del successo dell’Abruzzo, migliora solo di un paio di punti il risultato di un anno fa, e la spunta solo grazie ai suoi tradizionali alleati forzisti, centristi, post-fascisti e ora anche sardisti. E’ presto per dire se anche per Salvini la corsa cominci a rallentare, ma certo gli argomenti del leader leghista (sempre gli stessi, immigrazione e sicurezza) non potranno reggere a lungo quando gli effetti della recessione e della crisi cominceranno purtroppo a farsi sentire sulla vita reale. Intanto, la coalizione di governo in Sardegna è precipitata verticalmente: tra M5S e Lega poco più del 20 per cento, assai meno della metà ottenuto dai due partiti appena un anno fa.
Infine, il centrosinistra. Come e più dell’Abruzzo, la ripresa è stata favorita da una candidatura popolare e al tempo stesso innovativa come quella del sindaco di Cagliari, oltre che dal ritrovato spirito di coalizione di cui ha tratto beneficio anche il Pd, che pur se in lieve flessione è a spoglio quasi ultimato addirittura il primo partito dell’isola. Non è senza significato che proprio Zedda sia stato uno dei protagonisti del tentativo, allora fallito, di Campo Progressista, ovvero di quella formazione che più si era spesa per un progetto unitario alle elezioni di un anno fa. In qualche modo ora la prospettiva torna attuale. L’offerta di una candidatura alle europee a Giuliano Pisapia da parte del più che probabile nuovo segretario del Pd, Nicola Zingaretti, va chiaramente in quella direzione. Ma prima di allora ci sarà il passaggio cruciale, domenica prossima, delle primarie democratiche: un successo di partecipazione è fondamentale per non disperdere la speranza che proprio il voto sardo ha in qualche modo alimentato.
Un post-scriptum, anzi una domanda conclusiva, è d’obbligo: quanto e come è stata raccontata davvero la Sardegna in questa campagna elettorale? Poco e molto parzialmente. Nelle scorse settimane l’attenzione è stata interamente concentrata sulla fondata protesta dei pastori, al punto che il ministro dell’Interno si è gettato impropriamente e improvvidamente nella vertenza sul prezzo del latte. In certe ricostruzioni sembrava di essere tornati indietro di mezzo secolo, quando il New York Times, iniziava così il suo reportage suoi luoghi del banditismo: “La Sardegna ha un milione e mezzo di abitanti e tre milioni di pecore…”. Ma il dramma dell’isola, ancor più di ieri, non è solo nelle campagne, come dimostrano la sfilza di record negativi, dalla disoccupazione giovanile all’emigrazione fino alla dispersione scolastica. La fine della (breve) era industriale ha lasciato il deserto produttivo, e con tutto il rispetto questo vuoto non può essere colmato dal pecorino romano… Le cose, però, oggi vanno così: vale molto più il percepito del reale, discorsi e programmi complessi non pagano sulla scena della politica. Ma tutto questo va ben oltre il voto e le pecore della Sardegna.
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