Salvini tradisce l’Europa con Putin ma a Bruxelles il Ppe lo sdoganerà?
Il castello di menzogne eretto da Matteo Salvini intorno al negoziato del Metropol si sta sgretolando e le dimissioni di quello che fino a ieri era l’uomo forte, il vero capo del governo italiano, appaiono sempre più inevitabili. Sarebbero già un fatto se i cinquestelle non fossero paralizzati dal terrore del voto e se il presidente del Consiglio fosse lui, non solo sulla carta, il capo del governo. Dimissioni inevitabili non solo per evidenti ed elementari ragioni di moralità politica, ma anche, e soprattutto, per la salvaguardia degli interessi nazionali. Gli effetti perversi dello scandalo, infatti, si propagano tra gli alleati e i partner dell’Italia che hanno tutte le ragioni di preoccuparsi della soggezione di chi governa a Roma a una potenza che persegue una politica attivamente ostile al sistema di relazioni di cui l’Italia è parte: la NATO e, soprattutto, l’Unione europea che per la Russia di Putin è oggi il vero nemico da indebolire e in prospettiva abbattere. Su questo obiettivo regge l’alleanza dell’autocrate del Cremlino con Donald Trump alla cui ascesa alla Casa Bianca da Mosca venne il soccorso delle trame e degli imbrogli del Russiagate sul quale si sta indagando in America.
Russiagate all’italiana 
È in questo losco contesto che si inserisce anche il Russiagate all’italiana andato in scena nel salone del Metropol. Comunque si concluda la vicenda in Italia, quali che siano i suoi sviluppi politici e giudiziari, il danno è stato già fatto. Ai tanti motivi per cui il nostro Paese veniva già considerato l’anello debole del sistema se ne è aggiunto uno nuovo e devastante.
Questo disastro d’immagine e di credibilità arriva nel momento, delicatissimo, in cui a Bruxelles e nelle cancellerie d’Europa si stanno definendo i vertici politici dell’Unione. Una coincidenza nefasta ma non casuale: i soldi degli sporchi affari di cui si discusse otto mesi fa intorno a quel tavolo dovevano servire alla Lega per finanziare proprio la campagna per le elezioni da cui sarebbe uscito il nuovo assetto politico dell’Unione. Quella con cui il partito di Salvini (e anche i cinquestelle) avrebbero rivoltato l’Europa come un calzino, mandato a casa i “burocrati che nessuno ha eletto”, gli “illuminati di Bruxelles” nella vulgata del fedelissimo Savoini con gli interlocutori russi, e assicurato agli ingordi governanti di Roma la possibilità di sfondare bilanci e debito per finanziare le loro riforme.
Non è andata come sarebbe piaciuto a loro. I sovranisti, a parte il solito Orbán e Salvini, hanno fatto cilecca dappertutto. Nel nuovo parlamento europeo sono divisi in due gruppi l’un contro l’altro armati, mentre i poveri soldatini di Di Maio, che per mesi è andato pietendo alleanze con partitini e gruppi sempre più improbabili (e impresentabili) ora stazionano impotenti nel gruppo dei non iscritti. E c’è da pensare che i rubli moscoviti anche se fossero arrivati (in forma di dollari, va da sé) non sarebbero serviti a comprarsi il successo.
I sovranisti di Bruxelles
In queste ore però, mentre a Roma l’affaire Metropol sta mettendo in guai serissimi i sovranisti di casa nostra, i sovranisti di Bruxelles potrebbero ricevere un insperato soccorso dalla presidente della Commissione designata dal Consiglio europeo, cioè dai capi dei governi, Ursula von der Leyen. La ministra tedesca della Difesa, esponente di primo piano della CDU, per andare alla guida della Commissione deve ottenere, domani martedì, il voto favorevole del parlamento europeo, ma dai colloqui che ha avuto finora con i gruppi politici una maggioranza certa non c’è. Nei tre gruppi che esprimono i capi dei governi che l’hanno designata può contare sull’appoggio (quasi) unanime solo dei popolari, mentre nei colloqui preliminari che ha avuto con gli altri due, i socialisti & democratici e i liberali, sono emerse molte perplessità politiche. Un po’ perché non è stato apprezzato il fatto che la sua candidatura abbia rotto il principio degli Spitzenkandidaten (quello in base al quale gli elettori sceglievano il presidente della Commissione indicato dai partiti), molto perché le sue indicazioni programmatiche non convincevano affatto: troppo poco attente alle questioni sociali e del lavoro secondo i socialisti e a quelle delle libertà civili a parere dei liberali. Fatto sta che molti deputati di questi due gruppi, per esempio tutti i tedeschi della SPD, sarebbero orientati nel segreto dell’urna a votare contro. Lo stesso faranno i Verdi, cui VDL (così la chiamano) ha sbattuto la porta in faccia rifiutandosi di prendere impegni sulle misure vòlte a contrastare il riscaldamento globale, e le sinistre a sinistra dei socialisti.
La prospettiva di una bocciatura ha convinto VDL a cercare un accordo con uno dei due gruppi di ispirazione sovranista, quello a cui appartengono i polacchi del PiS di Jaroslaw Kaczyński e i deputati italiani eletti da Fratelli d’Italia. L’operazione verrebbe vista con molte perplessità nello stesso gruppo popolare, ma sarebbe favorita dall’ala destra dello stesso gruppo, dai “pontieri” verso l’estrema destra del Fidesz, il partito di Orbán, e da Forza Italia.
Misteriose concordanze
Ursula von der Leyen, poi, si sarebbe assicurata i voti dei cinquestelle italiani, i quali pur di rientrare nei giochi si sono affrettati a trovare misteriose “concordanze” con il programma della candidata tedesca mentre andavano infittendosi a Bruxelles le voci di contatti e pourparler con l’altro gruppo sovranista, quello in cui si trovano, con i loro consistenti pacchetti di voti, i leghisti italiani e i deputati di Marine Le Pen. Fino a ieri sera VDL non aveva chiarito se accetterebbe o meno i voti dell’estrema destra.
Insomma, c’è il rischio che i sovranisti vengano sdoganati a Bruxelles, magari sottobanco approfittando delle opacità del voto segreto, proprio nel momento in cui a Roma viene alla luce il più eclatante caso di tradimento degli interessi europei messo in atto dal loro esponente più in vista. Una prospettiva che deve far riflettere molto seriamente i dirigenti del PD, come hanno giustamente fatto notare Enrico Letta nell’intervista pubblicata ieri da Repubblica e Romano Prodi nel suo editoriale domenicale sul Messaggero. Prodi, che fu presidente della Commissione, indica la necessità che le forze europeiste reclamino le dimissioni di von der Leyen nel caso in cui la sua maggioranza dipendesse dai sovranisti e, come Letta, giudica un “grave errore” politico il fatto che la candidata tedesca abbia rotto con i Verdi.
Sostieni strisciarossa.it
Strisciarossa.it è un blog di informazione e di approfondimento indipendente e gratuito. Il tuo contributo ci aiuterà a mantenerlo libero sempre dalla parte dei nostri lettori.
Puoi fare una donazione tramite Paypal:
Puoi fare una donazione con bonifico: usa questo IBAN:
IT54 N030 6909 6061 0000 0190 716 Intesa Sanpaolo Filiale Terzo Settore – Causale: io sostengo strisciarossa
Articoli correlati