RomArchive, la vita dei popoli Romanì

Ogni anno, da almeno vent’anni, rappresentanti dei popoli Romanì si danno appuntamento l’1 e il 2 agosto al crematorio numero 5 di Auschwitz, in Polonia. Fanno memoria del genocidio di oltre 500.000 rom del Centro e Sud-Europa, dei sinti catturati in Germania, Austria, Francia, Paesi Bassi, Danimarca e Italia, dei Kalè spagnoli e portoghesi, dei Romanichals britannici e dei Romanisæl svedesi e norvegesi. I discendenti di questi ultimi, assieme ai tedeschi, sono stati tra gli attivisti politici più impegnati, fin dagli anni Settanta, nel chiedere il riconoscimento della responsabilità di Germania e Italia. Hanno insistito anche per una presa di posizione dell’Europa.

Il viaggio ad Auschwitz, fino al 2015, era un appuntamento del tutto privato. I romanì avevano solo il sostegno del Centro Sinti e Rom di Heidelberg e la silenziosa presenza, ogni anno, dietro ai loro capifamiglia, dei rappresentanti delle Comunità Ebraiche. Dopo 71 anni l’Unione Europea, nel 2015, ha dichiarato il 2 agosto giorno della memoria del genocidio dei popoli Romanì. Nel viaggio annale ad Auschwitz il primo giorno è dedicato alla sosta al crematorio. Qui, nella notte tra l’1 e il 2 agosto 1944, vennero uccisi nelle camere a gas gli ultimi 2900 romanì rimasti. Il secondo giorno invece c’è il raduno al “Campo delle famiglie zingare” di Auschwitz-Birkenau.

Wladyslaw Kwiatkowski, storico, fa parte dell’Associazione Popoli Romanì polacchi. I Kwiatkowski hanno documentato l’uccisione di più di cento membri della loro famiglia durante l’occupazione nazista. Morirono nei campi di concentramento, assassinati nei villaggi o durante le marce della morte. La nonna di Wladyslaw fu una delle vittime degli esperimenti del medico nazista Josef Mengele. Alla fine del 1979 il parlamento della Germania Occidentale riconobbe che la persecuzione dei Romanì ad opera dei Nazisti era stata motivata dal pregiudizio razziale. Nei processi del dopoguerra ai criminali nazisti gli imputati continuarono a dire che la deportazione di questi popoli era una misura di prevenzione della criminalità o contro lo spionaggio. Non scattò l’accusa di genocidio. I sopravvissuti intanto iniziarono a parlare di ciò che per loro era sempre stato il Porajmos, “il divoratore”.

Elisabeth Guttenberger, sinti tedesca, era una bambina quando venne internata ad Auschwitz. Raccontò come Mengele avesse usato i suoi cugini, che erano gemelli, per fare esperimenti. I genitori e i fratelli morirono nella camere a gas o di stenti. Parlò anche Sofia Taikon, romanì svedese. Fu salvata con l’operazione “Autobus Bianchi” messa in piedi da Svezia e Norvegia. Emissari dei due Paesi scandinavi offrirono ai tedeschi di concentrare i prigionieri del Nord Europa in un’unica località e in questo modo misero in salvo migliaia di persone, soprattutto bambini. Sofia morì anziana, nel 2015. Poco dopo venne pubblicata la sua storia, raccolta nella graphic novel “Sofia Z-4515”, di Gunilla Lundgren.
Berlino, nel 2012, ha dedicato un monumento alla memoria dei Romanì vittime del genocidio. L’ha disegnato l’artista israeliano Dani Karavan. E dal prossimo autunno sarà online RomArchive, il più grande archivio al mondo dell’arte e della storia dei popoli Romanì, un’iniziativa di due studiose tedesche e dei rappresentanti delle comunità coinvolte, che gestiranno la fondazione in prima persona, arricchendola di opere, video e documenti, con continui aggiornamenti.

Il musicista e poeta Santino Spinelli, in arte Alexian, laureato in lingue e anche in musicologia, è fondatore e presidente dell’associazione culturale Thèm Romanò, mondo romanò. Insegna all’università di Chieti. Di fronte alla proposta di fare un censimento di rom e sinti fatta dal ministro Matteo Salvini ha ribattuto: “La mia famiglia è presente da secoli in Italia, mio padre fu internato durante il nazifascismo. Chiedo l’intervento del presidente Sergio Mattarella, che invito il 5 ottobre prossimo a Lanciano all’inaugurazione del primo monumento in Italia in memoria della persecuzione contro rom e sinti perpetrata dai fascisti e dai nazisti. Monumento –aggiunge l’artista – che fungerà da barriera all’insorgere degli odi e dei nuovi fascismi”. Ed è proprio di Santino Spinelli la poesia incisa sul memoriale di Berlino. S’intitola Auschwitz e dice: Faccia incavata/Occhi oscurati/Labbra fredde./Silenzio./Cuore strappato/Senza fiato/Senza parole/Nessun pianto.