Laici e non, per uscire
dal Belpaese
delle caverne
Colpisce il livello dei comportamenti pubblici e privati nel nostro paese: siamo ormai a pochi passi dalla caverna da cui, come uomini e donne, abbiamo cercato di allontanarci, sforzandoci di costruire nei millenni un mondo più civile e meno animalesco.

Ma, come diceva un filosofo, la cultura è come un fiore sulla nuda roccia, che un colpo di vento può spazzare via, ripiombandoci nella bestialità. Lo abbiamo imparato vedendo scorrere il film tragico del XX secolo: non esiste un progresso continuo, un incivilimento costante, la civiltà è fragile, precaria, in ogni momento si può tornare al bellum omnium contra omnes. Come sta accadendo oggi. Se uno legge oggi un testo di Kant – mi limito a fare un esempio – vede subito quanti passi indietro abbiamo fatto rispetto al grande professore di Konigsberg.
Di questo stato delle cose siamo tutti responsabili, i laici, i cattolici, i credenti, i non credenti. Ma qui vorrei sottolineare sopratutto un punto, che mi sembra centrale, e lo dico da laico, estraneo ad ogni religione. Uno dei fattori della crisi in cui siamo precipitati è anche l’indebolimento – non voglio dire la rottura – fra cattolicesimo e società italiana, fra Europa e cristianità. Oggi non si potrebbe dire, come disse Novalis nell’autunno del 1799: Europa ovvero cristianità, identificando l’una e l’altra in un comune destino. Questo indebolimento pesa, e contribuisce ad acutizzarlo, nell’imbestiamento in atto nella nostra società.
È diventato normale affermare che i rom non sono come noi; anzi un’affermazione bestiale come questa viene applaudita con grande consenso; si può sottrarre cibo al bambini anche se procurato da altri , senza suscitare sdegno nei confronti di un gesto bestiale come questo. Ritornare nella caverna, o nella foresta, sta diventando un comportamento normale, abituale. E quando i comportamenti diventano abitudine e si trasformano in senso comune diventa difficilissimo non dico estirparli, ma metterli in discussione. Non c’è infatti nulla peggio dell’abitudine, è l’opposto di quella criticità che dovrebbe essere il segno distintivo di una umanità degna di questo nome.

So bene quanto il decadere dei valori del socialismo abbiano pesato e continuino a pesare in questa catastrofe, e so bene quanta fatica costerà allontanarsi dalla caverna. E so pure quanto i laici debbano impegnarsi in questa lotta, riorganizzando e ridefinendo il perimetro, e lo spessore, della comune umanità.
Ma, ed è su questo che voglio insistere, in questa catastrofe c’è una grande responsabilità anche degli uomini di fede, dei cattolici, dei cristiani. Se ne è reso conto anche il papa emerito Benedetto XVI, che ha individuato la profondità e gravità del problema, ma sbagliando l’analisi e quindi proponendo soluzioni sbagliate. Alle origini di tutto per Ratzinger c’è il ‘68, allora sarebbe iniziato il processo di crisi e decadenza del mondo e della Chiesa che ci ha precipitati in in mondo senza Dio.
È vero il contrario: è stata il mancato riconoscimento politico e istituzionale delle istanze di emancipazione e liberazione emerse in quel periodo cruciale che hanno condotto, sul lungo periodo, alla situazione di imbarbarimento in cui siamo caduti. Ma qui sono state gravi anche le scelte che negli anni settanta fecero le forze di sinistra. La società italiana andava in una direzione, le politiche del Pci andarono nella direzione opposta. Non si capisce nulla della storia italiana se non si comprende cosa sono stati nella nostra società gli anni settanta: è da lì che parte tutto.
Se le forze di sinistra vogliono riprendere a camminare devono riprendere nelle loro mani la bandiera della emancipazione e della liberazione, rimettendosi in sintonia con le energie della società italiana ed europea che vanno in quella direzione e che sono alla ricerca di una rappresentanza civile, politica, istituzionale così spasmodica e tumultuosa da scegliere – in assenza d’altro – di schierarsi con i 5 stelle, uno dei più grandi fenomeni del trasformismo tipico della storia italiana, come vediamo giorno dopo giorno.

Le forze di sinistra hanno un futuro se diventano radicali, rimettendosi in cammino su strade nuove rispetto a quelle, pur gloriose, di un passato ormai finito. Un esempio: è giusto parlare del primato del lavoro, ma non è questo il solo legame su cui deve insistere oggi una forza della trasformazione. Gli individui oggi sono più complessi, si è modificato anche il concetto della vita e della morte: e l’idea che ciascuno ha oggi di se stesso, non è circoscrivibile nei vecchi confini. Le forze laiche e di sinistra hanno dunque molto lavoro da fare qui ed ora.
Ma anche i credenti, i cristiani, i cattolici hanno il grande compito di ridare forza e voce alle parole della loro fede: carità, fraternità, eguaglianza, amore. Devono rileggersi il discorso della montagna e riprendere nelle loro mani il problema del destino dell’uomo, come hanno saputo fare lungo tutta la storia di Europa. E devono farlo senza maschere, restando fedeli a se stessi.
Sta qui la possibilità di un nuovo terreno comune tra credenti e non credenti, entrambi indispensabili per allontanarsi dalla caverna, e ricominciare a tessere il filo della comune umanità. È anche di qui che passa il futuro, da costruire insieme, dell’Italia e dell’Europa. Se c’è ancora, come io credo, la possibilità di un futuro.
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