Lettera a Draghi:
“Ristori per chi
ha perso meno del 30%”

I giovani, si sa, come gli adulti, non sono tutti uguali e, mentre qualcuno vive la sua età senza eccessivi sacrifici, qualcun altro è costretto a rimboccarsi le maniche e a lavorare, magari, anche solo per mantenersi agli studi universitari. E’ il caso di una studentessa di Giurisprudenza alla Sapienza di Roma, Maria Francesca M., la quale non è mai pesata più di tanto sulla famiglia, sia dando una mano ai genitori nel ristorante che gestiscono, sia facendo lavoretti nello stesso settore nella capitale. Oggi, purtroppo, come altri è costretta a fare i conti con la chiusura dell’università e con le conseguenze della crisi pandemica, particolarmente avvertite dai suoi genitori, soprattutto in seguito al decreto legge del 22 marzo.

Chiusure senza rimborsi

Maria Francesca ha deciso, quindi, di scrivere una lettera direttamente al Presidente Mario Draghi: sa che è molto difficile ottenere una risposta, tuttavia spera di poter diventare il megafono di quanti vivano la sua stessa situazione. “È indubbia l’importanza che le chiusure delle attività svolgano nel porre un freno al contagio, – afferma – ed è dovere di tutti attenersi ad esse, con spirito di solidarietà, nella tutela dell’interesse collettivo della salute pubblica. Allo stesso modo è chiaro, però, che le stesse esercitino forti ripercussioni in termini economici per tutte quelle categorie di imprese che si sono viste costrette ad interrompere le proprie attività lavorative e che da un anno a questa parte si ritrovano a ruotare in un limbo, fatto di aperture chiusure o semi aperture, dal quale non si vede via d’uscita”.

Quello della sua famiglia è un ristorante a conduzione familiare, che ha fatto una scelta precisa: lasciare i precedenti locali sulla costa e investire nel centro storico, dove si è immersi nella tranquillità di un paese piccolo del sud Italia, con un passato antico, che resiste allo spopolamento imposto dall’emigrazione e dettato dal turismo di massa. Una scelta, se si vuole, coraggiosa, che ha scommesso sulla qualità e sui prodotti a km zero, una scelta che l’ultimo decreto rischia di mettere in ginocchio, e Maria Francesca ci spiega perché: “Questa disposizione normativa prevede che si potrà accedere al sostegno solo nella misura in cui, l’ammontare medio mensile del fatturato e dei corrispettivi dell’anno 2020 sia inferiore almeno del 30 per cento rispetto all’ammontare medio mensile del fatturato e dei corrispettivi dell’anno 2019. Un’impresa che non rientra nella perdita del 30% del fatturato, seppur per una minima percentuale, essendo comunque stata costretta a limitare la propria attività lavorativa, o ad essere sottoposta a chiusura, si trova a non ricevere nessun contributo economico. Questo vincolo di accesso al fondo non sempre è indicativo del reale stato economico di un’impresa; in quanto, questo dato, se preso isolatamente e senza considerare il reddito effettivo e le spese sostenute per l’attività produttiva, non fotografa la reale situazione economica in cui la stessa attività verte. Una previsione di questo genere non tiene conto di quelle che sono le situazioni particolari che si concretizzano nelle realtà sociali. Ovviamente, non si può pretendere che una fattispecie normativa possa prevedere tutte le ricadute che si avranno nei casi concreti, ma almeno si spera che possa tendere alla maggiore equità possibile”.

L’attività dei genitori è nata nell’agosto 2017 e nel corso del tempo era proiettata verso una crescita. Ma nel 2020 il fatturato è risultato inferiore del 25% rispetto al 2019. Perdita per la quale il decreto non prevede nessun contributo. Niente, neanche il minimo. Ristorante chiuso e senza “ristori”.

Il principio dell’equità

“Ci siamo pertanto ritrovati ad essere tagliati fuori da una misura di sostegno, la quale risulta necessaria, per sostenere quelle che sono le spese quotidiane, non solo legate all’impresa, ma anche alla vita familiare”, dice Maria Francesca, che è stata costretta a lasciare Roma in procinto di laurearsi, non potendo più affrontare le spese da fuorisede.
“Se è vero che il benessere di una collettività all’interno dello Stato si misura guardando al benessere degli individui più svantaggiati, – continua – partendo dal presupposto che il nostro sistema sia improntato sul principio dell’equità, questa deve essere faro guida di tutte le decisioni, soprattutto di quelle misure, che in questo momento così particolarmente difficile per il settore economico, si pongono come obiettivo il sostegno agli operatori economici e il superamento delle diseguaglianze sociali”. Questa giovane donna sa che il loro non è un caso isolato e che rientra in quelle disparità in ambito economico che questa pandemia si trascina dietro. Al Presidente Draghi sommessamente ricorda: “Non bisogna sottovalutare il fatto che tutto questo si intreccia con il valore della Dignità degli individui e, in questo caso particolare, della Dignità di chi lavora”.

Il rischio è che la pandemia porti a salvaguardare il sacrosanto diritto alla salute, ma a discapito di tutti gli altri, e poi, quando tutto sarà passato, sarà molto difficile ricucire gli strappi tra generazioni, categorie sociali e lavorative.