Rischio estinzione
per un milione
di specie animali
I dati sono allarmanti, ma non sono sorprendenti. Il 75% degli ambienti terrestri e il 66% degli ambienti marini sono stati modificati da attività umane. La minore invasività si è verificata lì dove il territorio è gestito da popolazioni indigene e comunità locali. I 75% delle risorse di acqua potabile disponibili sono utilizzate per l’agricoltura dell’uomo. Ogni anno vengono estratte 60 miliardi di tonnellate di risorse naturali: il doppio rispetto agli anni ’80. La produttività delle aree agricole è diminuita del 23% e tra 100 e 300 milioni di persone si confrontano ogni anno con il rischio idrogeologico. Il 33% dei pesci è sottoposto a una pesca non sostenibile. L’inquinamento da plastica è aumentata di dieci volte rispetto al 1980, mentre altri materiali tossici, come i metalli pesanti, sono dispersi nell’ambiente per un ammontare pari ad almeno 300 se non 400 milioni di tonnellate. Tutti questi trend negativi continueranno la loro traiettoria crescente almeno fino al 2050.
Ma il dato più eclatante del rapporto IPBES, un gruppo intergovernativo che fa capo alle Nazioni Unite, appena pubblicato è l’indicazione che almeno un milione di specie animali sono a rischio estinzione. Una minaccia che ha rari precedenti nella storia della vita sul pianeta Terra.
Sono dati allarmanti, perché gli organismi viventi sulla Terra formano una rete fortemente interconnessa. Se si scioglie un nodo, si elimina un filo, si creano dei buchi in questa rete è tutto il sistema vivente, umanità compresa, che ne risente. Un esempio, l’erosione delle popolazioni e anche delle specie di impollinatori ha un effetto molto pericoloso per l’agricoltura.
Ma per quanto allarmanti quei dati, dicevamo, non sono affatto sorprendenti.
In fondo è dal 1992 che a Rio de Janeiro la gran parte dei paesi del pianeta riconobbero che il rischio erosione della biodiversità è un rischio imminente e immanente, che la causa sono le azioni umane e che bisogna intervenire per ridurre l’impronta umana sulla rete della vita. Per questo già 27 anni fa fu firmata nella città brasiliana una Convenzione Quadro sulla Biodiversità, in qualche modo gemella della Convenzione Quadro sui Cambiamenti del Clima.
La novità, rispetto al 1992, è che la perdita di biodiversità, malgrado la Convenzione, sta accelerando, non rallentando. Raggiungendo una velocità forse sconosciuta negli ultimi 600 milioni di anni, ovvero da quando esiste la vita animale sulla Terra, malgrado in questo lungo periodo di tempo ci siano state almeno cinque grandi estinzioni di massa (in ciascuna delle quali è scomparso almeno il 60% delle specie viventi). Il bello è che dopo ogni grande estinzione la biodiversità non solo ha recuperato in tempi relativamente rapidi ma il numero delle specie ha continuato a crescere come se le crisi non fossero mai avvenute.
Oggi sappiamo che proprio l’erosione della biodiversità e i cambiamenti del clima sono la prova provata che l’uomo è un attore ecologico globale, capace di interferire con i grandi cicli biogeochimici del pianeta. Anzi, è il fattore principale di cambiamento, tanto che molte comunità scientifiche hanno proposto di chiamare l’attuale era geologica Antropocene, ovvero era dominata dall’uomo.
Però è anche vero che questo fattore di cambiamento accelerato, l’uomo, ha una caratteristica diversa dai fattori che in passato hanno dominato le dinamiche della biosfera: la coscienza. Grazie, soprattutto, alla scienza noi oggi sappiamo di essere il principale agente perturbatore degli equilibri della Terra (o, almeno, della parte più superficiale del pianeta). Dunque questo fattore può limitare la sua impronta sull’ambiente.
E tuttavia, come non si stanca di ripetere la giovanissima Greta Thunberg, questa enorme coscienza non determina una conseguente azione. E se per il clima si è fatto poco in questi 27 anni, per la biodiversità non si è fatto quasi nulla. Tant’è che la scomparsa delle specie ora è molto più veloce che nel 1992.
Perché questa cecità? Per motivi economici, certo. Come George Bush padre candidamente ammise a Rio: non siamo disposti a modificare i nostri stili di vita per salvare il pianeta. Ma anche perché le specie scompaiono in silenzio, senza fare rumore. Solo qualche panda ogni tanto riesce a perforare il nostro indolente cinismo.
Un segno che la ragione senza l’emozione non produce atti desiderabili. Ecco, dunque, cosa possiamo fare: continuare, con la scienza, a studiare la nostra impronta sull’ambiente e imparare a emozionarci anche quanto a scomparire è una rana, un’ape e persino una zanzara.
Sostieni strisciarossa.it
Strisciarossa.it è un blog di informazione e di approfondimento indipendente e gratuito. Il tuo contributo ci aiuterà a mantenerlo libero sempre dalla parte dei nostri lettori.
Puoi fare una donazione tramite Paypal:
Puoi fare una donazione con bonifico: usa questo IBAN:
IT54 N030 6909 6061 0000 0190 716 Intesa Sanpaolo Filiale Terzo Settore – Causale: io sostengo strisciarossa
Articoli correlati