Dopo la sconfitta
il Pd romano s’interroga

La sala ha un nome singolare e evocativo, “Aquile randagie”. Ma al centinaio di persone che rispondono al richiamo di Roberto Morassut nel Roman Scout center per riflettere sull’esito delle elezioni (che per la terza volta hanno mandato Morassut in parlamento) la metafora dell’aquila si attaglia poco. C’è un’analisi da fare, c’è da cercare le ragioni per la caduta libera dell’appeal elettorale del Pd, c’è il deserto da attraversare. E, sì, anche un lutto da elaborare, cinque milioni di voti persi in cinque anni.


Morassut ha una sua ricetta: la rifondazione del Pd. Torniamo allo spirito del Lingotto, alla capacità di analisi politica, alla lettura della società. Ora il partito, dice, non fa politica, ma vive un conflitto interno di correnti e consorterie. “Non è solo un rovescio elettorale – dice – è finito il rapporto sentimentale con gran parte del nostro popolo, quella speciale relazione tra il padre-partito e gli iscritti, i militanti, gli elettori. Molti hanno iniziato a rompere il legame, i giovani non hanno mai cominciato a tesserlo. La sinistra era una religione civile, la speranza dell’uguaglianza tra gli uomini”.
Discontinuità, dunque. Il neoeletto propone un congresso straordinario di rifondazione di un nuovo movimento: “Nel Pd abbiamo 200 mila iscritti, molti meno sono gli attivi. Ma ci sono dieci milioni di persone che si impegnano nel volontariato, a volte con valori paralleli ai nostri. Ecco, dobbiamo creare un perimetro in cui tutti possano sentirsi fondatori. Uno spazio aperto, i Democratici”. Invece di dividersi in lotte tra correnti o di stilare una pace effimera, l’Assemblea nazionale dovrebbe nominare una commissione di alto profilo aperta a personalità esterne che stenda un documento politico da discutere in tutt’Italia. E che vigili sul percorso politico.


Suggestiva l’ipotesi, ma l’analisi delle ragioni della sconfitta resta ancora da fare, dei bisogni, delle domande sociali. Nessuno, tra i dirigenti, gli amministratori, i segretari di circolo (“ormai siano clandestini, le sedi non ci sono più, ci ritroviamo nelle case” dice uno, sconsolato) parla del risultato del referendum costituzionale, che pure avrebbe dovuto essere un segnale allarmante. Tutti invece sono decisamente contrari all’ipotesi della creazione di una sorta di movimento verso destra alla Macron, un En marche a guida renziana che lascerebbe il partito ancora più in macerie con l’ambizione di raccogliere gli elettori in fuga da Forza Italia.
Walter Verini, anche lui neoeletto, la mette così: “Aumentano la solitudine delle persone e le disuguaglianze, ma non c’è una sinistra all’altezza. Il partito è come un acquario in cui l’acqua diminuisce e i pesci si addentano l’un l’altro immaginando di salvarsi. Bisogna invece alimentare l’acquario, far entrare acqua nuova. Altrimenti non siamo classe dirigente ma ceto politico che pensa solo alla sua sopravvivenza, la testa girata a guardare il cacicco o il capobastone, non quel che avviene nella società”. In due mesi, racconta, alla Commissione nazionale di garanzia sono arrivati 200 ricorsi per brogli nel tesseramento, liste truccate, anomalie elettorali.
“La mia esperienza nel Pd è finita – dice Raffaele Ranucci, anche lui d’area veltroniana, imprenditore privato e amministratore pubblico – Di fronte alla finanziarizzazione del mondo, che taglia posti di lavoro e impoverisce i già poveri, non siamo stati capaci di capire che bisognava cambiare passo. E intanto i servizi peggioravano, soprattutto in periferia, ovvio che lì c’è rabbia e paura, ci hanno votato contro”. Già, gli elettori chiedono protezione, e non gliel’abbiamo data, dice amaro Antonio Rosati: “Guardiamo cosa abbiano attorno: la Banca d’Italia dice che il 13% della popolazione è povero, 13.800.000 persone. Mentre governavamo la povertà è aumentata di cinque punti”.
“Non abbiamo organizzazione, né progetto, né pensiero – dice Roberto Amici, nella segreteria provinciale di Roma, nel Pci dal ’73 – siamo ancora a declamare valori e contenuti che nella pratica si ignorano. E poi, eliminato il finanziamento pubblico ai partiti, come si fa? Per l’intanto il Pd è governato da chi ha responsabilità nelle istituzioni, ma anche la forma di rappresentanza sembra ora ossidata. E poi nessuno chiede conto a chi ha un incarico politico del lavoro fatto”.


C’è rabbia, anche, che a volte erutta incontrollata: “Ma insomma… ci sono ovunque cacicchi e portaborse, ormai il territorio è balcanizzato, altro che disagio – dice un dirigente intermedio – ma io me ne vado, continuerò a fare politica in un altro modo, in un altro spazio”. “Invece di ascoltare il paese l’abbiamo sfidato” ammette sconsolato Massimo De Simone, vicepresidente di Municipio. “Inutile irridere i Cinque stelle – commenta Silvio Di Francia, ex assessore alla cultura di Roma – arroccandosi nel disprezzo. Abbiamo perso la stima degli elettori, alcuni si sentono traditi. E se vogliamo cercare i colpevoli del disastro, basta guardare gli esempi di familismo nelle liste. Il caso De Luca in Campania, ad esempio…”.
C’è un gran fermento nel Pd, lì almeno dove la botta elettorale non ha lasciato candidati e militanti tramortiti. Così stamattina, al Centro congressi Cavour di Roma, è Peppe Provenzano a chiamare a dibattere di “Sinistra anno zero”. Perché – dice il vicedirettore della Svimez che ha rinunciato a candidarsi nel Pd per protesta contro le liste farcite di famigli, soprattutto al sud – con la crisi “sono tornati i bisogni, la ripresa li ha lasciati intatti. Anche nella ripresa si stavano allargano i divari, tra i cittadini, tra le imprese. Una minoranza ce la faceva per tutti, la media cresceva ma la maggioranza non vedeva via d’uscita. Noi raccontavamo il mondo dei vincenti… il problema non è solo starci, nelle periferie. Il problema è cosa gli dici al popolo…. Se c’è un bisogno di sicurezza, di protezione, vuol dire che la sinistra non fa il suo mestiere. La sicurezza sociale, i servizi che funzionano per tutti: scuole, sanità, assistenza. L’austerità ha finito di distruggere lo stato, dopo il processo di denigrazione e destrutturazione a cui abbiamo contribuito anche noi, la sinistra. Ma se la cosa pubblica non mi protegge, a che serve la politica?”: