Riforme costituzionali: il vero nodo è la debolezza del sistema politico

Il dibattito politico sulle riforme costituzionali torna al centro della scena mediatica. La maggioranza che governa il Paese, coerentemente col proprio programma elettorale, mira ad inaugurare un percorso che possa portare al cambiamento di un pezzo della parte seconda della Costituzione, quella intitolata “Ordinamento della Repubblica”.

Il rafforzamento del ruolo del Primo Ministro

Le ipotesi discusse sono molte e, per la verità, non nuove. Presidenzialismo, semipresidenzialismo, premierato, cancellierato alla tedesca, premierato forte su modello “Sindaco d’Italia” sono le principali etichette di cui si sente parlare che, se non riempite di contenuto, rischiano di essere parole spese per pura logica di posizionamento.

meloni riforme costituzionaliLe consultazioni avviate dal governo, rappresentato dai principali capi-partito a sostegno della maggioranza (non fosse altro perché hanno tutti importanti dicasteri nell’esecutivo), hanno fatto emergere due dati interessanti. Il primo è che, per via della composizione dell’attuale esecutivo, è difficile separare l’iniziativa politico-partitica-parlamentare da quella meramente governativa, nonostante la famosa espressione per la quale i banchi del governo devono rimanere vuoti quando si parla di riforme costituzionali. La seconda è che tutti i partiti, ad eccezione della componente che raggruppa i Verdi e Sinistra italiana, sono intenzionati ad avanzare proposte di modifica della Carta. Naturalmente le idee divergono, ma esiste un impulso riformatore di base più o meno accentuato.

Effettivamente, se l’idea della personalità forte alla guida delle istituzioni, di stampo gaullista, ha sempre avuto un certo fascino nelle formazioni politiche di centro-destra, e anche i raggruppamenti progressisti, eredi della recente tradizione ulivista, portano in dote una visione diversa dall’esistente. La tesi numero uno dell’Ulivo, prima pietra della sintesi politico-programmatica della coalizione vincente del 1996, afferma infatti la volontà di adottare una forma di governo incentrata sul Primo Ministro, indicato (non direttamente eletto) dai cittadini al momento delle elezioni. Prosegue, la tesi, dicendo che sarebbe opportuna l’introduzione del meccanismo di sfiducia costruttiva e lo scioglimento anticipato della Camera politica nel caso di cambio di maggioranza.

Appare plausibile, dunque, che proprio sul rafforzamento del ruolo del Presidente del Consiglio ci possa essere l’avvio di un confronto serio tra maggioranza e opposizione. Anche questa ipotesi, però, per quanto interessante rischia di portare ad una serie di controindicazioni per nulla facili da superare.

Il nodo del sistema politico

Facendo un solo esempio, si ritiene doverosa la possibilità di attribuire al Presidente del Consiglio la possibilità di scegliere eparlamento dismettere i ministri del proprio governo. Allontanare di propria volontà un ministro, però, può voler dire minare gli equilibri della maggioranza del proprio governo, dando al potere di selezione della propria squadra un evidente effetto boomerang.

L’argomento, dunque, è complesso in ogni suo aspetto e porta a riflettere su quanto sia realmente opportuno modificare la forma di governo intervenendo direttamente sulla Costituzione. Prima di compiere questo passo, infatti, si potrebbe pensare di applicare dei correttivi istituzionali, ma non costituzionali, che incidano sul sistema politico. D’altronde, quest’ultimo e forma di governo non sono esattamente la stessa cosa, pur essendo correlati. Il primo, infatti, attiene più direttamente a quei soggetti che si occupano degli interessi sociali, che effettuano mediazioni, che compensano le richieste degli interessi organizzati provando a soddisfarne le istanze e che, oggi, appaiono deboli e destrutturati.

Il loro rafforzamento passa sia dai fenomeni culturali, come la ricostruzione di una visione di lungo periodo da saldare a proposte legittimamente identitarie, sia da atti legislativi di importanza sostanzialmente costituzionale. Una nuova legge elettorale, ulteriori modifiche dei regolamenti parlamentari e una legge di attuazione dell’articolo 49 sui partiti politici, possono essere incentivi verso la stabilità cui accompagnare riforme settoriali e specifiche (come il meccanismo della sfiducia costruttiva), tali da non coinvolgere uno stravolgimento del testo costituzionale.

Programmi e indirizzo politico

parlamentoQuesto ragionamento impone di ripensare, in un sistema pluralistico come quello italiano, all’importanza dei programmi come collante delle coalizioni. Una linea politica chiara, in grado di unire l’azione dei componenti di una coalizione, consente di manifestare quella volontà parlamentare (e governativa) tale per cui le procedure non solo non rappresentano un ostacolo alla produzione normativa ma, al contrario, la valorizzano.

È il programma ad essere il primo tassello sul quale le Camere accordano la fiducia all’esecutivo. Ed è sempre il programma, dunque, ad essere un elemento fondamentale di quell’indirizzo politico, inteso come impulso unitario e coordinato per la determinazione delle linee fondamentali dell’ordinamento, della politica interna e della politica esterna dello Stato, che spetta congiuntamente a Governo e Parlamento. Forse è utile tornare a ragionare proprio sull’attività di indirizzo politico, su cosa sia e a chi spetti, per potere avere davanti un quadro chiaro di possibilità di intervento.

Non c’è ombra di dubbio sul fatto che, con un sistema politico fragile, qualsiasi forma di governo può risultare altrettanto debole. Intervenendo sulla sua fragilità, però, è possibile chiarire se vi sia o meno la necessità di una procedura di revisione costituzionale, nella consapevolezza che, su certi temi, le riforme a colpi di maggioranza non solo rischiano di alimentare pesanti contrapposizioni nel paese, ma soprattutto non hanno mai vinto la prova del referendum. Conviene a tutti gli attori in gioco muoversi su un terreno comune, con la delicatezza propria di chi riconosce di far parte di una classe dirigente distante da circa il 35% di astenuti e che, l’attuale maggioranza, non supera la rappresentatività del 20% degli elettori. Dati che non possono passare in secondo piano quando si discute di Costituzione.

Italia, Europa e forma di governo

Una ulteriore considerazione andrebbe fatta sul rapporto tra l’Italia e l’Europa. Non può essere pensabile una discussione sullaunione europea forma di governo che non tenga conto della forma di governo europea e del rapporto che le istituzioni italiane devono quotidianamente intrattenere con le istituzioni comunitarie. Il Pnrr ha cambiato molto nella programmazione legislativa italiana, introducendo nuove prospettive organizzative che rafforzano il ruolo dello Stato membro dentro il quadro di un rapporto costante con l’Unione.

Non si tratta affatto di subalternità, ma è necessario riflettere su come l’europeizzazione delle nostre istituzioni (e, in qualche modo, del nostro sistema politico), debba essere alimentata per facilitare il dialogo oltralpe, specialmente con la Commissione europea. L’Europa è il ramo più alto della discussione e non si può lasciare sullo sfondo. Allo stesso modo il quadro di insieme dovrà tenere conto anche dei rami più bassi, tutt’altro che secchi, che rappresentano le Regioni, i Comuni e gli enti locali in generale.

Non c’è dubbio che sia tutto estremamente complesso e che non ci si possa limitare a immaginare nuovi poteri del Presidente del Consiglio, peraltro già molto incisivi. Pertanto, forse, le prime riforme istituzionali dovrebbero riguardare proprio il sistema politico, per il rafforzamento del quale non ci sarebbe bisogno di toccare pesantemente l’ingranaggio della macchina costituzionale. Ricordandosi che un sistema politico forte nel suo complesso può sopportare la momentanea presenza di un esecutivo debole, magari incerto nella sua azione. Un sistema politico debole, al contrario, difficilmente sarà in grado di partorire un esecutivo forte e deciso nella sua azione, a prescindere da qualunque intervento costituzionale si pensi di proporre.