Renzi fa la guerra a Zingaretti
per indebolire il Pd
Matteo Renzi ama le battute. E ogni sua dichiarazione ne contiene sempre almeno una, per il piacere dei suoi fan che poi la ripetono sui social. Ma come tutti i battutisti, anche l’ex premier a volte le azzecca e a volte no. Nell’intervista rilasciata al Corriere della Sera dal parco di Yellowstone nel Montana, una di sicuro non fa ridere per niente: non mi occupo del Pd.
Così ha risposto infatti a una domanda su Zingaretti. E dopo aver pronunciato questa simpatica battuta è andato giù a colpi di mazzate contro il nuovo segretario, accusandolo di occuparsi di lui invece che “dell’altro Matteo” (altra battuta evergreen), di non aver voluto presentare una mozione di sfiducia nei confronti di Salvini sul caso rubli come volevano lui e i suoi sostenitori, di aver sfiduciato Davide Faraone invece che il ministro dell’Interno. Che sia chiaro però: lui non si occupa del Pd. Lui il fuoco amico contro il segretario non lo lancerà mai.
Ora, al di là delle battute che piacciono tanto a Renzi, la domanda da farsi è questa: perché Renzi ha deciso di dichiarare guerra al Pd di Zingaretti in una fase così delicata con il governo che si regge per miracolo e con Salvini e Di Maio ai ferri corti a fasi alterne? Qual è l’obiettivo? Che cosa ha in mente?
Il pretesto del “caso Faraone”
Sgombriamo subito il campo dal caso Faraone che è l’ultimo pretesto usato per attaccare il segretario del Pd. La Commissione di garanzia, come ha spiegato la sua presidente Silvia Velo e come sarà più chiaro quando oggi sarà resa pubblica tutta la documentazione, ha individuato alcune gravi violazioni nell’elezione di Faraone a segretario regionale della Sicilia. Ne cito una sola: non è stato consentito agli iscritti di votare per scegliere il 40% dei membri dell’Assemblea regionale. La stessa che poi, in assenza di primarie, ha proclamato Faraone segretario. Vi pare poco? E’ accettabile in un partito democratico che un segretario sia proclamato da un’assemblea illegittima perché il 40% dei suoi membri non sono stati eletti da chi ne aveva il diritto?
Eppure questo pretesto è servito per accusare il “nuovo Pd” e quindi, secondo la vulgata, gli ex comunisti, di voler fare epurazioni, di procedere a una eliminazione degli amici di Renzi per comandare in piena libertà sul partito. Non una parola viene detta sulle contestazioni della commissione. Solo un tentativo di “buttarla in caciara”, come si dice a Roma.
Perché è cominciata la guerra a Zingaretti
Torniamo al punto di partenza: perché?
E’ evidente che il mondo renziano sia in agitazione. Prima con circospezione, ora con grande determinazione, ha deciso di aprire la guerra a Zingaretti. Lo fa con costanza, basta seguire i profili social dei personaggi più in vista di quell’area. Una volta è un presunto inciucio con i Cinque stelle per far fuori Salvini, un’altra è invece, al contrario, una presunta timidezza nell’attaccare Salvini. Una volta è il grave errore del nuovo Statuto con cui si vorrebbe separare la carica di segretario da quella di candidato premier, un’altra il pericoloso tentativo di cancellare la vocazione maggioritaria dal vocabolario del Pd.
Ogni pretesto è buono per dimostrare che, dopo Renzi, il Pd non c’è più. Non esiste, non ha più un’anima. E’ debole, remissivo, sottomesso, subalterno. Quando c’eravamo noi, è il mantra del bravo renziano, il Pd marciava unito e il governo andava avanti con le riforme come un treno ad alta velocità. Non è vero, ovviamente, ma ripeterlo serve a convincere e ad autoconvincersi che nel favoloso mondo di Matteo tutto andava a gonfie vele e solo per colpa dei nemici interni è andata a finire male.
La tentazione di un nuovo partito
Alla domanda perché succede questo mi viene da rispondere: perché Renzi vuole fare un nuovo partito. Tra sospetti e smentite se ne parla da tempo. Credo che oggi Renzi si renda conto che il tempo stringe e che per compiere questo passo ci sia bisogno di un Pd debole e ammaccato che lasci uno spazio vuoto. Fateci caso, l’assalto al quartier generale di Zingaretti è iniziato dopo le elezioni europee che, anche se in modo fragile e confuso, hanno segnato una piccola ripresa del Pd con il sorpasso nei confronti del movimento Cinque stelle. Poca cosa, certo, un primo risultato. Ma pur sempre un primo risultato positivo dopo la mazzata del voto politico del 2018.
Forse Renzi e i suoi avevano previsto un insuccesso nelle urne e i “comitati di azione civica” – che poi sono l’ossatura del nuovo partito renziano – erano infatti già in piena attività. Le cose sono andate diversamente e, dopo un certo sbandamento, il “partito parallelo” ha ripreso vigore. Solo dieci giorni fa c’è stato il lancio in grande stile a Milano, con gli osanna a Matteo che finché-c’è-lui-stiamo-nel-Pd e comunque-siamo-oltre-il-Pd come spiegavano ai giornalisti i militanti entusiasti.
Per rendere più plastico il duello con Zingaretti, quella convention è andata in scena solo qualche ora prima dell’Assemblea nazionale dem alla quale Renzi non ha partecipato. E dalla quale, altro particolare da non sottovalutare, Zingaretti ha sferrato un duro attacco alle correnti e al correntismo che soffocano il partito.
Ma dividersi non sarebbe un male
Qualcuno sostiene che Renzi non voglia fondare un nuovo partito, ma riprendersi quello vecchio puntando sulla candidatura a premier se dovesse passare la riforma – che i suoi pubblicamente avversano – che separa le cariche di segretario e premier. Sarà vero? Voi trovate una logica nel comportamento di chi vorrebbe fare il candidato premier di un partito e bombarda continuamente quel partito rendendolo sempre più debole nei confronti dell’avversario? Certo, la politica di oggi riserva sempre tante sorprese a volte difficilmente comprensibili, ma ce ne vuole di fantasia per immaginare un’ipotesi del genere.
Vedremo che cosa accadrà nei prossimi mesi. Ma se Renzi decidesse di rompere e farsi il suo partito non sarebbe un male per il centrosinistra. Nel Pd ci sono troppi partiti gli uni contro gli altri armati. Semplificare un po’ potrebbe essere un bene. Magari si potrebbe cominciare – come hanno scritto su strisciarossa Michele Ciliberto e Antonio Floridia – a costruire qualcosa di nuovo a sinistra. E anche al centro.
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