Renzi lotta e governa,
una classe dirigente
piccola piccola

Non è certo una novità che i drammatici mesi della pandemia abbiano portato allo scoperto l’inadeguatezza delle nostre classi dirigenti. Non solo al governo, ma in tutte le principali articolazioni e soggetti dello Stato: dalle Regioni a Confindustria. Colpisce ugualmente però che a soffiare sul fuoco della polemica, nelle ore più difficili per il Paese, sia un ex premier – “un uomo delle istituzioni”, ama definirsi – come Matteo Renzi.

Dopo le scelte complicate, forse confuse, di certo tardive, del governo di cui fa parte con Italia Viva, il senatore di Rignano si accoda alle proteste dell’opposizione e delle Regioni e chiede modifiche al provvedimento appena approvato, in particolare per ampliare l’orario di apertura dei ristoranti e revocare la chiusura di cinema e teatri. Lo fa per giunta mentre montano le provocazioni neofasciste, le proteste, il disagio sociale. E mentre i dati dei decessi, dei ricoveri e delle terapie intensive da Covid19, fanno segnare l’ennesimo balzo in avanti. Fin troppo ovvio definire “eticamente intollerabile” in un momento come questo, l’antico vizio di tenere i piedi in due staffe, al governo e all’opposizione, come fa osservare il segretario del Pd, Nicola Zingaretti.

La crisi del partitino

Retroscenisti e osservatori troveranno delle ragioni tattiche nei movimenti di Renzi. Il suo partitino, nato dall’ennesima scissione a sinistra, non è mai decollato e vive anzi una crisi probabilmente esiziale. Alle recenti elezioni regionali non è andato oltre una media del tre per cento, persino nella Toscana di Renzi, Boschi e Bonifazi non è riuscito a essere determinante, fermandosi poco sopra il 4 per cento. E per la prima volta in un decennio, è uscita di scena anche la Leopolda, ovvero il palco su cui l’ex sindaco di Firenze ha costruito l’ascesa al suo partito (ex) e ai vertici dello Stato.

A una formazione – nata e sviluppatasi esclusivamente nel Palazzo – non è rimasto altro che manovrare nel Palazzo. Nelle scorse settimane, l’ennesimo affondo contro i primi provvedimenti che dovrebbero accompagnare la demenziale riforma costituzionale del taglio dei parlamentari, ovvero l’abbassamento a 18 anni dell’elettorato attivo anche per il Senato.

Nel dramma della pandemia

Una strategia di lotta e di governo, insomma. Come Salvini ai tempi del governo gialloverde, o i 5 Stelle all’epoca dei governi gialloverde e giallorosso. Ma è difficile dare torto a Zingaretti quando osserva che tenere i piedi in due staffe nel dramma della pandemia è “eticamente intollerabile”.

In fin dei conti, Matteo Renzi rischia di diventare l’emblema di una classe dirigente piccola piccola. La compagnia peraltro è numerosa. Senza voler citare l’opposizione di destra e sovranista, con le sue posizioni al limite del negazionismo, basta volgere lo sguardo ai comportamenti delle amministrazioni regionali, gravemente responsabili non meno del governo nazionale per il disastro dei trasporti e per la crisi della sanità, e ora in prima linea nel contestare il mini lock down e sostenere imbarazzanti teorie (meno tamponi, meno resse, meno contagi) avallate dallo stesso presidente della Conferenza Stato-Regioni, Bonaccini.

O alle uscite del presidente di Confindustria Bonomi, incapace di emanciparsi dalla linea dura sui contratti e sulla concertazione neanche nel pieno della crisi sociale. Per finire con le furbizie del presidente del consiglio, che per restare a galla continua a rimandare il via libera ai fondi del Mes, quanto mai indispensabili per ospedali e sanità vicini al collasso. E ognuno sembra giocare una partita in proprio, comunque lontana da quella di un Paese sempre più confuso e spaventato.