Remo Bodei, quella riflessione
su Gramsci e l’utopia vertebrata
Il 7 Novembre è morto Remo Bodei. L’8 Novembre ricorrevano i 93 anni dall’arresto di Antonio Gramsci nel 1926. Nel 1997 in La filosofia del Novecento Bodei scrisse pagine molto interessanti su Gramsci e la funzione nazionale del PCI su cui vale la pena riflettere ancora oggi, 30 anni dopo il 1989 :
“[…] mediante gli squilibri, l’attenzione per il concreto svolgersi degli eventi, lo sforzo per eliminare la divisione tra dominanti e dominati, la storia [per Gramsci] deve essere trasformata secondo un progetto di emancipazione collettiva, non contemplata e adorata come un mistero imperscrutabile, e crudele nella sua incomprensibile ed eterna essenza. Il suo storicismo è cosi radicale e immanente che quel che oggi è vero potrà diventare falso e ciò che è falso potrà, in qualche misura, diventare vero: ‘Si può perfino giungere ad affermare che mentre tutto il sistema della filosofia della prassi può diventare caduco in un mondo unificato, molte concezioni idealistiche, o almeno alcuni aspetti di esse, che sono utopistiche durante il regno della necessità, potrebbero diventare vere dopo il passaggio ecc.”(A. Gramsci, Quaderni del carcere, Einaudi, Torino 1975, Q.11 p.1490)
Lo storicismo – interpretato da Togliatti – ha svolto una funzione rilevante nella cultura italiana del secondo dopoguerra […]. Contro ogni “astrazione giacobina” ha posto in evidenza gli sbarramenti, i blocchi, la specificità, la concretezza di ogni situazione storica, la necessità di tarare il pensiero sulla realtà, di tener conto dei rapporti di forza imposti dalla situazione internazionale. […] In questa marcia verso una sorta di “via italiana alla razionaltà” si cercò in effetti – sotto l’egida della politica– un intreccio tra storia e utopia. Una storia dinamizzata, vertebrata, e innervata da un fine utopico (quello dell’emancipazione) avrebbe dovuto coniugarsi a un’utopia frenata, che doveva tenere conto dei vincoli e delle possibilità, delle barriere e dei varchi per forzarle. Sono proprio questi due elementi che si sono andati in seguito progressivamente dissociando, sottraendo alla storia il suo scopo nelle filosofie del “post-moderno” e all’utopia la sua zavorra di condizionamenti storici, cosi da farla tendenzialmente tornare ad essere un genere letterario” (Remo Bodei, La filosofia del Novecento, Donzelli, Roma 1997, pp.59-60).
Senza un’utopia vertebrata dell’emancipazione si è destinati a rimanere sospesi tra l’indignazione da una parte e l’integrazione alle ideologie dominanti dall’altra (ideologie intese come “visioni del mondo” secondo la lezione di Gramsci). Lo spazio tra l’indignazione e l’integrazione dovrebbe essere lo spazio dell’azione politica. Uno spazio che oggi sembra vuoto, senza rappresentanza politica e senza soggetti politici organizzati. Senza masse organizzate e senza élites. Le quali dovrebbero essere “costruite” contemporaneamente:
“ si tratta, è vero, di lavorare alla elaborazione di una élite, ma questo lavoro non può essere staccato dal lavoro di educare le grandi masse, anzi le due attività sono in realtà una sola attività ed è ciò che rende difficile il lavoro” (Antonio Gramsci, cit, Q.7. p.892).
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