Ratzinger reazionario e Francesco rinnovatore? No, è più complesso
Preceduto da un titolo, “La modernità di Bergoglio e la regressione di Ratzinger” quanto mai semplificatorio (ma questa è una caratteristica, quasi un dovere dei titoli), Franco Del Campo offre un confronto abbastanza implume tra il papa emerito tedesco di recente scomparso e l’attuale pontefice Francesco, consegnando il primo a un quadro di reazione clericale e il secondo a un panorama di rinnovamento nel solco della parola evangelica. Come negare la portata del papato di Bergoglio? Impossibile, si incardina nel dolore del presente, dice schietto su pace e guerra, migranti, sacralità della Natura, abbraccio verso fratelli esclusi dalla Chiesa perché omosessuali. Ci aggiungerei un coraggioso lavoro di spada sui bubboni finanziari e immorali di una Sede spesse volte opaca e assai poco Santa. Ma c‘è pure un Francesco che ribadisce i poteri sacramentali e la difesa sempre e comunque della vita, fin dal suo concepimento.
Quando Francesco incitò i manifestanti pro life
Così diceva ai manifestanti Pro Life nel maggio scorso: “Vi ringrazio per il vostro impegno a favore della vita e in difesa dell’obiezione di coscienza il cui esercizio si tenta spesso di limitare. Purtroppo negli ultimi anni c’è stato un mutamento della mentalità comune e oggi siamo sempre più portati a pensare che la vita sia un bene a nostra totale disposizione, che possiamo scegliere di manipolare, far nascere o morire a nostro piacimento con l’esito esclusivo di una scelta individuale”. Mentre invece “la vita è un dono di Dio, sempre sacra e inviolabile e non possiamo far tacere la voce della coscienza”. Bergoglio moderno o regressivo? O forse solo un Papa cattolico?

Veniamo a Benedetto XVI, incatenato da Del Campo a coordinate tomistiche dal ”forte sapore medievale”, in quanto subordinanti la filosofia alla fede, con la prima in funzione ancillare rispetto alla seconda. Lasciamo stare la riduzione della fede alla teologia, contrapposta alla ragione, teologia che offre da secoli splendidi esempi di ragionamento umano; e pure Agostino citato all’ingrosso con Tommaso, l’Agostino teologicamente modernissimo e amato da Ratzinger proprio per il rovello suo circa il rapporto tra fede e ragione, ben lontano da qualsiasi assolutismo. Benedetto XVI nell’omelia di Ratisbona del settembre 2006, da molti ricordata per una presunta polemica antislamica (ci arriviamo poi), dice: “Non imponiamo la fede a nessuno. Tale proselitismo è contrario al cristianesimo” perché “la fede può svilupparsi solo nella libertà”. L’individuo per Ratzinger è sovrano e moralmente libero e accettando la legge regale della trascendenza, di Dio afferma la sua libertà interiore rispetto a chiunque e a qualunque cosa di questo mondo. È un pensiero che alla libertà di religione unisce la indispensabile libertà dalla religione, qualcosa di profondamente antitotalitario, altro che Medioevo oscurantista.
La giusta interpretazione dell’omelia di Ratisbona
In quello stesso discorso l’allora Papa citava e non mulinava come un’arma, le parole rivolte nel 1391 dall’imperatore Manuele II Paleologo a un colto persiano, parole parte di un discorso sulle relazioni fra i tre “ordini di vita”, Antico Testamento, Nuovo Testamento, Corano: “Mostrami pure – diceva Manuele II – ciò che Maometto ha portato di nuovo, e vi troverai soltanto delle cose cattive e disumane, come la sua direttiva di diffondere per mezzo della spada la fede che egli predicava”. Un acuto polemico che Ratzinger definiva “brusco al punto di essere per noi inaccettabile”. Ricordando la sura 2, 256 del Corano, “Nessuna costrizione nelle cose di fede”, Benedetto XVI la collocava storicamente in un primo periodo in cui Muhammad non aveva ancora alcun potere e mancava qualsiasi predicazione della jihad, la guerra santa. Manuele II aveva sostenuto in quel discorso al persiano che non agire secondo la ragione è contrario alla natura di Dio e di qui prendeva spunto Ratzinger per una lectio formidabile sul rapporto tra fede e ragione, partendo dall’incipit del Vangelo di Giovanni: “In principio era il Logos”. Logos è parola e ragione, si può tenere insieme la fede biblica e il razionale “interrogarsi greco”? Può esistere e ci serve davvero una ragione senza ethos?

Quello che nello sviluppo moderno dello spirito è valido va riconosciuto senza riserve, sosteneva Ratzinger, e bisogna avere il coraggio di aprirsi all’ampiezza della ragione scientifica, non rifiutarla: una ragione intesa come più ampia perché non limitata a ciò che è verificabile nell’esperimento, ma carica naturalmente di interrogativi che porta con sé e che la trascendono. Davanti alla corrispondenza tra “il nostro spirito e le strutture razionali operanti nella natura” esiste la domanda: “Perché questo?” Benedetto XVI evocava Socrate nel Fedone: “Sarebbe ben comprensibile se uno, a motivo dell’irritazione per tante cose sbagliate, per il resto della sua vita prendesse in odio ogni discorso sull’essere e lo denigrasse. Ma in questo modo perderebbe la verità dell’essere e subirebbe un grande danno”. L’Occidente, concludeva, è severamente minacciato da questa “avversione contro gli interrogativi fondamentali della sua ragione”.
Benedetto XVI non attaccò il dialogo tra culture e religioni
Si trasformò ai tempi quel discorso del Papa in un attacco al dialogo tra culture e religioni, ciò che evidentemente non era, come si esplicitò nella lettera di 138 teologi musulmani sulla ripresa di un cammino comune dopo il presunto “incidente”: “La base per questa pace e comprensione esiste già. Fa parte dei principi veramente fondamentali di entrambe le fedi: l’amore per l’unico Dio e l’amore per il prossimo. Questi principi si trovano ribaditi più e più volte nei testi sacri dell’Islam e del Cristianesimo”. D’altro canto, una vulgata sul Ratzinger “fondamentalista” cozzava contro la sua storia. Da prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede aveva scritto: “I libri sacri delle altre religioni, che di fatto alimentano e guidano l’esistenza dei loro seguaci, ricevono dal mistero di Cristo quegli elementi di bontà e di grazia in essi presenti”. Certo, tra il Dio dell’Islam, per quanto “clemente e misericordioso”, assolutamente lontano dall’uomo, cui chiede sottomissione, e il Dio che si fa carne con Cristo una bella distanza c’è e far finta che non ci sia è sciocco, ciò che vale per alcuni aspetti della dottrina islamica e della sharia, le regole di vita dei fedeli. Ratzinger ha poi sempre sostenuto che una pur lodevolissima vita etica, improntata a ideali di giustizia e umanità non basta nel mondo di oggi e va accompagnata da un rapporto col divino, dalla preghiera e dai sacramenti. Il “progressista” Francesco potrebbe mai sostenere il contrario?
A proposito di progresso e regresso, ultima notazione su Ratzinger e il Concilio Vaticano II (1962-1965), spartiacque tra una Chiesa “astratta” e una Chiesa che doveva tornare nel mondo, evento epocale che ha consegnato a tanti cuori, fedeli e laici, il caro ricordo di Giovanni XXIII. Nell’ottobre scorso, il Papa emerito parlava di quel Concilio “non solo significativo, ma necessario”: “Per la prima volta la questione di una teologia delle religioni si era mostrata nella sua radicalità. Lo stesso vale per il rapporto tra la fede e il mondo della semplice ragione”. Problematiche mai messe sul tavolo così esplicitamente, “il Concilio Vaticano II all’inizio minacciava di turbare e scuotere la Chiesa più che di darle una nuova chiarezza per la sua missione. Nel frattempo la necessità di riformulare la questione della natura e della missione della Chiesa è diventata gradualmente evidente. In questo modo, anche il potere positivo del Concilio sta lentamente emergendo”. Richiesto dal cardinale di Colonia Frings di approntargli un progetto in occasione del Concilio Vaticano, il giovane professor Ratzinger lo redasse e consegnò e da Frings passò al papa Roncalli che così lo commentò davanti al cardinale pochi giorni dopo: “Grazie, Eminenza, lei ha detto le cose che io volevo dire, ma non avevo trovato le parole”. Parole del futuro Benedetto XVI, allora sollecitamente nominato “perito ufficiale del Concilio”.
Ratzinger, con tutti i suoi tormenti, si è fatto parola, una fra le forti, che rifiutava di assegnare alla Chiesa e alla fede “un posto bello, ma anche innocuo”, secondo una famosa sciabolata del teologo protestante Heinrich Scholz.
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