Figli e figliastri, Ramy ha vinto la lotteria della cittadinanza

“Se un ragazzino di 13 anni fa un gesto importante, in via eccezionale si può dare un riconoscimento. Ma l’Italia è già il Paese che dà più cittadinanze di tutta Europa” (Matteo Salvini , 24 marzo). “Sì alla cittadinanza a Ramy perché è come se fosse mio figlio e ha dimostrato di aver capito i valori di questo paese, ma il ministro è tenuto a far rispettare le leggi. Per atti di bravura o coraggio le leggi si possono superare”. (Matteo Salvini, 26 marzo)

“L’ho convinto io”. (Luigi Di Maio, 26 marzo)

Fossi il giovane Ramy fuggirei al più presto da questo paese che ha bisogno di eroi per riconoscere la cittadinanza a chi è nato in questo paese, un paese guidato da un bullo arrogante e furbo di tendenze fascistoidi e da un bulletto che si mette in coda per guadagnare il suo momento di gloria in una vicenda, che al di là della conclusione ma persino nella sua conclusione si dimostra penosa, avvilente, offensiva.

Ramy sarà stato un eroe quando ha dato l’allarme, mettendo al riparo gli amici e se stesso dalle tragiche possibili conseguenze del gesto di un disgraziato autista di bus. Forse ha imparato qualcosa dai tanti telefilm che ci raccontano episodi analoghi di violenza, di paura, di morte. Forse s’è immaginato di vivere da protagonista una di quelle avventure e ha pensato bene di viverla con freddezza, da “eroe”. Ma Ramy si è superato quando tornando su questa terra, alla luce del sole, lontano da qualsiasi minaccia, anzi protetto e coccolato, ha buttato lì sul tavolo maggiorenne (?) della politica quella banale richiesta: datemi la cittadinanza italiana, sono nato in Italia, mi sento italiano, parlo italiano, frequento una scuola italiana… Non immaginava di mettere tanto scompiglio tra ministri e ministeri, di martellare un cuneo nelle tattiche propagandistiche del leader leghista, di denunciare con tanta evidenza le arretratezze del quadro legislativo nazionale. Non immaginava neppure di dare fiato alle trombe di guerra degli opinionisti seriali, che frequentano indifferenti e mistificatori tutte le reti televisive. Mistificatori perché non si può affermare (come ho sentito nel talk show, condotto dalla immobile Palombelli, affermare dal campione delle mistificazioni, tale Giordano, mosso evidentemente dalla dichiarazione di Salvini) che l’Italia vanterebbe il primato nella concessione di cittadinanze, perché ciò che potrebbe essere vero in termini assoluti non è assolutamente vero in rapporto alla popolazione presente (siamo al nono posto in Europa), perché la cittadinanza non è un regalo ma è un diritto fissato per legge (legge del 1992), perché quei numeri e la legge non riguardano Ramy ed altri ragazzi, minori come lui, oltre un milione, perché secondo la stessa legge un bambino è italiano se almeno uno dei genitori è italiano, mentre un bambino nato da genitori stranieri, anche se partorito sul territorio italiano, può chiedere la cittadinanza solo dopo aver compiuto 18 anni e se fino a quel momento abbia risieduto in Italia “legalmente e ininterrottamente” (guai se i genitori, magari per necessità di lavoro, si assentano per un attimo dal belpaese).

Il paterno Salvini darà dunque la sua benedizione al “cittadino” Ramy,  concederà una medaglia al suddito che ha superato il suo esame, con il plauso dell’invidioso Di Maio e della schiera dei soliti fantasmi da talk show, ossequiosi davanti a tanto regale generosità, ma lascerà a bocca asciutta migliaia di altri ragazzi, ai quali non è capitato di vivere un giorno da leoni e neppure di segnare gol in nazionale, ma che sono nati qui e sono approdati da noi neonati, che parlano la nostra lingua, che vivono normalmente nelle città e nei paesi italiani, che magari si sono già diplomati. Li vedo tutti i giorni all’ingresso delle scuole o nel prato dell’asilo sotto casa mia. L’altro giorno, per le giornate del Fai, in Valsesia, è stata una ragazzina di evidenti origini africane a spiegarmi mirabilmente le caratteristiche di una chiesetta trecentesca sotto la Parete Calva (in cima s’era rifugiato fra’ Dolcino, l’eretico che predicava la povertà della chiesa, citato da Umberto Eco nel suo “Il nome della rosa”, appena televisto). Quella ragazzina, studentessa di un istituto d’arte ne sapeva di più della storia italiana di tanti italianissimi cittadini… Ma nessuno si sognerà di concederle la cittadinanza.

Alla fine della scorsa legislatura, il partito democratico presentò una legge, quella sullo ius soli (non stiamo a discutere adesso le forse non esemplari tappe di quella iniziativa e tanto meno i vari modi in cui si potrebbe declinare per legge questo diritto), che provava a risolvere la questione. Una legge tramontata nel nulla per tante ragioni e soprattutto per l’opposizione di Forza Italia, della Lega e per l’ignavia dei cinque stelle (già pregustavano evidentemente l’alleanza futura).

Il Pd ha resuscitato la sua proposta e i noti commentatori l’hanno sbeffeggiato, accusandolo di strumentalizzare Ramy. Sorrisi ironici e facce sdegnate si sono alternate sui nostri sovranisti teleschermi. Ma come… questi approfittano dell’eroismo di un ragazzino per riparlarci di jus soli, che vergogna. Potrei ribattere: che vergogna loro, che rinunciano per opportunismo a considerare quanto è cambiata la società italiana, quali trasformazioni vive il nostro mondo, che rinunciano a qualsiasi sguardo lontano. Che non colgono la lezione impartita dal giovane Ramy.

Devo riconoscere però la bontà di una loro unanime osservazione: la ripresa della battaglia per lo jus soli si ritorcerà contro il Pd. C’è da crederlo in un paese che rincorre ministri del nulla e della propaganda come Salvini, ministri del cui operato non c’è traccia, capaci però di toccare il cuore perbenista, egoista, fascista, irrazionale di tanti, solo promettendo lotta ai barconi e libertà di sparare.