Racconti contagiosi tra peste e untori
Secoli di storia inseguendo le paure

«L’intera letteratura occidentale, nientemeno, inizia con una pandemia. Già i primi versi dell’Iliade di Omero raccontano di un’epidemia micidiale che falcidia le fila dei greci che assediano Troia». Inizia e continua a seminare morte e capolavori letterari, tragedie, farse, poesie, resoconti diligenti e false congetture, mirabili invenzioni e sconvolgenti reportage. Racconti contagiosi di Siegmund Ginzberg si immerge nell’immenso patrimonio letterario e documentario che racconta la peste, termine onnicomprensivo che racchiude in sé tutti i morbi micidiali e sconosciuti che l’umanità ha affrontato nel corso dei millenni.

Caccia all’untore

Nessuna parola come la peste riassume il male per eccellenza. Anche se dalla fine dell’800 in poi sappiamo bene di cosa parliamo quando parliamo di peste, il termine ha mantenuto la sua forza simbolica, tanto che definiamo “pestifera” l’aria, “una peste” il bambino irrequieto. «La peste non è una determinata malattia, ma qualunque cosa può essere peste» scriveva già Mercuriale nel 1577. Oggi abbiamo termini scientifici per ogni pandemia ma inalterate sembrano essere le reazioni psicologiche, i dinieghi, le sottovalutazioni, i misteri sulle origini, le teorie dei complotti, la ricerca degli untori. Quasi sempre ebrei e cinesi, talvolta anche gli italiani quando sbarcavano dai bastimenti e approdavano in America.

Corrispondente dell’Unità dagli Stati Uniti, dalla Francia e dalla Cina, Siegmund Ginzberg ha sempre coltivato un modo di guardare alla storia con l’occhio al presente, non tanto per vederla ripresentarsi come tragedia o come farsa, quanto per individuare i meccanismi mentali, le tensioni sociali che sembrano refrattari a qualsiasi augurabile progresso.

Se in Sindrome 1933 aveva avanzato un inquietante parallelo tra la situazione politica che aveva prodotto il morbo del nazismo e quella che viviamo in questo periodo storico, ora ci conduce dentro la paranoia che produce Sempre lo stesso racconto come recita uno dei capitoli: «Ogni pandemia è diversa dall’altra. Eppure hanno qualcosa in comune. I racconti si somigliano. E soprattutto somigliano in modo impressionante alle cronache dei nostri giorni. A volte si ha l’impressione che si tratti dello stesso racconto, che si ripete continuamente. Succede nelle migliori famiglie, nei romanzi come nelle fiabe». Petrarca che se la prende con i medici; Boccaccio che nel descrivere la peste del Trecento sembra ricalcare la testimonianza di Tucidide; Karel Capek che ne La peste bianca, una satira teatrale che, parlando del morbo, allude all’imminente dittatura, ironizza: «L’hanno gonfiata di brutto. Basta uno starnuto ed ecco che la chiamano Peste bianca. Un caso o due e i giornali impazziscono[…] Stupidaggini, storie per spaventare la gente. Dicono che viene dalla Cina. Ma perché dovremmo tirar fuori i soldi per aiutare questi paesi arretrati?» Jack London va anche oltre immaginando «di sterminare, con bombe ai batteri, tutti i cinesi». E poi Defoe, Salgari, Woolf, Svevo, Belli, Petrarca, Mary Shelley, Manzoni, insomma quasi si affonda nella quantità di scritti letterari e non nei quali la nostra guida tra le parole della peste ci conduce con elegante sicurezza rievocando nella bibliografia che è un racconto a sé, Virologia di questo libro, la curiosità umana e letteraria che l’ha intrigato.

Sempre lo stesso racconto

Tutto sembra riproporsi, anche i consigli precauzionali: ecco il distanziamento suggerito da Marsilio Ficino in Contro la peste del 1576: «[… ] quando conversi, stia discosto dal compagno due braccia al meno, & al luogo aperto, & quando è di sospetto stia etiam più lungi almeno di sei braccia, & allo scoperto, & fa che il vento non venga da lui inverso a te», oppure la minaccia di morte per chi esce di casa. Altro che lockdown! C’è chi invita a buttarla a ridere perché l’allegria e la narrazione leggera fanno bene alla salute, Boccaccio docet, e nell’epoca elisabettiana ecco le sollecitazioni ad andare a teatro profferite proprio dai medici, o Rabelais che ne approfitta per farsi un po’ di pubblicità e raccomanda la lettura del suo Gargantua e Pantagruele come ottima profilassi contro il contagio. Ironico per eccellenza ma alla maniera di Erasmo da Rotterdam nel suo Elogio della follia, sottolinea l’autore, è Francesco Berni che nel 1532 ne Il capitolo primo della peste così si diverte: «Prima, ella porta via tutti i furfanti: / gli strugge e vi fa buche e squarci dentro / come si fa dell’oche l’ognissanti» e aggiunge «Di far pazzie la natura si sazia, / perché in quel tempo si serran le scuole, / che a’ putti esser non può maggior disgrazia». E a proposito di scuole non manca Céchov che, essendo medico, si raccomanda di chiudere le scuole, ma resta ovviamente inascoltato e l’epidemia riprende a infuriare come non mai.

Detto così potrebbe sembrare un’antologia, e già sarebbe sufficiente, ma è molto di più, è proprio un romanzo, nel senso etimologico di romanzare. La lettura è appassionante, di un fascino quasi perverso, perché è come attraversare secoli di storia inseguendo le paure, le fole, le illusioni, le immagini, le poetiche bellurie del «pestifero morbo», per citare un titolo di Carlo Maria Cipolla, maestro riconosciuto di narrazioni storiche e qui ampiamente evocato, e osservare mestamente che nulla è cambiato; ma non è un’antologia, è una riflessione profonda sull’essere umano, sulla capacità di trasformare le tragedie in poesia, storia, eleganza letteraria.

Ginzberg conduce un’indagine sulla paura tout court, su quel mostro che logora le nostre coscienze trasformandoci in famelici cacciatori di “responsabili” che siano i cinesi, gli ebrei, i migranti, i reietti di turno, i pipistrelli e affini portatori di morbi. Tra passato e presente sembrano non esserci variazioni, un velo di nera cupezza avvolge il mondo appestato, eppure l’autore ci invita ad affidarci alla fantasia e cita gli studi del microbiologo Edwin D. Kilbourne il quale nel 1993 scrivendo una postfazione a una raccolta di saggi della Oxford University Press, Emerging Viruses, aveva immaginato un virus terribilmente simile a quello che infuria di questi tempi, e chissà quanti altri se ne presenteranno, ma gli investimenti, sempre pronti nel momento dell’esplosione, spariscono insieme alla potenza del virus. Invece bisognerebbe continuare a immaginare perché, conclude Ginzberg citando Galileo, A chi vuol una cosa ritrovare,/ Bisogna adoperar la fantasia, / e giocar d’invenzione, e’ ndovinare; / E se tu non puoi ire a dirittura, / Mill’altre vie ti possono aiutare.
Siegmund Ginzberg
Racconti contagiosi
Feltrinelli, Milano 2020
330 pagine, 18 euro
e-Pub 4,99