La piazza e la sinistra senza rotta
e senza bussola

Nei giorni scorsi su strisciarossa si è aperto un interessante dibattito sul futuro della sinistra (o delle sinistre) in Italia. Da una parte Graziella Priulla e Ella Baffoni ( Leggi qui ) si sono confrontate sul se andare alla manifestazione del Pd di domenica contro il governo razzista di Salvini e Di Maio anche se non si è (o non si è più) elettori di quel partito. Dall’altra Rosa Fioravante, con forte passione, si è domandata ( Leggi qui ) che fine sta facendo Liberi e Uguali, a cui aveva creduto, che è ormai impantanata in un percorso congressuale che sembra non finire mai e che forse non approderà a nulla.

Sono due facce della stessa medaglia: la crisi drammatica della sinistra italiana che, dopo la pensantissima sconfitta elettorale del 4 marzo, stenta a rimettersi in piedi e, come un pugile suonato, barcolla sulle gambe muovendosi in modo disordinato da una parte all’altra del ring senza più alcuna strategia di combattimento. Il rischio, anche nel caso della nostra sinistra, è di finire ko. Ma questa volta in modo definitivo e senza possibilità di rivincita.

Per evitare questo esito non basta nascondere le ferite provocate dai colpi. Non serve mettere la polvere sotto il tappeto. Non aiuta ripetere le stesse stanche parole d’ordine come se niente fosse accaduto. Non si può continuare a difendere rendite di posizione, carriere personali, interessi di corrente. No, non si può più.

C’è bisogno invece di lucidità e di coraggio. Oggi siamo a un bivio e bisogna scegliere. Non si può tornare indietro, non si può restare fermi. La drammatica crisi economica esplosa nel 2008 ci ha insegnato alcune cose su un sistema finanziario deregolamentato che ha provocato i danni che sappiamo. Ma la politica, come ha spiegato bene Simone Siliani ( Leggi qui ), ha rinunciato al suo ruolo e, passata la bufera, ha lasciato che sopravvivesse il modello della assoluta deregulation che continua nei suoi giochi proibiti. Il problema è che quel modello ha lasciato sul campo numerose vittime: i lavoratori, i giovani precari e quelli senza lavoro, il ceto medio. Chi era povero è diventato sempre più povero e chi era ricco è diventato sempre più ricco. La disuguaglianza si è accentuata e la speranza nel futuro non anima più nemmeno i sogni dei giovanissimi. Si sono scatenate vecchie e nuove paure che qualcuno ha fatto scaricare in modo irresponsabile contro il nuovo nemico da combattere: il migrante.

Se questo è vero, ed è difficilmente contestabile, la questione fondamentale della sinistra oggi è trovare la strada giusta per rispondere alle domande, non solo di chi è un lavoratore e vorrebbe essere un produttore, ma anche di quelli che hanno subito i colpi della crisi, degli esclusi, di quelli che sono ai margini, di quelli che Corbyn chiama powerless, i senza potere. Deve sapere indicare una nuova frontiera, raccontare un’altra storia, spingere a un’altra sfida. Non si possono ripercorrere i vecchi sentieri lungo i quali la stessa sinistra, negli anni in cui è stata al governo, ha commesso troppi errori. Che possiamo sintetizzare così: accontentarsi di gestire il liberismo in modo più moderato e più educato della destra.

Allora, però, è inutile continuare a girarci attorno. Lo dico con estrema chiarezza. Sostenere che il Jobs Act è stato un errore non è la stessa cosa che dire che quella è stata una legge moderna che ha dato buoni frutti (il milione di posti di lavoro); pensare che l’articolo 18 era una norma di civiltà contro gli abusi sui lavoratori non è la stessa cosa che ritenere che fosse ormai un totem inutile; dire che la selva dei lavori flessibili e precari sono un affronto alla dignità dei giovani lavoratori non è la stessa cosa che considerarli uno strumento di crescita economica in mano agli imprenditori; pensare che i sindacati siano un ganglio centrale nel sistema democratico e nella gestione della politica economica non è la stessa cosa che predicare la superiorità dell’imprenditore di successo con il maglioncino di cachemire; lavorare affinché i migranti vengano accolti e integrati in modo equilibrato non è lo stesso che lasciarli marcire nei campi di tortura libici pur di non farli arrivare sulle nostre coste.

Si può continuare, ma credo che ci siamo capiti. Il problema è la duplicità non solo della sinistra, ma delle sinistre al loro interno. Nel Pd convivono due partiti: il centrismo macroniano (vedi il manifesto firmato da Renzi insieme ad altri leader europei) e la sinistra socialista. In LeU anche: il riformismo di governo e il radicalismo di opposizione.

E’ il momento di prendere atto di queste divaricazioni. E di chiedersi seriamente se, per riuscire a salvare la sinistra dalla dissoluzione, la soluzione non sia un rimescolamento totale: i rossi con i rossi, i bianchi con i bianchi, e poi alleati alle elezioni. A questo punto, tenere insieme ciò che insieme ha dimostrato in tutti i modi di non poterci stare sarebbe un puro atto di masochismo.
Se non si risolve questo dilemma, infatti, non si andrà da nessuna parte: assisteremo al lento logoramento delle forze elettorali e al triste sbiadirsi delle idee.

Per contrastare e poi sconfiggere la nuova destra – che è più pericolosa e più insidiosa della vecchia – serve invece un salutare bagno di verità. Magari si scoprirebbe che proprio questa commistione di idee contrastanti e contraddittorie ha reso inaffidabili e quindi non votabili sia il Pd che Leu.

Ben vengano quindi le manifestazioni di piazza, qualunque sinistra le organizzi. Ma il giorno dopo lo sventolio delle bandiere il problema sarà comunque ancora lì davanti a noi. E non basteranno le primarie a risolverlo, né i comitati promotori di nuovi partiti, né le Leopolde. Servirà un confronto serio, duro, senza infingimenti. Per capire che è ora di ricominciare da dove ci eravamo lasciati.