Quella casa
che non ho
mai più ritrovato
Il Pci nella mia vita c’è sempre stato – come si può facilmente immaginare dai miei dati anagrafici. Ma quello di me bambina/ragazzina non era il “mio” Pci . Era il Partito di mamma e papà, una realtà non ben definita che faceva di noi una famiglia “diversa”. Una famiglia comunista.
Il “mio” Pci l’ho trovato anni dopo, quando – poco più che adolescente – mi sono avvicinata, non senza qualche riluttanza, alla Fgci. Ed è diventato subito casa. E’ diventato il luogo delle amicizie, degli amori, delle canzoni. Il luogo della scoperta del mondo, un mondo più grande della mia vita di brava ragazza borghese ma dove anche la brava ragazza borghese che ero poteva trovare un suo posto e un suo modo per affermarsi e farsi sentire.
Non era una casa sempre gentile e accogliente, tutt’altro. Le regole erano dure, le gerarchie rigide. Per noi giovani suggestionati da mille sirene (il trotskismo, la rivoluzione culturale, il terzomondismo, il Che …) non era banale farci i conti e farci accettare. Ho cominciato in quegli anni remoti ad essere minoranza e a battermi perché in quel partito così strutturato e formale anche le minoranze avessero una voce.
Le battaglie da minoranza le abbiamo quasi tutte perse, come sempre succede. La militanza ha conosciuto alti e bassi. Intensa e quasi totalizzante in alcuni momenti, residuale in altri, a seconda delle contingenze della vita. Ci sono state altre esperienze: il movimento studentesco, il pacifismo, il femminismo, le lotte sindacali. Ma la casa era sempre là.
La casa erano luoghi fisici – la sezione, Botteghe Oscure dove si andava la sera delle elezioni. La casa erano i compagni e le compagne. La casa erano i giornali – l’Unità e Rinascita. La casa era un’appartenenza comune, che restava salda anche nei dissensi.
Quando ho sentito le parole di Occhetto alla Bolognina, ho capito subito che era finita. Per decretare questa fine ci sono però voluti due anni. Due anni di confronto e scontro continuo. Due anni di passioni, di amicizie perse e trovate, di rabbia e di riflessione su di sé e sul mondo. Una grande esperienza di democrazia e di partecipazione popolare, su cui mi pare poco si sia ragionato. Per me sono forse stati il momento più alto e indimenticabile della mia militanza.
Poi, dato che la politica non è finita con la fine del Pci – anche se noi “reduci” stentiamo ad accettarlo – c’è stato tanto altro. Sono stata nel Pds, forse anche nei Ds (buffo che nemmeno me ne ricordi). Ho frequentato occasionalmente Sel. Sono andata a manifestazioni e cortei, alcuni grandiosi altri sinceramente assai modesti. Ho partecipato a non so quanti cantieri per la ricostruzione della sinistra. Ho aderito a Sinistra Italiana e lì ancora sto. Ma una vera casa non l’ho davvero mai più avuta.
Non sono così sciocca e sprovveduta da pensare che un’esperienza come quella del Pci, possa essere riproposta oggi. Il Partito comunista italiano fa parte della storia nobile di questo paese e di questa Repubblica. Ma – appunto – storia è, non attualità. Però come ha scritto in questi giorni Michele Prospero, se la nascita del Partito comunista nel 21 è stata una “dannazione”, è stato bello essere tra i dannati.
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