Quando un esoscheletro in Corea modifica i tempi di lavoro a Melfi

Può succedere che un operaio in una catena di montaggio, in una fabbrica coreana, indossi un “esoscheletro”, una specie di vestito tecnologico che aiuta nel lavoro ed è capace di raccogliere tutte le informazioni circa i movimenti della persona. Un algoritmo legge quello che sta facendo questo operaio coreano e constata che c’è un modo più efficace di lavorare. Il giorno dopo si verifica una modifica nei tempi di lavoro non solo in Corea, ma anche a Melfi. È uno dei tanti esempi di quanto sta succedendo nelle fabbriche moderne sparse nel mondo. Lo abbiamo trovato nelle pagine di un libro di grande interesse scritto da una donna, Francesca Re David, segretaria generale della Fiom-Cgil, in collaborazione con uno studioso, Lelio Demichelis. Sotto il titolo “Tempi (retro)moderni, il lavoro nella fabbrica­rete”, edizioni Jaca Book.

E’ un titolo che riassume la sostanza del testo. Viviamo un mondo del lavoro in continua trasformazione, all’insegna della modernità, ma anche con contenuti aggrappati al passato. Come in quel ricorso a una specie di sistema di cottimo che perseguita i cosiddetti “riders”, le ragazze e i ragazzi che distribuiscono cibi e altro nelle abitazioni. “Vieni pagato per i pezzi che fai, per i viaggi che fai, per le pizze che porti”. Con un sindacato in difficoltà nel suo lavoro di rappresentanza e contrattazione e un sistema politico sgretolato a sinistra.

Francesca Re David racconta gli anni di flessibilità, precarizzazione, esternalizzazioni, nuove tecnologie, deregolamentazione del mercato del lavoro, i diritti delle persone erosi. C’è stata una riorganizzazione per cui nelle aziende è presente un piccolo nucleo di attività e di lavoro, con una parte consistente di lavoratori precari e quindi più ricattabili e con un’altra parte, ben più consistente, della produzione fatta attraverso la catena degli appalti e dei subappalti. E’ stata rotta “la capacità, la possibilità delle lavoratrici e dei lavoratori di sentirsi classe, cioè di sentirsi insieme, di sentirsi un noi più forte, rispetto alla rivendicazione dei propri diritti”. Con lavori sempre più qualificati, ma anche lavori sempre più dequalificati, “lavori sempre più solitari, individualizzati, separati da un contesto comune”.

Una sfida enorme per il sindacato chiamato a ricomporre la frammentazione “facendo i conti con l’innovazione che mette insieme produzione e servizi, che mette insieme produzione e logistica, che mette insieme il dentro e il fuori della fabbrica”. Il problema “è come fare a condizionare la progettazione delle tecnologie e come fare a condizionare l’utilizzo delle tecnologie”.

É interessante anche la riflessione che la segretaria dei metalmeccanici fa circa gli effetti di questi “tempi moderni” anche fuori degli orari di lavoro: “Sei operativo sempre, sei produttivo anche nel tuo tempo libero. Quando tu giochi, quando guardi le app, quando cerchi dove andare in vacanza, quando prenoti un taxi, quando vai su Google o su Facebook e dai il tuo profilo Google a Facebook (e dopo ti rimandano la pubblicità dei prodotti che vorresti in base alla tua profilazione precedente), quando leggi on line, sei sempre produttivo. Anche dentro i tuoi spazi di libertà”. Con una sparizione della relazione sociale autentica. Per cui “sei connesso col mondo e conosci tutto il mondo stando però chiuso a casa tua”. Sarebbe necessario intrecciare i due mondi. Come spesso fanno i delegati della Fiom scambiando commenti e informazioni su Facebook ma anche nella realtà non virtuale.

Come cambiare? Qui Francesca Re David sembra accostarsi alle elaborazioni di Bruno Trentin nella sua “La città del lavoro” e di Claudio Sabattini quando parlava di codeterminazione. Propone infatti Francesca un nuovo “patto sociale” e “un’impresa democratica”. Ovvero “un’impresa in cui viene riconosciuto che gli interessi dei lavoratori e gli interessi dell’impresa non coincidono, sono interessi diversi” (qui Trentin avrebbe potuto obiettare circa la possibilità, invece, di obiettivi comuni). Un’impresa però, dice Re David, dove “si deve raggiungere un punto di mediazione: tu fai profitto e io miglioro le mie condizioni di vita e di lavoro mentre sono dentro al tuo luogo di lavoro, miglioro le condizioni della prestazione, miglioro i ritmi, ho una maggior partecipazione al progetto dell’impresa, ho un salario migliore, ho orari migliori, ho una flessibilità richiesta, cioè, miglioro la mia condizione dentro il luogo di lavoro e contemporaneamente partecipo alla tua produzione di profitto”. Un’impresa che però deve “riconoscere la soggettività individuale e collettiva dei lavoratori e pari dignità a questa soggettività che poi è quello che è successo quando il sindacato è stato più forte e che accade anche oggi laddove riesce a contrattare positivamente e certamente vi sono molti luoghi, molte imprese dove il sindacato riesce a contrattare positivamente”. Un impresa democratica, aggiungo io, che così operando potrebbe migliorare produttività, efficienza.

Certo le difficoltà odierne del sindacato derivano anche da un venir meno nel mondo della politica di una solida sinistra. Il libro non tralascia di affrontare lo spinoso tema di quella “Coalizione sociale” proposta a suo tempo da Maurizio Landini, quando era segretario della Fiom. Era il proposito, spiega Re David, “di mettere insieme concretamente, sul territorio, ma dentro un pensiero politico generale, politico sotto questo punto di vista, tutti i soggetti individuali e collettivi che si muovono nel sociale per l’attuazione o la messa in pratica, diciamo così, della Costituzione”. Siccome però si era pensato che si volesse fare un partito l’idea venne abbandonata “riconoscendo come fosse difficile fare un pensiero politico partendo dal sociale ma restando nel sociale”.

Fatto sta che il vuoto politico rimane. I partiti “sono divenuti sempre più smaterializzati, a rappresentanza mobile e liquida, senza un’identità e senza più una storia ed è caduta anche la distinzione tra destra e sinistra”. E’ passata l’idea “condivisa anche a sinistra, di oscurare il lavoro, di far sembrare che il vecchio lavoro non ci fosse più e che ci fossero solo lavori nuovi, tutti creativi, immateriali, di conoscenza.”. “La disintermediazione del lavoro e della rappresentanza e della cittadinanza”, si ricorda “non l’hanno incominciata i leghisti o i 5S, la disintermediazione l’hanno vissuta e prodotta tutti i governi che si sono succeduti in questi ultimi tre decenni”.

Quindi sarebbe stata così aperta la strada al cosiddetto populismo. Ora l’unico antidoto, secondo Re David, all’incattivimento sociale e politico, sta “nella partecipazione, nel mettere insieme, nel comunicare fisicamente, nel sentirsi ciascuno, con gli altri, responsabile di quello che avviene, responsabile dei cambiamenti che avvengono”.