Quando la Lega combatteva gli inceneritori

Non si può nemmeno dire che si tratta di ere geologiche lontane nel tempo. Perché è solo nel 2016 che la Lega protestava a Terni contro “l’inceneritore di Renzi” al grido di “ambiente e salute: non mandiamoli in fumo”! Quindi solo due anni fa rispetto alla capriola di oggi a favore di un ritorno all’incenerimento. Perché proprio di un ritorno si tratterebbe e nemmeno indolore nel rapporto con l’Unione europea.

La strada dell’incenerimento, imboccata quasi trent’anni fa per eliminare le discariche in cui venivano ammassate delle vere e proprie bombe ecologiche di rifiuti urbani tal quali, ha trovato i suoi più grandi estimatori nella lobby dell’industria impiantistica favorita inverosimilmente dalla fantasia dei nostri governanti. Per ottemperare agli inviti della Comunità europea a privilegiare le energie rinnovabili e nel contempo dare una “manina” anche alle imprese produttrici di energia da fonti fossili, i governi che si sono succeduti dai lontani anni ’80, avevano creato un’aberrazione tale per cui da allora verrà incentivata la produzione di energia tramite combustione di rifiuti urbani, ma anche di residui di raffinazione e scarti industriali. Come fosse energia pulita.

Il finanziamento di queste attività era frutto di una delibera, chiamata CIP6, che il Comitato Interministeriale Prezzi italiano aveva emanato nel ‘92. Per promuovere il ricorso alle fonti rinnovabili, si stabiliva che chiunque producesse energia elettrica da tali risorse avesse il diritto di rivenderla al gestore dei servizi elettrici ad un prezzo maggiorato rispetto a quello normale di mercato. Il surplus sarebbe stato rimborsato dagli utenti finali, tramite un aumento del 7% sulla bolletta.

Incentivare economicamente la produzione di energia da fonti rinnovabili sembrava la strada maestra verso un cambiamento di rotta epocale. La peculiarità tutta italiana stava nel fatto che venivano inclusi tra le fonti rinnovabili anche alcune che non lo erano e per le quali però, noi tutti da allora, versiamo una parte di quel 7% su ogni bolletta energetica.

Come è potuto succedere? vi chiederete. Nel 1982, in una legge in materia di energia compare una strana dicitura “fonti rinnovabili e assimilate” tra cui si annoverano anche “la trasformazione dei rifiuti organici ed inorganici o di prodotti vegetali”. Nel 1999, un decreto fa scomparire la scomoda dicitura “e assimilate”, cosicché l’incenerimento dei rifiuti viene promosso al livello di fonte rinnovabile e i padroni di impianti di incenerimento e termovalorizzazione si arricchiscono, con i contributi CIP6, di ingentissime somme di denaro pubblico.

Nel 2001 è la Comunità Europea a chiedere chiarimenti su cosa si debba intendere per fonti energetiche, specificando, in una direttiva apposita che per fonti energetiche rinnovabili si intende le fonti non fossili. Ma, nonostante ciò, in Italia si continua a sovvenzionare con i CIP6, l’incenerimento di rifiuti solidi urbani e industriali non biodegradabili. E si va avanti, governo dopo governo, con “stop and go”, “assimilate e non assimilate”, “biodegradabili e non biodegradabili”, violando tutte le normative europee in merito. Perché è solo l’Unione comunitaria che rimane vigile sulla questione e promulga direttive, fissando prima i limiti alle PM10 nell’aria (2008) e poi promulgando 4 direttive sull’economia circolare entrate in vigore a luglio di quest’anno, in cui si stigmatizza l’incenerimento dei rifiuti come concorrente sleale del riciclo e per questo debba essere disincentivato anche attraverso sanzioni fiscali, con l’invito, ad alcuni Paesi, tra i quali il nostro, a ridurre il numero degli impianti già esistenti.

Percorsi chiari, quelli che l’Europa ci ha sempre chiesto di intraprendere. Escamotage tortuosi in violazione delle normative comunitarie, quelli seguiti fin qui dal nostro Paese che si ritrova oggi con una raccolta differenziata a macchia di leopardo, con l’assenza di impiantistica del riciclo, soprattutto al Sud ma non solo, come dimostrato proprio in quest’ultimo anno dal blocco dell’esportazione degli scarti della plastica verso la Cina, epperò soprattutto con lo sversamento incontrollato di scorie e fanghi industriali tossici che riempiono ogni spazio possibile e che diventano roghi tossici, da Sud a Nord, avvelenando l’aria delle eleganti città del Settentrione, così come delle banlieue del profondo Sud.

L’uscita di Salvini che chiede inceneritori (rifiuti urbani) quando il problema principale sono gli sversamenti tossici e lo smaltimento dei fanghi industriali (soprattutto nel “suo” Nord come dimostrano gli ultimi roghi) la dice lunga sulla mancanza di conoscenza riguardo all’argomento e sulla strizzatina d’occhio alla lobby dell’incenerimento, foraggiata dallo Stato, che fa affari al riparo dal mercato, fregandosene della salute delle persone e che va all’incasso dopo ogni elezione politica.