Quando i porti furono “chiusi” agli ebrei
che fuggivano dal terrore nazista
Ci sono storie che dovrebbero essere raccontate perché hanno – come si dice? – una morale. Vengono dal passato ma ci dicono qualcosa del presente, ci aiutano a capire quel che ci succede intorno. Questa è la storia di una nave. Una bella nave da crociera che era tedesca e si chiamava St. Louis.
Il 16 maggio del 1939 la St. Louis, un gioiello della HAPAG, la società di navigazione tedesca che assicurava i collegamenti tra la Germania e l’America, salpò da Amburgo per l’Avana. Il comandante era Gustav Schröder, uno degli ufficiali più conosciuti della compagnia, che aveva molta esperienza, molte qualità e un solo difetto agli occhi dei suoi datori di lavoro: non era nazista.
Sul bastimento c’erano, con l’equipaggio, 937 passeggeri. Di questi 930 erano ebrei, quasi tutti tedeschi. Fuggivano dal Terzo Reich e quella per tutti era l’ultima possibilità di lasciare il paese nel quale stava diventando ogni giorno più difficile vivere. Molti partivano senza un soldo in tasca: le loro proprietà erano state confiscate, le professioni proibite, beni e risparmi sequestrati. Il biglietto per Cuba era l’ultima ricchezza che possedevano. Ma non era una certezza: poco prima della partenza la HAPAG aveva comunicato che le autorità dell’Avana chiedevano a chi arrivava dal mare il possesso di un permesso di sbarco valido e questo permesso nessuno lo aveva. Non si sapeva neppure come e a chi ci si sarebbe dovuti rivolgere per ottenerlo. Ma durante le due settimane di navigazione l’inquietudine si chetò: il clima a bordo era sereno, c’erano molti bambini e molti ragazzi e ragazze, gli adulti avevano buone ragioni per pensare che il peggio della loro vita stava passando, che gli incubi degli ultimi sei anni sarebbero diventati un brutto ricordo. Il comandante Schröder aveva anche disposto che a bordo si potessero tenere le cerimonie religiose, cosicché la tolda della St. Louis fu per qualche settimana l’unico pezzetto di suolo tedesco sul quale era possibile professare pubblicamente la religione ebraica.
Alla fine del mese il bastimento approda al porto dell’Avana. Ma non è la fine del viaggio. La notizia arriva come una mazzata: gli ebrei non possono scendere. Cuba ha già accolto 2500 loro correligionari, arrivati in precedenza, e ritiene di aver esaurito la propria “quota”. È una questione di principio, spiegano i rappresentanti del governo: perché debbono venire tutti da noi? Noi abbiamo fatto la nostra parte, ci sono altri paesi, che li accolgano loro. In realtà, come succede – si sa – sotto al principio ci sono considerazioni più prosaiche. Tra la popolazione dell’Avana c’è un antisemitismo diffuso, si dice che gli “ebrei comunisti” arrivati dall’Europa tolgano il lavoro ai cubani e ci sono state già proteste, finite anche sui giornali. I partiti di destra soffiano sul fuoco e sull’isola c’è una comunità tedesca in cui molti sono nazisti. Anche per questo il governo del presidente Federico Laredo Brù ha emanato una legge che serve in qualche modo a scoraggiare l’immigrazione. Essa prevede la distinzione tra turisti e immigrati. I primi debbono pagare una tassa di 150 dollari, mentre a chi intende restare nel paese ne sono chiesti 1500. Si tratta di una somma proibitiva per i passeggeri della St. Louis. Il comandante Schröder cerca di trattare con le autorità, spiega che i profughi hanno assoluto bisogno di trovare ospitalità perché il ritorno in patria è rischiosissimo, ma non c’è nulla da fare. Dopo qualche giorno di negoziati, dei 937 ebrei sulla nave soltanto 28 riescono ad avere il permesso di sbarcare. Gli altri se ne debbono andare. La St. Louis deve lasciare subito il porto.
Che fare a quel punto? Il comandante chiede alla HAPAG il permesso di proseguire il viaggio verso gli Stati Uniti. Da Cuba alla Florida ci sono poche ore di navigazione e nella notte tra il 3 e il 4 giugno la nave si ancora al largo di Miami. I profughi vedono le luci della città, le luci dell’America sognate nei lunghi mesi della disperazione in Germania. Sono lì a un passo. Ma non sono per loro.
Durante le trattative al porto dell’Avana la notizia della “nave degli ebrei tedeschi” si è diffusa e ha fatto il giro del mondo. I giornali statunitensi ne hanno parlato e anche i canadesi si stanno interessando a quella nave con il suo carico umano. Dalla stazione radio della St. Louis durante la navigazione è stato trasmesso un messaggio diretto personalmente al presidente Franklin Delano Roosevelt. La Casa Bianca intervenga, ordini che si faccia un’eccezione alle severe leggi sull’immigrazione negli Usa. Ma la risposta arriva, gelida, dal Dipartimento di Stato: “I passeggeri si iscrivano alle liste di immigrazione e aspettino il loro turno per essere chiamati”. Dovrebbero tornare a casa, insomma, rivolgersi ai consolati americani in Germania. Come se non sapessero che i consolati stranieri nel Reich sono controllati dalla Gestapo e circondati dalla polizia. Gli ebrei non possono neppure avvicinarsi.
Per qualche ora pare che una soluzione in extremis possa arrivare dal Canada, dove la vicenda della nave viene seguita dall’opinione pubblica con una certa partecipazione. Il governo di Ottawa potrebbe forse permettere alla St. Louis di attraccare a Halifax, terminale americano di una frequentatissima rotta della HAPAG, due giorni e mezzo di navigazione verso nord. Ma il Dipartimento di Stato di Washington “sconsiglia” i canadesi: c’è il timore che i profughi sbarcati a Terranova possano poi comunque entrare negli Stati Uniti.
Svanita anche la carta canadese al comandante Schröder non resta che riprendere la rotta verso l’Europa. La destinazione dovrebbe essere il porto di partenza: Amburgo, ma, non si sa bene se agendo di propria iniziativa o in accordo con l’armatore, il capitano non fa rotta verso la Germania, ma verso il Belgio: il porto di Anversa.
Qui gli ebrei vengono sbarcati. E qui avviene quella “distribuzione” dei migranti che fa assomigliare tristemente questa storia a quelle che abbiamo vissuto in questi ultimi mesi, e che forse dovremo vivere ancora, in Europa e in Italia. La Gran Bretagna “prende” 288 profughi. Sono i più fortunati, perché arriveranno tutti vivi alla fine della guerra, eccetto uno che morirà in uno dei bombardamenti di Londra. Il Belgio se ne “tiene” 214, in Francia andranno 224 e 181 nei Paesi Bassi. Mancano tre mesi allo scoppio della guerra. Degli ebrei della St. Louis sbarcati in Europa 87 riusciranno a rifugiarsi in tempo nei paesi neutrali, gli altri cadranno nelle mani dei nazisti e finiranno nei Lager cui si erano illusi di sfuggire imbarcandosi su una nave che trovò sulla sua rotta solo “porti chiusi”.
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