Quando anche a letto comandava Lui, chi rimpiange la tassa sul celibato?
L’Istat lo ha certificato: gli italiani non fanno più figli. Come fare, quindi, a far tornare la voglia al nostro popolo di riprodursi? Si può suggerire a qualche nostalgico del Ventennio di tirare fuori l’antica ricetta adoperata da Sua Eccellenza, per contrastare la scarsa voglia, già all’epoca, di prolificare dell’italico maschio.
“Affermo che, dato non fondamentale, ma pregiudiziale della potenza politica, e quindi economica e morale delle Nazioni, è la loro potenza demografica. Tutte le Nazioni e tutti gli imperi hanno sentito il morso della loro decadenza, quando hanno visto diminuire il numero delle loro nascite”. Così parlò il Duce, in un discorso del 26 maggio 1926, lanciando quella che lui stesso definì “la frustata demografica”. Su cosa si basava questa frustata? Su una bella tassa che avrebbe colpito chi non si sposava. Venne introdotta con il Regio Decreto 2132/1926 e prese il nome di “Imposta personale progressiva sui celibi”.
Vieux garçons senza focolare
Uno studioso dell’epoca, abbastanza allineato, così provvide a elogiare la sua introduzione: “il grande Statista ha chiamato a contribuire tutti coloro che, o per indolenza, o per eccessivo senso di quieto vivere, od infine per un mal celato spirito egoistico, hanno rinunziato o rinunciano a costituirsi una famiglia ed a sopportare i pesi relativi”. Questi, sempre secondo il convinto studioso, sono una schiera degli “scapoli impenitenti, dei vieux garçons (cioè vecchi scapoli), degli uomini senza focolare, che viene irreggimentata ed obbligata a fornire i mezzi per sovvenzionare e mettere in condizione di funzionabilità l’Opera Maternità ed Infanzia”.

Non tutti, però, erano obbligati a pagarla. Erano esentati i sacerdoti, i grandi invalidi di guerra perché considerati poco appetibili nel mercato nuziale, gli ufficiali perché servivano già egregiamente in altro modo la Patria, gli interdetti e, infine, gli stranieri che nel caso contribuivano alla demografia a casa loro. La tassa era crescente con il crescere dell’età per diminuire poi superati i 50 anni. Per dare l’idea del suo importo, un “signorino” bracciante agricolo quarantenne, a metà anni 30, per godersi il libertinaggio doveva pagare allo Stato 57,50 lire all’anno di imposta sul celibato. Il suo salario mensile era di 200 lire. Facendo i dovuti raffronti, la tassa era il corrispettivo di 400 euro di oggi.
Nelle cronache dell’epoca, però, non potevano mancare gli italiani, scarsamente patrioti, che cercavano modi per non pagare questo balzello. Ci fu un tale che obiettò che, essendo lui affetto da impotentia coeundi, non poteva certo trovar moglie ciò in quanto, a sentire il suo avvocato, “per il vizio che lo affligge, si trova nell’impossibilità di contrarre il matrimonio e dato che la legge non avrebbe quella significazione educativa, che le è propria, se non risparmiasse coloro che, non per grettezza o per egoismo, ma per assoluta necessità, si vedono costretti ad evitare legame nuziale e le sue conseguenze”.
Ci guadagnò solo l’ONMI
La Giustizia Tributaria è implacabile e il poveretto viene condannato comunque a pagare la tassa perché, secondo i giudici, questa colpisce chi non si sposa e non chi non riesce a fare i figli. Dunque l’impotente può senz’altro sposarsi, e rimarrebbe impregiudicato l’affetto fra coniugi, anche se non coronato da una sana e soddisfacente vita sessuale.
Servì effettivamente questa tassa a incrementare le nascite? Manco per idea: si passò da un valore di natalità nel 1926 del 29 per mille a un valore del 23 per mille nel 1937. Riempì molto, al contrario, le tasche dello Stato e di conseguenza quelle dell’Opera Nazionale Maternità e Infanzia, ente indicato come beneficiario di questa specifica imposizione fiscale.
Parrà, a chi è arrivato fin qui, che questa tassa non è altro che uno dei tanti balzelli assurdi pagati dal povero cittadino italiano. In realtà anche oggi esiste una specie di tassa sul celibato, ma al contrario. Lì si colpiva lo scapolone, oggi invece si premiano, con detrazioni fiscali, le famiglie con coniugi a carico o che fanno molti figli.
Ad ogni modo, come non è servito all’epoca tassare chi non si sposava, così non serve a niente oggi aiutare chi mette su famiglia con prole annessa. Anche questo è un insegnamento della Storia, da tener ben presente.
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