Pubblico impiego
in piazza per salvare
i servizi pubblici
Ci siamo, come recita un fortunatissimo hashtag della Funzione pubblica Cgil. Mentre leggete questo pezzo piazza della Repubblica a Roma si sta riempiendo di lavoratrici e lavoratori dei servizi pubblici. Li chiamano così, i sindacati, non per la smania di puntualizzare o di farvela complicata, ma perché sono in tanti, tra loro, anche coloro che garantiscono welfare e prestazioni, pur non essendo dipendenti diretti dello Stato. E mentre siete lì a sventolare le bandiere di Cgil, Cisl e Uil o a intonare i primi slogan, voglio portare le lancette dell’orologio indietro di 24 ore, per raccontarvi di una chiacchierata con la segretaria generale della Funzione Pubblica Cgil, Serena Sorrentino, ma anche per scrivere di quello che è il sabato del villaggio per ogni sindacalista, quelle ore convulse che anticipano e preparano una giornata di mobilitazione.
Nella palazzina sede della Fp Cgil in via Leopoldo Serra a Roma, incastrata tra il Tevere, alle spalle, e il mercato di Porta Portese, nella canicola di questo incendio estivo divampato dopo un maggio autunnale, per essere venerdì all’ora di pranzo c’è un’attività che lascia sorpresi. Prima di chiudermi nella sala riunioni dell’ufficio della segretaria per l’intervista, attraverso il corridoio: gente che va, gente che viene, il telefono dell’ufficio stampa che non smette di squillare, le parole palco e piazza della Repubblica continuano a ricorrere e a rincorrersi nelle salette. Ognuno è lì a completare il puzzle complicato dell’organizzazione. Una macchina complessa, un paziente instabile al quale tastare il polso prima dell’operazione. Un puzzle, lo dico sommessamente – che il giorno prima non si potrebbe – un puzzle che dovrebbe esser composto da decine di migliaia di pezzi. I pullman sono in partenza, in tanti si sono organizzati con auto e macchine private, la Capitale, che per tradizione brulica di impiegati pubblici, scalda i motori sorniona, come fa sempre.
Rumore

Il rumore di fondo, in quei corridoi, è assordante. È il sound check del sindacato, l’accordatura degli strumenti, intorno a un evento che per passione e livello di partecipazione potrebbe quasi sembrare un concertone rock. È un’altra data del grande tour delle confederazioni, di Cgil Cisl e Uil, che dal 9 febbraio chiamano alla piazza le persone, categoria dopo categoria. È un’onda di protesta che, restando sul tema musicale e scomodando Sting, lascia, sull’ultima spiaggia di questo Paese, un message in a bottle.
A tradurcelo, questo messaggio in bottiglia, è Serena Sorrentino, la leader, la front woman della Fp Cgil, con parole che arrivano dritte al punto della questione: “C’è una società civile che aspetta, semplicemente, un messaggio positivo. Quello di una visione organica di un programma di valori nel quale riconoscersi e per il quale mobilitarsi. Lo abbiamo visto anche nelle proteste per i diritti civili, a volte promosse quasi spontaneamente sui social network – ce la ricordiamo tutti la piazza contro il razzismo a Milano o il presidio della Sapienza a Roma -, nelle proteste per il clima, in quelle per l’accoglienza e l’integrazione, in quelle per i temi sociali più vicini all’attività del sindacato.
C’è una grande voglia di partecipazione che confligge con l’assenza di un progetto politico nel quale canalizzarla, ma questo non spetta al sindacato. Quel che spetta a noi del sindacato, però, è il presidio della democrazia nei luoghi di lavoro. Perché se noi arretriamo su questa battaglia, ci sarà anche meno tutela di democrazia sul territorio”.
L’ombra di un arretramento del welfare
Insomma, dietro ai grandi temi che agitano e infiammano l’attività delle organizzazioni di rappresentanza dei lavoratori dei servizi pubblici, dietro all’infermiere della sanità privata che aspetta un rinnovo contrattuale da prima che si diffondesse Facebook; dietro al medico in pensione richiamato sul campo perché il presidio sanitario è in stallo per assenza di personale; dietro al vigile del fuoco che rischia la vita perché è maledettamente solo; dietro all’impiegato dell’Inps che rischia il linciaggio perché non riesce a far in fretta con le pratiche; dietro all’agente di polizia penitenziaria che a giugno indossa la divisa invernale perché quella passa il convento. Dietro a tutto questo, e molto altro, si allunga l’ombra minacciosa di un Paese che arretra sul terreno del welfare per lasciare campo libero alla privatizzazione o alla soppressione di servizi.
Una tendenza che sulla sanità appare evidente. E per questo si è levata a gran voce, anche nelle ultime ore, la denuncia dei sindacati. “È una scelta politica chiara perché le tendenze si potrebbero invertire – è il commento della Sorrentino –. Non è una condizione ineluttabile. I vincoli si possono allentare, le dinamiche occupazionali si possono sbloccare, si può cambiare la tendenza di finanziamento del fondo sanitario nazionale, si può garantire in maniera diversa la copertura dei livelli essenziali di assistenza.
“Se non si compie questa scelta politica vuol dire che la scelta è un’altra: far crescere il mercato privato dei servizi sanitari, tant’è che i cittadini italiani spendono 40 miliardi di euro all’anno per garantirsi il diritto alla salute”.
Miliardi alla sanità privata
La cifra, pronunciata con gravità, mette quasi paura. Come, verrebbe da chiedersi, nella vecchia Europa del welfare gli italiani tirano fuori dalle proprie tasche 40 miliardi di euro per curarsi? E allora le tasse? Domande retoriche – soprattutto in tempi di flat tax. Come dire che il peggio deve ancora venire. Per questo, tra le date del grande tour sindacale, quella di domani unisce, ancora una volta, tutto il mondo del lavoro e ci riguarda tutti, perché tutti siamo cittadini e lavoratori, tutti abbiamo bisogno di ospedali che funzionino, di asili nido e scuole per l’infanzia, di igiene ambientale, di manutenzione stradale, di impiegati che diano esecuzione alle pratiche della burocrazia. Per capire il momento del Paese si torna al risultato delle ultime elezioni europee.
“Pur tenendo in conto la scarsa partecipazione al voto – è l’analisi di Serena Sorrentino – è evidente lo spostamento di consenso su politiche da seguire con attenzione: perché le ricadute di quelle politiche, dal decreto sicurezza alla proposta della flat tax, hanno un’incidenza forte sulle condizioni reali delle persone sulle quali stiamo protestando”. Restando sull’Europa, il vero campo da gioco, il vero perimetro in cui poi si consumano anche le vertenze del pubblico impiego del nostro Paese, è chiaro il pensiero della leader della Fp Cgil: “L’Europa rappresenta una speranza, ma anche un ostacolo: la speranza è quella che riparta una discussione sull’Europa sociale, che si torni a concepire lo spazio comune come un coagulo di interessi finalizzati alla costruzione del benessere, di politiche improntate alla coesione sociale, da praticare nei singoli territori ma anche nel coordinamento continentale. Può però rappresentare un ostacolo, laddove non si dovesse arrivare a invertire la tendenza che ha dettato le politiche di austerity: il rischio è che proprio i servizi pubblici potrebbero essere l’obiettivo dell’aggressione di una nuova ondata di politiche neoliberiste. Gli esempi sono sotto gli occhi di tutti: ci preoccupa molto la discussione sulla direttiva europea che prevede la privatizzazione dei servizi sanitari, così come un intervento della commissione europea sul diritto di sciopero”.
Il sindacato europeo
Temi di attualità questa settimana a Dublino, al congresso dell’Epsu, il sindacato europeo dei pubblici, dove si è detto che, solo facendo rete e diventando anche un soggetto politico di rappresentanza per i lavoratori europei, si può mettere in campo un’azione sindacale comune per influenzare e incidere sull’orientamento della commissione. Grandi traguardi, grandi orizzonti, alla vigilia di questa mobilitazione.
L’obiettivo resta chiaro: partire dalla singola vertenza, dalla singola categoria, dai bisogni reali delle persone, per affermare un’idea di Paese diversa, tenendo unito il mondo del lavoro e il sindacato. Uno dei pochi soggetti, forse l’ultimo, ancora in grado di parlare alle persone casa per casa, azienda per azienda, strada per strada, così come – lo abbiamo ricordato tutti in questi giorni in cui ricorrono i 35 anni dalla morte – esortò a fare Enrico Berlinguer nel suo ultimo discorso.
Giorgio Sbordoni, RadioArticolo1
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