Prove tecniche e politiche di 1984
Il Ministero della Verità, Miniver in neolingua, era molto diverso da ogni altra costruzione che si potesse vedere all’intorno. Consisteva, infatti, in una enorme piramide di lucido, candido cemento, che saliva a gradini, per cento metri. Dal luogo dove si trovava Winston si potevano leggere, stampati in eleganti caratteri sulla sua bianca facciata, i tre slogan del Partito: LA GUERRA È PACE, LA LIBERTÀ È SCHIAVITÙ, L’IGNORANZA È FORZA.
Si diceva che il Ministero della Verità contasse tremila locali sul livello del terreno e altrettanti in ramificazioni sotterranee. Sparsi nel centro di Londra, c’erano altri tre edifici d’aspetto e di mole simili. Essi facevano parere così microscopiche tutte le altre case, che dal tetto degli Appartamenti della Vittoria avreste potuto abbracciarli tutt’e quattro con la stessa occhiata. Erano le sedi dei quattro Ministeri nei quali era divisa tutta l’organizzazione governativa. Il Ministero della Verità che si occupava della stampa, dei divertimenti, delle scuole e delle arti. Il Ministero della Pace che si occupava della guerra. Il Ministero dell’Amore che manteneva l’ordine e faceva rispettare la legge. E il Ministero dell’Abbondanza che era responsabile dei problemi economici. Ecco i loro nomi in neolingua: Miniver, Minipax, Minamor, Minabbon.
Il Ministero dell’Amore era quello che più incuteva paura. Sulle sue pareti non s’aprivano finestre. Winston non era mai stato dentro al Ministero dell’Amore, e nemmeno s’era mai azzardato a entrare nel raggio d’un mezzo chilometro da esso. Era impossibile entrarci altro che per rigorose ragioni d’ufficio, e anche allora attraverso un labirinto di passaggi protetti dal filo spinato, porte d’acciaio e feritoie nascoste, provvedute di mitragliatrici. Anche le strade che conducevano ai recinti erano sorvegliate da un corpo di guardia in uniforme nera, con spaventevoli facce di gorilla e armato di pesanti mazze.
Winston si volse di scatto. Fece assumere alla sua fisionomia l’espressione di tranquillo ottimismo che era opportuno mantenere allorché ci si rivolgeva verso il teleschermo. Attraversò la stanza diretto alla minuscola cucina. Uscendo dal Ministero a quell’ora, aveva sacrificato la colazione alla mensa, e sapeva che non c’era alcun cibo, in cucina, se non un pezzo di pane nero che avrebbe dovuto far arrivare all’indomani per la prima colazione. Prese dalla scansia una bottiglia d’un liquido incolore con sopra una etichetta bianca e l’iscrizione “Gin della Vittoria”. Rimandava un sentore oleoso e malsano, simile a quello dell’alcool di riso cinese. Winston se ne riempì quasi una tazza da tè, si dispose alla scossa e l’ingoiò tutt’intera come fosse una dose di medicina. Quella bevanda sapeva di acido nitrico, e ingoiandola si aveva la sensazione d’essere colpiti alla nuca da uno sfollagente. Un momento appresso, tuttavia, il bruciore nel ventre s’attutì, e il mondo cominciò a sembrare un po’ più allegro. Se ne tornò nella stanza del soggiorno e sedette a un tavolino che stava a destra del teleschermo. Trasse dal cassetto una penna, una boccetta d’inchiostro e uno spesso quaderno rilegato, con il dorso rosso e la copertina marmorizzata.
Il teleschermo della stanza di soggiorno si trovava, per caso, in una posizione fuor del comune. Invece che nella parete di fondo, da dove avrebbe potuto spaziare per tutta la stanza, era stato collocato sulla parete più lunga, proprio di fronte alla finestra. A un lato di esso c’era una sorta di rientranza nel muro, nella quale Winston se ne stava ora seduto. Tenendosi bene addossato al muro, poteva restarsene al di fuori del campo visivo del teleschermo. Poteva essere udito, s’intende, ma non poteva essere veduto. La cosa che si disponeva a fare consisteva nell’incominciare un diario. Ciò non era illegale (nulla era illegale, poiché non c’erano più leggi); ma se comunque fosse stato scoperto, non c’era dubbio che sarebbe stato condannato a morte, o a venticinque anni almeno di lavori forzati.
Intinse la penna del calamaio e quindi esitò un istante. Ebbe un tremito fin nelle budella. Segnare la carta sarebbe stato l’atto decisivo. Con certe piccole goffe cifre, scrisse: “4 aprile 1984”.
Per chi, si domandò improvvisamente, stava scrivendo quel diario? Per qualche minuto rimase attonito a guardare il foglio. Il teleschermo trasmetteva una irritante marcetta militare. Tutt’a un tratto cominciò a buttar giù lo scritto in preda al panico, soltanto in parte cosciente di quel che scriveva. La sua calligrafia minuta e infantile si srotolava su e giù, scordandosi, lungo il cammino, le maiuscole e perfino le virgole e i punti:
4 aprile 1984. Ieri notte al cinema. Film di guerra. Uno molto buono su un battello pieno di profughi bombardato in qualche parte del Mediterraneo. Il pubblico si divertiva un mondo a vedere un tipo di grassone che cercava di svignarsela con un elicottero che lo inseguiva, prima si vedeva galleggiare sull’acqua come un porco marino, poi si vedeva attraverso l’apparecchio di puntamento dell’elicottero poi era pieno di buchi e il mare attorno diventava rosso e lui affondava subito come se l’acqua fosse entrata nei buchi, poi si vedeva una scialuppa piena di bambini con un elicottero sospeso sopra, c’era una donna di mezza età che avrebbe potuto essere ebrea seduta nel fondo con un bambino di tre anni in braccio. bambino strillava impaurito e nascondeva la testa tra i seni di lei proprio come se volesse scavarsi un rifugio dentro il suo corpo e la donna se lo stringeva con le braccia cercando di calmarlo sebbene fosse bianca dal terrore anche lei, e lo copriva tutto con le braccia come se pensasse che con quelle avrebbe potuto proteggerlo dalle pallottole. Poi l’elicottero allentava una bomba da venti chili su di loro uno scoppio terribile e la scialuppa se ne volava in mille schegge. poi una bellissima ripresa del braccio d’un bambino che se ne volava su su su sempre più su un elicottero con la macchina da presa ficcata nella parte anteriore doveva averlo seguito su per aria e si sentirono un sacco di battimani dalle file del partito ma una donna prolet cominciò a fare una scenata che no che non dovevano che non si poteva farlo vedere ai bambini che non avevano diritto di farlo vedere ai bambini che non avevano finché non è venuta la polizia non l’ha fatta uscire la polizia non l’ha fatta non credo che le sia successo nulla nessuno fa caso a quel che dicono i prolet le tipiche reazioni dei prolet. loro non…
Winston smise di scrivere soprattutto perché lo prese un crampo alla mano.
(George Orwell, “1984”, 1948)
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