Profumo “Fascism” suggerito da un’ebrea
Ancora mostri nel sonno della memoria
Durante una delle ultime (tante) campagne elettorali, nel marzo del 2019 comparve in Israele uno spot nel quale l’allora ministra della Giustizia del governo Netanyhau faceva una cosa molto strana. Muovendo gli occhi e il corpo seduttiva come una topmodel, Ayelet Shaked, esponente di HaJamin HeChadasch, un piccolo partito frutto della ulteriore scissione ancora più a destra d’una scissione alla destra del Likud, metteva in scena l’apparizione del profumo “Fascism”. Voi lo chiamate così (e lo condannate, diceva il sottotesto), ma per me – sussurrava Ayelet – “è democrazia”. Poi la modella tornava nei panni della donna politica ed elencava le linee del suo programma di ministra. Che ora non ci interessano.
La storia finisce qui, giacché – che si sappia – la provocazione pubblica della signora Shaked non ha prodotto altri seguiti che lo stupore di tutti e il disgusto di molti né pare che gli abbia pagato in termini di consensi.
Non è finita però, la storia del profumo Fascismo, per Vittorio Pavoncello, regista teatrale e cinematografico, giornalista televisivo, scrittore, artista in varie discipline. Italiano ed ebreo, italiano ebreo o ebreo italiano. Alla scena inquietante della ex ministra di Netanyhau Pavoncello ha dedicato la prima parte del titolo di un suo romanzo (per ora chiamiamolo così, poi vedremo) che è uscito in questi giorni per le edizioni All Around: “Profumo di fascismo e sali del Mar Morto”.

Si tratta di un libro strano e, diciamolo subito e onestamente, non facile da leggere. Confezionato con gli stilemi del flusso di coscienza – non a caso è aperto da una lunga citazione dall’Ulisse di Joyce – mescola, in un voluto ma certe volte ribelle disordine, tratti da saggio storico-politico, biografie e memorie dell’ebraismo romano e italiano, considerazioni politiche su Israele e il Medio Oriente, pudici strappi alla “indicibilità” della Shoah.
Il tutto ha come unità di luogo e di tempo una bella terrazza romana affacciata su Villa Sciarra in un pomeriggio di maggio che pian piano scurisce per l’avvicinarsi dei neri nuvoloni d’un temporale che alla fine faranno cadere grosse gocce di pioggia sul computer al quale l’autore ha appena finito di scrivere una e-mail, “unico strumento di comunicazione della mia epoca”, perché può raggiungere cento persone, mille, centomila, potenzialmente tutta l’umanità.
Il “lungo perché”
Materia del messaggio è il “lungo perché” della tragedia moderna del destino ebraico che, in questo pomeriggio romano, è stato portato sul tavolo dell’autore dal presentissimo non-ricordo del nonno, ammazzato ad Auschwitz un mese dopo il suo arrivo e quindi molti anni prima che Vittorio venisse al mondo e divenisse adulto con le sue domande. È una foto del nonno mai conosciuto che ha provocato il cortocircuito della memoria e tutte le domande e le poche risposte su che cosa sia, che cosa possa essere, il vivere, il pensare, l’agire da ebreo nei confusi tempi presenti. O il non essere ebreo, nel caso che rifiutare la fede, o almeno i culti della religione, possa cancellare la poderosa, ontologica sostanza di quel che si è perché la Storia tali ci ha fatti.

Nel percorso di pensieri ed affetti cui l’io-narrante si abbandona – il nonno assente e presente, i genitori, gli amici, i maestri di scuola, i maestri di vita, la Comunità romana – il Profumo di Fascismo di Ayelet Shaked è una ferita intollerabile. “Non posso zittire il mio sgomento” scrive Pavoncello. “Come può – si chiede – dopo appena settanta anni da Auschwitz, una israeliana dimenticare che quel profumo lo spruzza ancora sopra l’odore acre delle camere a gas e dei forni crematori?”. La risposta manca, ma proprio nelle ultime pagine del libro arriva come un monito una metafora illuminante. Nel Bhagavad Gida, un testo indù del 500 avanti Cristo, il protagonista Arjuna si accorge improvvisamente che l’esercito nemico contro il quale sta per andare in battaglia è composto da membri della propria famiglia e dagli amici. Non vuole combatterli, ma il dio Krishna lo sprona ammonendolo: “Dalla collera nasce l’illusione; l’illusione genera perdita di memoria. Dalla distruzione della memoria deriva la rovina della facoltà discriminativa. Dalla rovina della discriminazione nasce l’annientamento”.
Se nel Capricho di Goya a generare mostri è il sonno della Ragione, Pavoncello ci dice che i mostri nascono anche dal sonno della Memoria.
Vittorio Pavoncello
Profumo di fascismo e sali del Mar Morto
edizioni All Around
175 pagine, 15 euro
Sostieni strisciarossa.it
Strisciarossa.it è un blog di informazione e di approfondimento indipendente e gratuito. Il tuo contributo ci aiuterà a mantenerlo libero sempre dalla parte dei nostri lettori.
Puoi fare una donazione tramite Paypal:
Puoi fare una donazione con bonifico: usa questo IBAN:
IT54 N030 6909 6061 0000 0190 716 Intesa Sanpaolo Filiale Terzo Settore – Causale: io sostengo strisciarossa
Articoli correlati