Catalogna, un processo politico contro gli indipendentisti
Due anni di carcere in attesa di giudizio non potevano certo lasciar immaginare un esito diverso da una sonora condanna. Pene dai 9 ai 13 anni per 9 leader indipendentisti catalani, erogate a spaglio tra ex amministratori, incluso il vice-presidente della Generalitat Oriol Junqueras, alla testa della più forte formazione politica secessionista, Esquerra repubblicana de Catalunya: per lui la sentenza più pesante.
Ma i giudici non hanno risparmiato neanche i due Jordi, Sanchez e Cuixart, presidenti di due movimenti della società civile, Anc e Omnium cultural, promotori delle grandi manifestazioni di Barcellona per il diritto di esprimersi in un referendum sull’indipendenza. Manifestazioni pacifiche, che Madrid ha considerato come atti di ribellione, nonostante il codice preveda esplicitamente per questo reato l’uso della violenza: violenza che non c’è mai stata.
Cade l’accusa di ribellione
Il verdetto è stato assai più mite di quanto avrebbe voluto l’accusa (erano stati chiesti 25 anni per Junqueras) e la destra spagnola. I giudici hanno accolto il parere dell’avvocatura dello Stato che ha derubricato il reato contestato alla sola “sedizione”, ma non per questo si è trattato di una sentenza giusta.
Intanto per la gravità delle accuse che non corrispondono a quanto accaduto due anni fa, nei giorni che precedettero e seguirono il referendum sull’indipendenza, consultazione considerata incostituzionale da Madrid. Ma anche e soprattutto perchè è stato violato il principio base che in una democrazia lega la colpevolezza al riconoscimento di una responsabilità individuale. E così non è stato e non poteva essere, non almeno sulla base delle contestazioni dell’accusa.
Ricorso a Strasburgo
La condanna si basa su una responsabilità politica: i leader indipendentisti nel decidere sul referendum e sulle manifestazioni erano consapevoli dei disordini che ne sarebbero potuti conseguire, questo in sostanza il giudizio della Corte.
Gli avvocati dei condannati sono pronti a ricorrere al Tribunale dei diritti umani di Strasburgo e date le premesse hanno buone probabilità di successo. La sentenza in realtà lascia aperta la possibilità di concedere la semilibertà ed è anche possibile per il premier Sanchez concedere l’indulto e aprire una stagione di confronto politico. Ma questa stagione è tutta da costruire.
Processo politico
Quello che rimane ora è la sensazione in molta parte della Catalogna e non solo di aver assistito ad un processo politico. Voluto e costruito a tavolino dall’allora premier del Ppe Mariano Rajoy ed ereditato dal successore socialista. Difficile pensare che la via giudiziaria, tanto più pretestuosa, possa disinnescare ambizioni indipendentiste che hanno una larga base popolare e non, al contrario, soffiare sul fuoco della protesta catalana, inasprita da due anni di tensione e carcere, come dimostra la rabbia nelle strade di Barcellona.
Pedro Sanchez ora parla di dialogo, prima però deve superare lo scoglio delle urne per le ennesime elezioni anticipate. Nelle prossime settimane si vedrà. Ma il processo che si è appena concluso è stata una prova mancata per la democrazia spagnola. Ed è difficile, anche se non impossibile, ripartire da una premessa sbagliata.
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