Prince Jerry, vittima
del decreto sicurezza
invisibile per i media
Trascriviamo la notizia così come l’abbiamo letta in una pagina del sito di Rassegna sindacale, il giornale della Cgil, che ha ripreso evidentemente quanto scritto dal Secolo XIX, dall’Ansa e da alcuni notiziari on line liguri: “Prince Jerry, un 25enne nigeriano ospite del centro d’accoglienza di Multedo, a Genova, si è tolto la vita lunedì scorso. Si è lanciato sotto un treno a Tortona. Il suicidio del ragazzo, studente universitario in chimica, è avvenuto dopo il diniego alla sua richiesta di permesso per motivi umanitari. Prince Jerry aveva avviato il percorso per richiedere un permesso temporaneo per il soggiorno in Italia per completare l’iter per la richiesta del riconoscimento del suo status di rifugiato. La richiesta era stata però annullata dal Decreto Sicurezza, e secondo la Comunità Migrantes di Coronata, dopo quel rifiuto il ragazzo si era chiuso un uno stato di profonda prostrazione e depressione, prima di togliersi la vita. A comunicare la tragedia è stato don Giacomo Martino, direttore della Fondazione Migrantes, che ha scritto un messaggio: ‘Uno dei nostri ragazzi di Multedo, Prince Jerry, dopo essere stato diniegato prima di Natale e scoprendo che non avrebbe potuto contare neppure sul permesso umanitario che è stato annullato dal recente Decreto, si è tolto la vita buttandosi sotto un treno. Ho dovuto provare a fare il riconoscimento di quanto era rimasto di lui’… ”. Poi si legge dei funerali: primo febbraio, alle 11,30 presso la chiesa dell’Annunziata e al cimitero di Coronata.
Sul caso non abbiamo visto e ascoltato servizi nei notiziari Rai-servizio pubblico e neppure commenti tra le solite voci di qualche talk show. Potremmo e vorremmo sbagliarci. Però sappiamo che non tutto merita attenzione: dipende dalle circostanze, dai punti di vista, dagli interessi, anche dal colore della pelle da un po’ di tempo in qua. Quante righe o quanti secondi vale ad esempio un morto sul lavoro? Nemmeno millecentotrentatrè morti sul lavoro (tanti nel 2018) possono pretendere più di quel poco di spazio che si attribuisce loro alla presentazione delle statistiche. Poi molti sono nordafricani, africani, rumeni… chissà da dove vengono o dove finiranno. Come i fantasmi che nelle campagne del sud e del nord raccolgono pomodori o altri ortaggi: si conosce un nome, quando la baracca prende fuoco e un essere umano finisce carbonizzato o quando qualcuno, scendendo un attimo da un’auto, un caporale o un padroncino, che ha dovuto ascoltare qualche protesta, decide di rimettere le cose a posto e spara.
Figuriamoci se ci può commuovere la storia di un ragazzo nigeriano che viene in Italia e si butta sotto un treno, perché non gli consentono di vivere qui e di studiare qui. Tuttalpiù lo si potrebbe definire con generosità “depresso”. Ma è lecito e conveniente attribuire a un “clandestino” che sale dall’Africa una malattia così evoluta, così moderna, roba da psicoanalisi per benestanti residenti? Nel sito del Secolo XIX abbiamo letto il commento di un tale che semplificava la questione: se non hai il diritto di rimanere, tornatene a casa tua. Concludeva con le condoglianze alla famiglia. Individuato il colpevole: Prince Jerry, “un ragazzo speciale e straordinario, molto sensibile e anche colto – come lo descrive don Giacomo Martino – Era laureato e amava conoscere e apprendere. Arrivato qui dopo la laurea in Nigeria, aveva avuto tre borse lavoro, aveva lavorato per l’Auxilium e allo Staccapanni. Era stato accompagnatore e volontario per la scuola della pace a Sant’Egidio”. Comunque colpevole della propria fine, perché non aveva il “diritto”… Semplice, lapalissiano. Conta il diritto. Ma il lettore genovese si è mai chiesto che cosa sia il diritto, chi faccia il diritto, come si costruisca il diritto, quanto arbitrariamente lo si possa esercitare… Sulla base del “diritto” firmato da Salvini, il ministro che giurò sul Vangelo, Prince Jerry non aveva il diritto di continuare a studiare in Italia.

L’altra sera, la sera del “Giorno della memoria”, ho rivisto un vecchio film, “Conspiracy”, con Kenneth Branagh nella parte di Reinhard Heydrich, il “macellaio di Hitler”, il “boia di Praga”, il regista della “soluzione finale”. Il film, con cura documentaria, rievocava la conferenza di Wanssee, quando i gerarchi nazisti, capeggiati appunto da Heydrich, decisero i tempi e modi dello sterminio degli ebrei. Al fianco di Heydrich sedeva Eichmann, che con scrupolo elencava quanti si potessero definire propriamente ariani, quanti ariani con dubbio, secondo determinate misure, perché contaminati da qualche parentela ebraica, quanti quindi salvare, per ora, e quanti condannare… In nome di un diritto, naturalmente, sancito dalla legge, anzi da due leggi, le leggi di Norimberga, una delle quali intitolata proprio “Legge per la cittadinanza del Reich” (l’altra, a completamento, “Legge per la protezione del sangue e dell’onore tedesco”).
Per alcuni il diritto si riferisce solo alle proprie miserrime tasche. Non è giustizia, non è solidarietà, non è eguaglianza, non è libertà. Nella nostra Europa, patria di quei princìpi. Patria anche del fascismo e di quel fascismo intimo, profondo, che si chiama indifferenza, egoismo, ignoranza, sentimenti che hanno evidentemente trovato ancora, di nuovo, un imprenditore politico, sentimenti diffusi se è vero che valgono tanti voti, se è vero quanto denuncia l’ultimo sondaggio: che il 57 per cento degli italiani solidarizza con Salvini di fronte al caso Diciotti.
Prince Jerry avrebbe potuto forse resistere, ma è difficile resistere quando ci si trova sempre in minoranza, sempre “dalla parte del torto” . Resterà uno dei tanti “sommersi” della nostra storia, che ci chiederà un’altra volta, prima o poi, di interrogarci sulle responsabilità della “zona grigia”, tutt’altro che “estranea ai fatti”, anzi profondamente e consapevolmente colpevole.
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