Precarietà, salari, povertà: sul lavoro il governo fa solo propaganda. Il 1° maggio sia un giorno di denuncia
L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro.
Così dice la Costituzione della nostra Repubblica di cui ricorre il 75mo anniversario ed è il tema che è stato scelto da Cgil Cisl Uil per le celebrazioni di questo Primo Maggio.
La Costituzione come ci ricordava Zagrebelsky in una sua lectio magistralis tenuta a Torino nel 2013 “pone il lavoro a fondamento , come principio di ciò che segue e ne dipende: dal lavoro, le politiche economiche; dalle politiche economiche, l’economia”.
“Oggi, scriveva, assistiamo a un mondo che, rispetto a questa sequenza, è rovesciato: dall’economia dipendono le politiche economiche; da queste i diritti e i doveri del lavoro. Dicendo “dipendere” non s’intenda necessariamente determinare, ma condizionare, almeno, questo sì. Ora, il senso del condizionamento o, come si dice, delle compatibilità è certamente rovesciato. Il lavoro è il risultato passivo di fattori diversi, con i quali deve risultare compatibile. Non sono questi altri fattori a dover dimostrare la loro compatibilità col lavoro”.
Il lavoro come valore, dunque, come cardine della società, come fondamento essenziale del vivere civile. Il lavoro inteso non solo come stipendio o profitto ma, più che mai, come progresso e strumento essenziale per la coesione nazionale e, volendo allargare l’orizzonte, direi anche internazionale. Il lavoro come realizzazione dell’uomo, dei suoi studi, della sua cultura e del suo assumersi una parte importante di responsabilità nella costruzione della società.
Una Repubblica democratica fondata sul lavoro, non sulla libertà, non su altri concetti astratti, ma sul lavoro, perché senza lavoro si pregiudica anche la tenuta della democrazia e senza democrazia il lavoro altro non è che sfruttamento.
Far tornare protagonista il lavoro, il lavoro dignitoso, garantito, ben retribuito non può quindi che essere l’ossessione di chi crede che la nostra Costituzione, da tanti definita la più bella del mondo, debba essere pienamente attuata, “rimuovendo gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini, impediscono […] la effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”, come recita l’articolo 3.
Il lavoro, la sua condizione restano la priorità di questo Paese ed è la politica che deve essere condizionata al lavoro, non viceversa.
Mettere al centro il lavoro, il lavoro dignitoso, sicuro significa chiedere un profondo cambio di passo alle politiche.
Non basta convocare un Consiglio dei Ministri il 1° di Maggio se poi i contenuti di quel che si decide sul lavoro sono assunti senza alcun confronto con le rappresentanze dei lavoratori, se si persegue la logica della precarizzazione del lavoro per garantire una competitività tutta giocata sulla pelle dei lavoratori e sulla riduzione dei loro diritti e sulla loro estrema ricattabilità , se non si affronta in maniera strutturale e decisa il tema della perdita del potere d’acquisto di chi lavora a causa delle spinte inflattive, se non si stanziano risorse per il rinnovo dei contratti, se si riducono le risorse a contrasto della povertà e si continuano a ridurre le risorse per diritti essenziali e per i sistemi di garanzia universale come la sanità e come l’istruzione, se si continua a parlare di immigrazione come di emergenza, di invasione e poi però si cercano fra gli immigrati i nuovi schiavi, sottopagati, sfruttati, marginalizzati.
Quello significa fare propaganda, non occuparsi di come si sostanzia il dettato costituzionale.
Il 1° Maggio non può, non deve diventare una ricorrenza inutile, se non addirittura ipocrita. Deve tornare ad essere una giornata di denuncia, di rivendicazione e anche di mobilitazione. Non basta lamentarsi, occorre agire, reagire, impegnarsi perché le cose possano cambiare.
Rimettere al centro il lavoro presuppone molti terreni di intervento: quello per la piena e buona occupazione, che pretende investimenti pubblici e privati, quello per affrontare la grande questione salariale, che pretende che siano rinnovati i contratti, che si affronti il tema della rappresentanza, delle politiche fiscali, che guardino alla redistribuzione delle ricchezze a favore di lavoro e pensioni, quello per contrastare sfruttamento, precarietà, discriminazioni che pretende regole diverse, organizzazione del lavoro diversa, investimenti in innovazione, ricerca, formazione e non compressione dei diritti e delle tutele.

Rimettere al centro il lavoro significa affrontare, culturalmente e con politiche adeguate, il dramma dei morti sul lavoro. Nei primi tre mesi dell’anno i morti sul lavoro sono stati 196 e sono in aumento rispetto al primo trimestre del 2022. Non sono un destino, non sono una fatalità. Non può essere considerato accettabile un sistema che non tutela chi lavora, che considera normale morire in un cantiere edile, sopra una impalcatura, a 70 anni. Un sistema che permette che un ragazzino esca di casa per fare una esperienza di alternanza scuola lavoro e rimanga ucciso da una macchina utensile. Un sistema che per la ricerca continua del profitto manomette i sistemi di sicurezza di un telaio per produrre di più, più velocemente, determinando la morte di una ragazza.
Non sono fatti individuali, ma l’esito di un sistema in cui il lavoro, la sua dignità, il rispetto dei suoi diritti sono sacrificati ad altre priorità, ad altre logiche.
Alla fine, se ci pensiamo bene, le mobilitazioni del 1° maggio portano le stesse ragioni di quando sono nate e pretendono che il mondo del lavoro continui a contrastare le ingiustizie e a battersi proprio per dare attuazione a quell’articolo 1.
Fondata sul lavoro. Tre piccole parole, che consegnano una grande responsabilità.
Tania Scacchetti, Segretaria confederale Cgil
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