PNRR, la destra al governo non è all’altezza della sfida

La piena attuazione del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) era stata definita da tutti, governo e opposizione, l’obiettivo più importante per l’Italia nel 2023. Un banco di prova impegnativo per l’esecutivo di destra guidato da Giorgia Meloni nel processo di modernizzazione e di rilancio dell’economia. Quest’anno, salvo aggiustamenti in corso d’opera, sono a disposizione del nostro Paese 34 miliardi di euro, suddivisi in 16 miliardi del primo semestre e 18 miliardi del secondo, se saranno raggiunti puntualmente gli obiettivi previsti. Questa somma andrà ad aggiungersi ai 66 miliardi erogati dall’Europa all’Italia fino a metà 2022 e ai 19 miliardi incassati come terza rata relativa agli impegni scaduti il 31 dicembre scorso. L’Italia è il Paese in Europa che beneficia più di tutti dei fondi europei.

“Mettersi alla stanga” o rassegnarsi

commissione ueMa il progetto complessivo del PNRR, dentro il quale l’ex premier Mario Draghi vedeva “il futuro del Paese”, è a rischio, ormai non passa giorno che da Roma o da Bruxelles non si alzino voci preoccupate sui ritardi e l’inefficienza del nostro Paese che non rispetta le condizioni e i tempi. Il timore di perdere i fondi europei è talmente elevato che il presidente della Repubblica Sergio Mattarella pochi giorni fa ha rilanciato un insegnamento di De Gasperi – “È ora di mettersi alla stanga” – per richiamare tutti a un maggiore impegno e senso di responsabilità. C’è una miscela di ritardi, di ostacoli burocratici, di blocchi improvvisi e anche di una certa improvvisazione in alcuni casi. E c’è pure qualche nodo politico che sta venendo al pettine tra la Commissione Ue e il governo di Giorgia Meloni. Si può dire che alcune scelte hanno provocato un calo di fiducia e di apertura da parte dell’Europa.

Se il PNRR è finalizzato a innovare l’economia, a modernizzare il Paese, a migliorare la società, allora diventa difficile per Bruxelles comprendere come mai le concessioni balneari non siano state ancora assegnate con regole di mercato. La Corte di Giustizia europea ieri ha confermato che le concessioni vanno assegnate con procedure trasparenti, competitive, in linea con le direttive comunitarie. Invece da noi continua il giochino della proroga, della protesta, della tutela di privilegi di casta e familiari.

Il PNRR non è una passeggiata

La realtà oggi dice che il governo non riesce a rispettare i tempi di attuazione del Piano e che ha chiesto a Bruxelles più tempo, fino all’estate, per ridefinire obiettivi e scadenze. Nessuno mette in dubbio che la realizzazione del PNRR non sia una passeggiata, anzi. Alcuni commentatori (Tito Boeri e Roberto Perotti su La Repubblica) dubitano che il Piano porterà a una crescita dell’economia e altri accusano l’Europa di regole in stile pianificazione sovietica (Maurizio Ferrera sul Corriere della Sera), mentre Francesco Giavazzi, gran consigliere a Palazzo Chigi con Mario Draghi, pensa che il PNRR sarà un motore per lo sviluppo se, però, si fanno le riforme.

Per ora è evidente che Meloni e i suoi ministri non sono stati finora all’altezza della missione, perlomeno non hanno proceduto a fare le riforme attese e nonmeloni hanno rispettato le scadenze. L’obiettivo di rendere il Paese più digitale, green e inclusivo rimane, ma emergono problemi che la Corte dei Conti denuncia come riconducibili a “una scarsa capacità di programmazione”. Alcuni ministri hanno provato a scaricare sul governo Draghi la responsabilità dei ritardi e di questo intoppo, ma bisogna ricordare che il precedente esecutivo, pur a fatica, rispettò la tabella di marcia e il suo successo venne confermato dal via libera dei fondi europei che altrimenti non sarebbero arrivati.

Il programma per il 2023 prevede (o prevedeva) il raggiungimento di ventisette obiettivi entro il 30 giugno e di sessantanove entro fine dicembre. Complessivamente, novantasei per l’intero anno. Le tappe indicate nel PNRR sono di due tipi: target (obiettivi) e milestone (traguardi). I primi sono valutati con indicatori quantitativi (per esempio il numero di aziende coinvolte o l’aumento di personale), mentre per i secondi il criterio di valutazione è soprattutto qualitativo e riguarda generalmente l’approvazione di atti normativi o provvedimenti amministrativi.

Dall’avvio del Recovery Plan nel 2021, l’Italia è chiamata a passare dalle riforme ai progetti, dai bandi alle opere. Non è una scoperta, lo prevede la natura progressiva del PNRR: man mano che ci si avvicina alla scadenza finale del 2026 accelera la crescita esponenziale dei target. La seconda metà dell’anno sarà densa di scadenze, con molti target da realizzare soprattutto nel quarto trimestre. Per raggiungere gli obiettivi sarà necessario velocizzare i processi decisionali, spendere i fondi evitando che si incaglino e si perdano in tanti rivoli, fare i bandi, aprire i cantieri, migliorare la governance eliminando quei passaggi che rallentano il trasferimento di risorse dai ministeri competenti agli enti locali.

L’Italia rischia l’isolamento in Europa

unione europeaL’Italia, con il ministro per gli Affari europei, le politiche di coesione e il PNRR Raffaele Fitto si confronta faticosamente con l’Europa anche perché certe uscite come quella del ministro Lollobrigida sulla sostituzione etnica fanno rabbrividire e non creano il clima adatto. Il governo Meloni pare aver dimenticato che l’Italia, essendo il primo Paese europeo per quantità di fondi ricevuti (191 miliardi di cui 122 miliardi sotto forma di prestiti), ha il compito più sfidante. “Sarà inevitabile nel 2023 cambiare qualcosa per rendere più celere e più fluida la capacità di utilizzo dei fondi” aveva avvertito all’inizio dell’anno la presidente del Consiglio, anticipando la necessità di un confronto con la Commissione europea.

Ma il problema è che la “messa a terra” dei progetti non c’è, non si vede il percorso. Nel 2022 l’Italia ha raggiunto con fatica e uno strappo finale i cinquantacinque obiettivi fissati dall’Europa. Il risultato, alla fine, è stato positivo anche grazie alla tolleranza della Commissione Ue che ha chiuso un occhio sul conseguimento, solo avviato e non completato, di alcuni obiettivi. Ma per quest’anno il percorso è più complicato, rischioso, ambizioso. In Europa sono aperte, infine, alcune questioni strategiche per il futuro dell’Unione su cui l’Italia rischia di restare isolata. Il governo Meloni non ha ancora ratificato il Mes (il cosiddetto “Salva stati”) e frena la nascita del nuovo Patto di Stabilità e Crescita che dovrebbe essere varato a fine anno.