Questa sinistra
che non sfida il vento
Semplificando: un pool di magistrati, un comico incattivito, un’austerità di ritorno. Questa storia della subalternità culturale della sinistra, la rinuncia a elaborare un pensiero e a difendere i propri valori, non è iniziata con i sondaggi sui migranti o con la vicenda emblematica dello Ius Soli. Non è iniziata con il Pd – non era neppure all’orizzonte – o con il suo attuale segretario. È una questione più antica, e non solo italiana, anche se negli ultimi tempi ha subìto una preoccupante accelerazione. A costo appunto di una semplificazione, forse una data (o una fase) di inizio può essere rintracciata negli anni di Tangentopoli. Con la poderosa inchiesta del pool di magistrati delle cosiddette “Mani pulite”, che ha portato alla luce il grande sistema di corruzione politico-affaristico di fine secolo.
Naturalmente non è in discussione il merito della vicenda, con tante luci e qualche ombra. Quello che ci interessa è la risposta della politica, meglio ancora della sinistra, soprattutto su un piano culturale. Non si può certo dire che uno dei suoi valori portanti – il garantismo – ne sia uscito del tutto indenne. Sono i mesi del cappio esibito in Parlamento dai leghisti e della formidabile campagna mediatica bipartìsan che finisce per travolgere tutta la politica e per metterne in discussione l’autonomia. Basta un avviso di garanzia per arrivare alle dimissioni di un ministro o sottosegretario o peggio per chiudere una carriera politica. Il partito di riferimento della sinistra – all’epoca il Pds – rinuncia a entrare nel governo Ciampi nel clima infuocato delle monetine scagliate davanti all’hotel Raphael contro Bettino Craxi: come se ci fosse un nesso tra una vicenda giudiziaria per quanto cruciale e una scelta di governo. Tra le rivelazioni sul malaffare di tanti imprenditori e politici e la campagna quotidiana di tv e giornali, si rinuncia a elaborare un’idea, una linea, che garantisca a un tempo il massimo impegno contro la corruzione e la difesa dell’autonomia della politica, ormai irrimediabilmente indebolita.
Ricorda qualcosa? Dalle vicende più recenti viene difficile pensare che sia cambiato molto. Fra i tanti, sono di questi giorni i casi dell’ex sindaco di Venezia Orsoni e dell’ex ministro della Giustizia Mastella, assolti dall’accusa di comportamenti corruttivi, dopo lunghi anni di attesa. Un’amministrazione comunale importante che cade e passa poi alla destra, un ministro che con la sua caduta travolge lo stesso governo Prodi: molto probabilmente l’esito sarebbe stato lo stesso, ma possibile che a sinistra oggi nessuno voglia dire nulla? E – tanto per uscire dal recinto del Pd – possibile che non destino allarme, al di fuori di quel partito, le manipolazioni in importanti ambienti investigativi nell’inchiesta Consip, con il tentativo, di fatto dichiarato, di colpire l’allora presidente del Consiglio?
Evidentemente a prevalere sui principi di cultura democratica sono i calcoli politici. Ancora i sondaggi. La politica è agli ultimi posti, i partiti ancora più in fondo. E qui entra in gioco il comico incattivito. Si incanalano attorno a lui gli umori peggiori della società (la società civile…) all’insegna di un semplice, brutale messaggio: la politica è malaffare, i partiti (tranne il suo) sono corrotti. E come si reagisce? Sarebbe ingeneroso sostenere che sia mancata a sinistra una linea di contrasto al populismo: ma spesso e volentieri senza brillare per coerenza. Come considerare altrimenti, la scelta suicida di rinunciare a qualsiasi forma di finanziamento della politica, finendo per ridurre i partiti a comitati elettorali di questo o quel leader, o peggio – soprattutto nel Mezzogiorno – dei notabili locali? Per non parlare di uno degli argomenti chiave usati durante la campagna per il si al referendum sulla riforma costituzionale: ridurre le poltrone dei politici. Una misera ambizione per gli aspiranti nuovi costituenti e al tempo stesso un singolare destino per chi fa politica (bene, male, disinteressatamente o no non importa) messo all’indice dal proprio stesso leader. Perfino la vicenda della legge sui cosiddetti vitalizi, con la corsa ad affermarne la paternità, al di là del merito, conferma che il comico incattivito non deve certo mettersi sulla difensiva.
Ma il cedimento non è solo sul piano della cultura democratica. Se si passa – appena di sfuggita – alle questioni dell’economia, il quadro è altrettanto desolante. La subalternità ai mercati e alla finanza non è cominciata certo ieri, ma è ieri che si sono visti gli effetti più gravi. Nella fase più drammatica della crisi finanziaria, dello spread alle stelle e del dogma dell’austerità a sinistra non si è visto alcun argine. Sì al pareggio di bilancio in Costituzione, si all’età pensionabile più alta d’Europa, sì al precariato generalizzato.
La storia è nota e nessuno può davvero chiamarsi fuori. No, non è cominciata con i migranti, con lo Ius Soli. Ma ancora più di prima oggi non si vedono grandi passisti a sinistra, capaci di mettersi in cammino e di pedalare controvento. Ma alla lunga il rischio non è solo la mancata difesa di un pensiero, ma che il pensiero cominci a mancare.
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