Piolìn imbavagliato, l’autunno difficile della Catalogna

Quando nei primi anni Cinquanta il governo di Madrid decise di aumentare il prezzo del biglietto da 40 a 70 centesimi, ma solo in Catalogna, per settimane i catalani smisero di prendere il tram. “Fino a che le autorità si videro costrette a ripristinare il prezzo precedente”. Pedrot, 80 anni, lo racconta come testimonianza della caparbietà catalana, un mix corale di resistenza pacifica e orgoglio delle proprie radici. E’ una delle voci raccolte da Elena Marisol Brandolini nel libro “Piolìn imbavagliato, cronaca dell’autunno catalano” (Ediesse) dove l’autrice ripercorre le tappe che hanno portato al referendum sull’indipendenza prima e poi alla repressione da parte del governo Rajoy, che ha a lungo ignorato il malessere catalano salvo brandire la soluzione autoritaria con il ricorso all’art.155 come fosse un percorso obbligato.

“Piolìn” è il personaggio della Warner Bros – Titti in italiano. Era dipinto sulla fiancata di una nave noleggiata dal governo spagnolo, la Moby Dada, per alloggiare le migliaia di uomini della Guardia civil e della Policia nacional fatte confluire su Barcellona contro il referendum del 1° ottobre dello scorso anno. Per tenere a freno l’ironia social che ne era seguita, le autorità di Madrid l’avevano fatto coprire con dei teloni. Il risultato era stato persino peggiore: Piolìn, Titti, è diventato simbolo della censura spagnola e lo slogan “free Piolìn” il condimento ironico di una storia in cui non c’era più tanto da ridere.

Il diario di Marisol Brandolini – in parte pubblicato in cronache per il Fatto quotidiano – ricostruisce le settimane più drammatiche e disegna lo sfondo che le precede: la strada del muro contro muro intrapresa da Rajoy, a partire dalla denuncia del nuovo Statuto sull’autonomia regionale promosso a suo tempo dal socialista Zapatero.

A guardarla oggi, dopo gli arresti eccellenti che hanno sbriciolato i popolari, la soluzione autoritaria del leader del Pp spagnolo si potrebbe anche leggere come un tentativo di trovare nell’emergenza nazionale una via d’uscita alla sequela di scandali per corruzione che di recente hanno travolto il suo partito e il suo governo riesumando il leader socialista Pedro Sanchez. Di sicuro nel movimento indipendentista o di quanti comunque a favore del diritto a decidere dei catalani, la critica nei confronti di un Pp corrotto è stata centrale, ingrediente tutt’altro che secondario della spinta verso la definizione di uno Stato nuovo, fortemente europeista, più laico e più pulito nella sua classe politica, svincolato da una monarchia ugualmente corrotta e considerata un’eredità indesiderata  imposta dal franchismo. Per questo, scrive Brandolini, “il movimento sovranista catalano assomiglia in nulla ad altri movimenti secessionisti nazionalisti, come sono le espressioni politiche delle destre xenofobe e razziste presenti in Italia o in altri Paesi europei”.

L’esito del referendum e il ricorso all’articolo 155 con la sospensione dell’autonomia catalana ci sono noti. Uno shock è stato invece il livello della repressione, negato in tutte le sedi dal governo di Madrid ma riconosciuto invece nelle sentenze che di volta in volta hanno bloccato le richieste di estradizione del leader indipendentista Puigdemont. A Barcellona i divieti, i bavagli sull’informazione, i rapper in carcere insieme a numerosissimi esponenti politici, la brutalità della Guardia civil hanno richiamato alla memoria gli anni del franchismo e soprattutto aperto nuovi interrogativi sul Pp, un partito che al di là della facciata sembra non aver fatto davvero i conti con la storia e che rivela un tessuto democratico con troppe falle. Domande che interrogano non solo la società spagnola, ma come sottolinea Brandolini anche l’Europa.

A nove mesi di distanza con un maxi processo da celebrare (900 incriminati) e una dirigenza in esilio, del braccio di ferro intrapreso da Rajoy restano ferite evidenti e nessuna soluzione, gli indipendentisti secondo i sondaggi sono persino più forti. Forse una pagina nuova potrà essere scritta dal governo Sanchez, che deve ai catalani il sostegno per rovesciare il governo Rajoy. La novità è che si pronuncia finalmente la parola dialogo, l’opposto del bavaglio al povero Titti sulla fiancata della Moby Dada. E poi un pensierino per la Ue. Forse pensare a come tinteggiare le pareti mentre la casa (europea) è pericolante può non sembrare l’idea migliore, ma girarsi dall’altra parte di sicuro non è una strategia migliore.