Pesticidi e inquinamento: siamo fermi
ai tempi del “decreto Atrazina”
Mi è appena capitato tra le mani un articolo che conservavo da anni. Così ben conservato da scordarmene per poi dire toh ecco dove stava. Si tratta di questo: Ora va di moda il delirio verde di Giorgio Bocca in “Repubblica” 8 febbraio 1989.
L’articolo, uscito in contemporanea e nella stessa pagina 2 con uno di Antonio Cianciullo (“Ma bevete pure” La sfida al Tar di Donat Cattin), prende spunto da un caso emblematico. Il caso del ruolo da dare alla presenza nelle acque potabili della atrazina un erbicida riconosciuto quasi unanimemente come cancerogeno utilizzato in agricoltura. Come molte altre sostanze che non si trovano nella naturale composizione di H2O, la presenza vi può essere tollerata solo se non supera i limiti che la legge le consente. Quando, a febbraio del 1986, si scoprì che l’acqua che usciva dai rubinetti di buona parte d’Italia era contaminata dall’atrazina ed altre sostanze chimiche, e che i limiti consentiti erano stati superati, immediatamente l’acqua che finiva negli acquedotti fu vietata alla potabilità e sostituita per il tempo necessario a porvi rimedio con autobotti che servissero i cittadini coinvolti.
Molto più semplicemente si potevano aumentare i livelli di tollerabilità con un apposito provvedimento legislativo. Così fece il ministro alla Sanità Carlo Donat Cattin. Immediato ricorso al Tar delle associazioni ambientaliste. Immediata accettazione del ricorso e immediato articolo di Giorgio Bocca. Che così comincia: “Il Tar del Lazio, accogliendo un ricorso degli ambientalisti, ha sospeso l’ordinanza con cui Donat Cattin prorogava sino al 28 febbraio prossimo l’uso dell’acqua potabile inquinata oltre i limiti fissati dalla Cee. Il Tar del Lazio dunque, un tribunale amministrativo che sa niente del nostro sistema idrico, della nostra agricoltura, del nostro sistema igienico e dei rapporti sociali ed economici ad essi legati, decide che, da subito, due milioni e passa di italiani dovrebbero essere forniti d’acqua da autobotti che non ci sono, guidate da autisti che non esistono, per distribuzioni collettive d’acqua da nessuno organizzate”.
L’articolo continua su altri aspetti del “delirio verde”, ma mi sembra utile ricordare il caso che lo ha “scatenato”. Fu un evento di cui molto si discusse e che poi, anche se con interesse decrescente, è stato ricordato in altre situazioni assimilabili cercando di far valere il principio che basta elevare i livelli di tollerabilità per rendere legittime azioni che non lo sarebbero.
Ma non più per l’atrazina dal momento che dal 1992 Germania e Italia ne hanno bandito l’uso in seguito alla rilevazione di massicci quantitativi del pesticida nelle acque potabili.
Il guaio è che non è solo l’atrazina, insieme con altre sostanze chimiche utilizzate dall’agricoltura, a creare problemi penetrando nelle acque che possono finire nei nostri acquedotti. Giusto un anno fa (giugno 2020) un argomento simile fu affrontato nel Dossier 2020 Acque potabili “Sicurezza delle acque a uso potabile” nel quale considerandoli “anacronistici e obsoleti” si proponeva di rivedere i limiti di sicurezza previsti dalla legge per le sostanze inquinanti rilevate nelle acque fissati a 0,1 µg/L (microgrammi per litro).
Era un modo di riproporre il sistema Donat Cattin. Gli autori del Dossier (l’associazione Seta- Scienza e tecnologie per l’Agricoltura-), considerato che per i fitofarmaci utilizzati in agricoltura venivano consentite soglie “iniquamente basse”, auspicavano “impellente l’adozione di altri e più moderni indicatori”. Un passo indietro di circa 40 anni sintetizzablle nel principio atrazinico: “l’agricoltura convenzionale usa più pesticidi di quelli che la legge ritiene accettabili per evitare che il danno sanitario superi il limite di guardia? E allora cambiamo la legge”. Il tutto mentre un rapporto di ISPRA e Legambiente consegnava alla pubblica attenzione una preoccupante immagine dello stato delle nostre acque.
Siamo tuttora in piena pandemia con le varianti che bloccate da una parte rientrano da un’altra e pare che non ci sia nulla di più importante cui dedicarsi.
E così è. Ma non dimentichiamo che è sempre più dimostrato lo stretto rapporto tra pandemia (questa e altre) e qualità dell’ambiente. In tutte le sue componenti: Acqua, aria, suolo.
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