Perché tirar giù
le statue
non è una soluzione

A proposito di statue, icone e del giudizio morale. Ci sono due modi per negare aprioristicamente la piena umanità di una persona. Il primo consiste nel non riconoscerle alcun limite, errore o vizio, rendendola così non umana. Il secondo è non ascriverle alcun valore positivo, in nessuna forma d’azione e pensiero, ottenendo lo stesso risultato. I ragazzi del collettivo LuMe e i Sentinelli (gente apprezzabile per quanto si chiamano dentro e non fuori da ciò che è agire politico in senso forte, cioè tutto) abitano nel secondo modo, rivestendo la figura di Montanelli di un unico colore. Falsificando, in buona sostanza, il vissuto intero di una persona, negandone la piena, normale, onnilaterale umanità. Legano Indro Montanelli allo stesso giogo di Milosevic o di Goebbels prendendo una parte della sua vita per il tutto, in una sineddoche etica senza appello. Così privi di sfumature che si annusa il peggio di ideologie ormai spente e di purtroppo vegeti sentimenti di intolleranza, oggi ben distribuiti nel mondo tra capataz trumpiani, preti fanatici e populisti di destra e sinistra.

Occupare lo scranno più alto nel tribunale del giudizio morale può essere un atto di estremo coraggio o di facile arroganza intellettuale, che confida nella risonanza mediatica, una miccia propensa a innescarsi non sempre motivatamente (cfr Woody Allen) e sull’onda di eventi davvero più grandi di una statua in un giardino milanese. Si pensa ovviamente alle rivolte contro i razzisti metodi criminali della polizia americana, all’outing del me-too contro il maschilismo violento e violentatore, un veleno che non solo urtica e addolora, ma spesso uccide.

Non un ripensamento

Di quella cultura (che non è solo fascista ma è come una koiné disumana e malata che riunisce da sempre gli eserciti stupratori) Montanelli era imbevuto e si è – odiosamente – comportato di conseguenza per un tratto circoscritto della sua vita. Circoscritto storicamente intendo, perché di fatto mai ha rinnegato ciò che fece in Africa, lo ha comunque spiegato con coraggio e impudenza mettendolo nell’archivio della sua vita. Gli è stato estraneo un ripensamento, restando perfettamente in linea col suo sentire politico: era un uomo complesso, stava dall’altra parte della mia barricata, però era schietto, libero (spesso di sbagliare) e talvolta giornalisticamente illuminato e preveggente.

Il guaio è che a tirare giù statue si sa come inizia, non dove si va a finire e sempre nuovi tribunali del giudizio morale aprono e chiudono sbrigativamente udienze dimenticandosi i giusti calibri della Storia, emettendo col senno odierno impossibili, grottesche sentenze (cfr Churchill) su figure dell’altroieri. Il grande Rousseau fu anche pedagogista eppure consegnò i cinque figli alla pubblica assistenza, cosa facciamo, smettiamo di leggere il “Contratto sociale”?

Negli Stati Uniti oggi fiorisce un radicalismo, minoritario, che vede una contaminazione non emendabile nel fatto stesso di vestire o di aver vestito una divisa da poliziotto, pur se il “reo” è nero e di sentimenti democratici. Si tratta – terribile paradosso – di razzismo, perfido abito mentale che fa di ogni erba un fascio e giudica non per quello che si fa ma per ciò che si è e si appare (colore della pelle, divisa, kippah). Siamo nei paraggi del secondo modo di cui si diceva all’inizio.

Davvero: mettersi pro o contro la statua di Montanelli è un riduzionismo assai banale per un problema culturale molto grosso. Non per niente i “patrioti” La Russa e De Corato ne approfittano – al solito – in maniera canagliesca e strumentale.